La sconfitta di Apple alla Corte Suprema – che ha stabilito il diritto dei consumatori americani ad andare avanti con class action per abuso di posizione dominante sulle app Apple Store – è un caso molto interessante.
Quasi paradigmatico direi nel dimostrare come una adeguata tutela del consumatore in chiave dinamica possa diventare allo stesso tempo una leva ottimale per ribilanciare i mercati digitali e fornire loro nuova efficienza e competitività.
L’accusa – su cui la Corte ha dato disco verde – è che Apple abusa di posizione dominante imponendo agli sviluppatori di mettere le proprie app solo su Apple Store. Dove Apple guadagna il 30 per cento sulla vendita di ogni app, quindi il prezzo al consumatore sarebbe del 30 per cento maggiorato.
Che cambia per i consumatori (americani, solo, per ora)
Nell’immediato, significa che si va verso class action per permettere agli utenti di trovare tutte le app – a prezzo ridotto, evidentemente – anche su negozi alternativi a quello Apple.
Questo equivale ad apertura del mercato, calo dei prezzi, rafforzando la libertà di scelta dei consumatori.
E’ una prima affermazione del principio di “device neutrality” (su cui in Italia era giunta una proposta di Stefano Quintarelli nella scorsa legislatura). Certo, la strada è lunga perché device neutrality significa che devo poter scaricare da altre piattaforme, quindi obbligare Apple ad aprire i device ad altri store (cosa possibile solo se l’utente li sblocca, perdendo la garanzia.
Intanto cominciamo a permettere al consumatore di eliminare facilmente le app preinstallate.
Viste le dimensioni di certe piattaforme e le percentuali che si trattengono i gatekeeper questa apertura introdurrebbe una iniezione di efficienza, concorrenza e innovazione sul mercato.
L’importanza di questi temi dimostra la necessità di discuterne a tutti i livelli, compresi quelli istituzionali. Di qui le mosse per l’evento alla Camera organizzato da Free Modem Alliance l’11 luglio a Roma (clicca qui per iscrizione) |
L’impatto di lungo periodo: apertura delle piattaforme
Più in prospettiva, la sentenza ci ricorda che siamo ormai di fronte con tutta evidenza a market player globali che, quali gate keepers con rilevanti posizioni di mercato, non solo inficiano la concorrenza all’interno delle loro piattaforme ma limitano anche considerevolmente il valore aggiunto trasferito ogniqualvolta al consumatore finale.
Ma market players che hanno dimensioni ora colossali dovrebbero ricordare che sono diventati tali grazie alla potenzialità di una rete aperta. Consentano pertanto a chi è piccolo ora di poter avere le stesse opportunità di crescita e di concorrere in innovazione senza dover pagati dazi troppo elevati. I consumatori e l’ecosistema in generale ne beneficerebbero.
Infine riaprire i mercati dal basso attraverso l’empowerment del consumatore (o meglio masse critiche di essi) è anche una alternativa più sana e percorribile, con minori esternalità negative, rispetto al rimedio recentemente più volte prospettato del break up di piattaforme globali attraverso il public enforcement.
Quali effetti in Italia
In Italia si era tentato appunto con il disegno di legge Quintarelli, che aveva trovato consenso trasversale ma che, alla fine non fu approvato.
Ora pare anche più interessante poter arrivare al medesimo risultato non in chiave legislativa ma giurisprudenziale, studieremo pertanto con grande interesse questo caso americano per verificarne la replicabilità nell’ambito delle giurisdizioni europee.
Per Euroconsumers, di cui fa parte in Italia AltroConsumo, la priorità è quella di esprimere nel prossimo futuro un approccio nuovo alla tutela dei consumatori visti non più solo quali soggetti deboli del mercato ma quali veri e propri protagonisti di esso. In tal senso il private enforcement consumerista garantirà anche un riequilibrio dei mercati digitali che diventeranno così di nuovo equi sostenibili e innovativi.