La libertà di parola e di espressione non hanno nulla a che fare con la disinformazione e la misinformazione scientifica o complottista.
Eppure, proprio in nome di queste libertà, è ormai pacificamente accettato che il modello economico delle piattaforme social, basato sul programmatic advertising, sia complice dell’industria della disinformazione, dei bot e delle troll farm che, a tutti gli effetti, assurgono al ruolo chiave di alleati preziosi a sostegno dei mercati “redditizi” della verità nonché spazi privilegiati in cui divampano “incendi di estremismo e di distorsione cognitiva”.
Un business più che lauto, da entrambe le parti, in cui, anzi – come vedremo – una parte fomenta l’altra, con buona pace del corretto esercizio dei nostri diritti e delle nostre libertà e del fondamentale confine che dovrebbe sussistere tra libertà e potere.
Il Gotha dell’antivaccinismo mondiale: “la sporca dozzina”
I numeri lo dimostrano: il “gotha” di leader antivaccinisti, a capo di una ventina tra aziende e organizzazioni multimilionarie, costituite principalmente negli Stati Uniti, che impiegano a vario titolo circa 266 persone, è responsabile di almeno il 70% dei contenuti no-vax condivisi da Facebook, Instagram, Youtube e Twitter, oltre ad alcune piattaforme on demand come Spotify[1].
I dati sono contenuti nei cinque rapporti[2] del centro di ricerca britannico Centre for Countering Digital Hate che elencano anche dodici importanti anti-vaxxer[3], selezionati per il loro ruolo influente nella diffusione della disinformazione sui vaccini e per le informazioni pubblicamente disponibili sulle finanze delle organizzazioni a cui sono associati, esaminando il ruolo assunto dai social media nella diffusione dei loro messaggi e nella raccolta dei fondi ad essi destinati.
Questi i dodici:
- Giuseppe Mercola
- Andrew Wakefield
- Robert F. Kennedy Jr.
- Del Bigtree
- Larry Cook
- Ty e Charlene Bollinger
- Sherri Tenpenny
- Mike Adams
- Rashid Buttar
- Barbara Loe Fisher
- Sayer Ji
- Kelly Brogan
Le analisi effettuate dal Center for Countering Digital Hate – CCDH, eseguite su un campione di contenuti anti-vax condivisi o pubblicati su Facebook e Twitter, pari ad un totale di 812.000 click tra il 1° febbraio e il 16 marzo 2021, mostrano come il 65% dei contenuti anti- vaccino sia attribuibile a quella che viene definita la “Disinformazione Dozen”: dodici soggetti responsabili della maggior parte delle notizie false sui vaccini contro il Covid.
Tre esponenti in modo particolare: Joseph Mercola (oltre 4 milioni di follower tra Facebook, Instagram, Youtube e Twitter e una pagina a pagamento per abbonati sul sito di autopubblicazione Substack da decine di migliaia di sottoscrittori; lo stesso gestisce anche la Mercola Consulting Services, una società “specializzata in marketing su Internet, sviluppo software e infrastrutture IT”), Del Bigtree, fondatore dell’ICAN, l’Informed Consent Action Network e Robert F. Kennedy Jr., terzogenito di Bob Kennedy e figura di spicco del movimento “free vax”, criticato soprattutto per aver sostenuto la correlazione tra vaccini e autismo – sono così influenti da rappresentare, secondo i dati resi noti nell’ultimo Report[4], intitolato Pandemic Profiteers – The Business of anti- vaxx, del Centre for Countering Digital Hate, veri e propri baluardi delle teorie anti-vax più strampalate, peraltro tradotte in quante più lingue possibili: oltre all’inglese e al francese anche lo spagnolo, il polacco o il filippino; ogni angolo del mondo ne è coinvolto.
Parliamo:
- di un fatturato totale annuo di non meno di 36 milioni di dollari;
- di ingenti donazioni;
- di 1,5 milioni di dollari ottenuti abusando dei prestiti federali del Paycheck Protection Program (PPP) progettato dalle amministrazioni Trump e Biden per aiutare le aziende durante la pandemia Covid19;
- di stipendi a sei cifre per i dirigenti a capo di queste vere e proprie macchine da guerra della disinformazione (Robert F. Kennedy Jr. guadagna $ 255.000 all’anno come Presidente della Children’s Health Defense; Mercola ha guadagnato un minimo di $ 1 milione all’anno addebitando agli abbonati una quota annuale di $ 50; Berenson almeno $ 1,2 milioni addebitando $ 60 alle persone. Altre tre newsletter no vax, dell’imprenditore tecnologico Steven Kirsch, del virologo Robert Malone e dello scrittore anonimo Eugyppius, generano circa $ 300.000 tra di loro.);
- di strategie e di sofisticati programmi di marketing[5], come quello degli imprenditori anti-vax Ty e Charlene Bollinger: la serie video The Truth About Vaccines, del valore di 14 milioni di dollari destinati a partner compiacenti ben disposti a favorire la diffusione e la condivisione di quei contenuti fuorvianti.
- di messaggi, slogan, webinar e video impermeabili persino al rischio di deplatforming[6] e alle blande tecniche di monitoraggio[7] dei contenuti illeciti, o semplicemente nocivi, rimessi alla libertà di gestione degli intermediari digitali, a loro volta, schermati dallo scudo offerto dalla Sezione 230 del Communications Decency Act;
- di tattiche e tecniche di profilazione[8] psicografica e microtargeting impiegate per iniettare disinformazione nei feed di notizie degli utenti;
- di corsi di formazione, con tanto di manuali per attivisti, che insegnano tecniche di comunicazione e come adattre i messaggi a un pubblico diverso
- di riunioni simili a conferenze commerciali annuali, come avviene in qualsiasi altro settore commerciale
Un documento lungo più di 1.700 pagine curato dai giornalisti Jay Greene e Jeremy B. Merril, riporta i nomi di oltre 300 mila organizzazioni non profit, e tra queste anche diverse associazioni che si battono contro i vaccini che, solo nel 2020, avrebbero ricevuto in totale oltre 60 milioni di dollari da Amazon tramite il progetto AmazonSmile: un’opzione che consente a tutti gli utenti di destinare lo 0,5 per cento delle loro spese sulla piattaforma a un’associazione tra quelle elencate. Secondo l’inchiesta di Jay Greene e Jeremy B. Merril, nel 2020 grazie al progetto AmazonSmile sarebbero entrati nelle casse dei no vax circa 42 mila dollari.
La supremazia social dell’antiscienza
Ma parliamo anche di un lauto business per le piattaforme social, con aspettative dell’ordine di oltre 1 miliardo di dollari di entrate realizzate grazie al seguito stimato in oltre 60 milioni di persone in tutto il mondo: dalla vendita di copiosi set di dati personali, alle varie inferenze destinate alla data analysis; dal mercato di spazi pubblicitari su contenuti prodotti dagli utenti, al giro d’affari legato ai servizi da infrastruttura – web hosting, monetizzazione e gestione delle relazioni con i clienti.
Solo nel Regno Unito, ci sono 5,35 milioni “seguaci” di anti-vaxxer attivi sui social media.
Il report del centro di ricerca britannico rivela come, stando alle cifre pubblicamente disponibili, Facebook e Instagram vantino un pubblico anti-vaxxer di 37,8 milioni di follower e 419 account attivi anti- vaccino in grado di generare fino a $ 1,1 miliardi di entrate.
In base al numero di visualizzazioni esaminate nel corso dell’indagine riconducibili ai canali YouTube anti-vaccino, i video di anti-vaxxer potrebbero generare oltre $ 700.000 di entrate pubblicitarie annuali.
Twitter, disponendo di una platea di anti-vaxxer di circa 2,7 milioni di follower potrebbe guadagnare almeno 7,6 milioni di dollari dalla diffusione dei relativi contenuti.
E, nonostante il CEO del Center for Digital Ate, Imran Ahmed, spieghi, conti alla mano, come “il successo degli anti-vaxxer dipenda dall’incapacità[9] delle Big Tech di intraprendere azioni di contrasto contro di loro, nonostante abbiano infranto in serie gli standard della comunità delle principali piattaforme”, e quanto sia necessario “che le autorità governative, compresi i regolatori e i pubblici ministeri, agiscano rapidamente per stabilire l’entità della loro attività maligna e quindi reprimano le possibilità di generare profitto criminale dalla disinformazione sanitaria”, Facebook, dal canto suo, tramite suoi portavoce, si ostina, invece, a contestare la metodologia seguita dal rapporto CCDH, affermando come non fossero chiari i criteri utilizzati per scegliere l’insieme di post sui social media da prendere come riferimento, così come non sarebbero attendibili le stime relative agli introiti pubblicitari generati dagli anti-vaxxer. E per tutta risposta si spende in dichiarazioni pubbliche sull’entità dell’impegno profuso dalla piattaforma social: “Stiamo conducendo la più grande campagna informativa sui vaccini online al mondo, etichettando ogni post relativo ai vaccini con informazioni accurate e abbiamo rimosso profili, pagine e contenuti individuato in questi rapporti. Durante la pandemia abbiamo rimosso 18 milioni di disinformazione dannosa su Covid-19 e abbiamo collaborato con 80 organizzazioni di verifica dei fatti per etichettare come falsi oltre 167 milioni di post”.
Lo stesso anche Mark Zuckerberg che, in un’audizione del 2021 dinanzi ai legislatori della Commissione Energia e Commercio della Camera, ha dichiarato come la sua piattaforma separi la disinformazione in categorie, e tra questa la più grave, quella che potrebbe causare “danni fisici imminenti”, come quella relativa alle false affermazioni sul coronavirus o sui vaccini, sarebbe prontamente rimossa .
Altrettanto sostiene Twitter che, infatti, ribadisce come la piattaforma abbia prontamente sospeso in via definitiva due degli account legati alla cosiddetta “Disinformation Dozen” e richiesto ad altri account di eliminare alcuni tweet non attendibili, oltre ad aver direttamente rimosso circa 22.400 tweet condivisi in violazione delle sue politiche COVID-19. Noto è il caso di Alex Berenson, il giornalista bandito da Twitter dopo aver messo in dubbio l’efficacia dei vaccini Covid-19.
Fermo restando, tuttavia, come sostiene la portavoce Twitter Elizabeth Busby il “limite” tra “disinformazione dannosa sul vaccino che contraddice informazioni credibili sulla salute pubblica, che è vietata dalla nostra politica, e sentimento negativo sul vaccino che è una questione di opinione”.
Un limite che però non può che essere nebuloso e con confini assai variabili; una sorta di “area grigia” difficile da riconoscere e contrastare, dalle forme molto diverse a seconda dei contesti e del tipo di attori coinvolti, e che si pone come zona di contiguità tra il lecito e il non consentito.
Risultato: nella diatriba tra “libertà di vaccinarsi; tra la libertà di scelta o l’obiezione di coscienza” e le “derive più radicali e complottiste” dei no-vaxxer – espressione del negazionismo sull’esistenza del virus in sé, fini alle ipotesi di disegni nascosti per il controllo della popolazione e su una regia sotterranea dei gruppi farmaceutici – , la disinformazione continua ad imperversare nella rete affinando le tecniche di elusione della seppur blanda scure imposta dagli algoritmi moderatori.
Fonte Immagine: Report The Disinformation Dozen. The sequel
Conclusioni
La libertà di vaccinarsi o meno, le nuove forme di obiezione di coscienza o il semplice dubitare dell’efficacia dei vaccini non consentono la tolleranza verso la capillare diffusione di contenuti fuorvianti.
La libertà di parola e di espressione non hanno nulla a che fare con la disinformazione e la misinformazione scientifica o complottista.
Allo stesso modo vi è una basilare differenziazione tra scetticismo e negazionismo; tra il diritto di critica legittima e la distorsione della realtà.
Così come l’“immaturità tecnologica” sul controllo dei fatti e dei contenuti non deve continuare a giustificare i costi sociali derivanti dalla mancanza di quadri regolatori adeguati e da una società spesso vittima della sua stessa superficialità.
Il modello economico delle piattaforme social, basato sul programmatic advertising, con sin troppa facilità, si dimostra complice dell’industria della disinformazione, dei bot e delle troll farm che, a tutti gli effetti, assurgono al ruolo chiave di alleati preziosi a sostegno dei mercati “redditizi” della verità nonché spazi privilegiati in cui divampano “incendi di estremismo e di distorsione cognitiva”. E’ il regno dell’apparire in cui padroneggiare il meccanismo dell’eccitazione emotiva nella progettazione della divulgazione dei contenuti digitali diviene essenziale tanto quanto redditizio.
Artefici esperti della disinformazione, attori malintenzionati mossi da fini commerciali o politici, non si fanno cogliere impreparati nei confronti delle vantaggiose opportunità “a portata di click” offerte dalle inefficienze operative delle politiche di controllo dei contenuti e, del tutto indisturbati, si adattano al nuovo ambiente prodigandosi, peraltro con notevole riscontro di pubblico, nella pratica degli insegnamenti tratti dall’economia dell’attenzione.
Per quanto ancora?
Note
- 270 scienziati, medici, accademici ed esperti sanitari hanno firmato una lettera aperta a Spotify avvertendo che Rogan aveva “diffuso ripetutamente affermazioni fuorvianti e false sul suo podcast, provocando sfiducia nella scienza e nella medicina” durante la pandemia, anche scoraggiando vaccinazione nei giovani e nei bambini. E il musicista Neil Young ha ritirato il suo catalogo dal sito di streaming per protestare contro la condivisione del podcast The Joe Rogan Experience, accusato di diffondere false informazioni sui vaccini. ↑
- Nell’ordine: The Anti-Vaxx Industry, The Anti- Vaxx Playbook, The Disinformation Dozen, The Disinformnation Dozen: The Sequel, Pandemic Profiteers. Disponibili al seguente collegamento https://www.counterhate.com/our-response ↑
- Nel rapporto del CCDH il termine “anti-vaxxer” intende riferirsi a individui che hanno preso la decisione consapevole di utilizzare le loro piattaforme online per fare campagne contro i vaccini e diffondere disinformazione su di essi. Questo li distingue dalle persone “riluttanti ai vaccini”e da coloro che hanno semplicemente domande o dubbi sui nuovi vaccini Covid. In tal senso viene inteso anche nel presente articolo. ↑
- Il rapporto di 40 pagine pubblicato a marzo, dal Counterhate Center ha rilevato che solo dodici individui anti-vaxxer sono responsabili di quasi i due terzi dei contenuti anti-vaccino circolanti sulle piattaforme dei social media in un periodo di due mesi. L’analisi sfata i loro messaggi, illustra come questo piccolo gruppo di determinati anti-vaxxer sia responsabile di un’ondata di disinformazione e fornisce raccomandazioni su come le piattaforme possono contribuire ad arginare la disinformazione. ↑
- Il report cita tra i meccanismi e le tattiche di marketing quella per cui gli imprenditori anti-vaxx con un prodotto da vendere reclutano altri anti-vaxxer come “affiliati” che poi condividono materiali di marketing con il proprio pubblico. Assegnando un ID univoco a ciascun affiliato, gli imprenditori possono in tal modo tracciare il numero di vendite generate da ciascun affiliato e pagare loro una commissione su ogni vendita. ↑
- I dati del CCDH riportano la presenza di 97 account riconducibili ai dodici esponenti no- vax su piattaforme di social media, di cui solo 47 sono stati rimossi. Questi account avrebbero perso complessivamente 6,3 milioni di follower, mentre quelli ancora attivi vantano ancora 7,9 milioni di follower. ↑
- Con particolare riferimento alle risultanze del rapporto CCDH – #WilltoAct – https://www.counterhate.com/_files/ugd/f4d9b9_17e9f74e84414524bbe9a5b45afdf77e.pdf ↑
- Come rileva il Report CCDH, The Anti-Vaxx Playbook: https://www.counterhate.com/_files/ugd/f4d9b9_fddbfb2a0c05461cb4bdce2892f3cad0.pdf ↑
- Le ricerche condotta da CCDH rilevano come le piattaforme non riescano ad agire sul 95 percento della disinformazione relativa a Covid e vaccini . Il rapporto di CCDH, Malgorithm ha riportato prove su come l’algoritmo di Instagram raccomandi attivamente disinformazione in tema vaccini. https://www.counterhate.com/_files/ugd/f4d9b9_b7cedc0553604720b7137f8663366ee5.pdf ↑