gli scenari

Arte nel Metaverso: NFT, videogame, illusionismo

Videogiochi, ma non solo. L’arte nel Metaverso sarà il connubio tra visori e blockchain: i primi garantiranno una fruizione differente, mentre gli NFT accerteranno l’unicità e la rarità dell’opera. Ma come sarà creare solo per la realtà estesa?

Pubblicato il 10 Feb 2022

Lorenza Saettone

Filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons

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Cosa significherà fruire dell’arte nel Metaverso? Cosa significherà creare un’opera di genio interamente pensata per la realtà estesa? Degli assaggi possiamo già averli oggi. Innanzitutto, con i videogiochi: arte che già raduna sotto di sé musica, narrativa, poesia, arte visuale, moda, recitazione ed espressione tramite movimento, quindi danza, lotta, animazione, mimica facciale.

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Il game play diventa performance artistica

Già adesso i giocatori compiono atti artistici in videogame come GTA o Tom Clancy’s: The Division. Qui, il collettivo artistico Total Refusal ha volutamente preso le distanze dalla meccanica classica del gioco, dagli obiettivi, per godersi l’atmosfera, la rarefazione del libero arbitrio, il panorama mozzafiato del multiplayer al di là della guerra, in un ozio per certi versi romantico per altri decadente. Il game play è diventato una performance artistica per il Patchlab Digital Art Festival, nel quale il team di artisti si è preso il suo momento per parlare di architettura, urbanistica, politica. A questo assomiglierà il Metaverso? Probabilmente sì. La personalizzazione dello spazio virtuale, cioè la liceità del potersi muovere senza l’ansia del “game over” per una missione inevitabile.

Forgetter, invece, è un videogioco su Steam nel quale si vestono i panni di un tecnico avente il compito di epurare la mente degli artisti da traumi che impediscono loro di creare. All’interno del gioco ci sono le opere di una reale collezione cinese Dslcollection, fondata da Lévy e Dominique. Questa coppia di artisti ha deciso di rendere fruibile la loro arte in-game, complice il fatto che la pandemia ha spostato la nostra esistenza sempre più sul piano virtuale. Inoltre, lasciare che le loro opere vengano cancellate per ragioni di game play è per gli stessi artisti un atto forte con cui comunicare la situazione artistica odierna. La collezione si trova, poi, presso Sansar, una piattaforma in realtà virtuale, fruibile anche su Steam. Essa ospita eventi sociali di ogni tipo come concerti ed esibizioni artistiche e come Second Life ha le proprie valute, i Sansar Dollar S$.

Probabilmente come è successo su Polka City dove un uomo ha guadagnato centomila dollari con un’officina e una banca virtuale, sempre più spesso il sostentamento degli artisti passerà dagli open world. Si monetizzerà con le crypto valute dentro agli spazi virtuali acquistando aste, gallerie, palazzetti in cui far esibire band musicali. Tale modello di gioco play-to-earn lo troviamo anche nel più noto The Sandbox. Qui chiunque può creare un oggetto tramite il software gratuito di cui il videogame è proprietario, VoxEdit. La cosa nuova è che gli artisti possono prendere la loro creazione e venderla nel Marketplace del gioco come un NFT. Anche le terre e i mondi che gli users vi creano sopra vengono venduti nello stesso modo degli asset, come NFT registrati su blockchain Ethereum. Quindi in The Sandbox si monetizza già facendo pagare l’affitto a chi entra nella land, a chi gioca ai games, a chi partecipa a contest, eventi… insomma chi gioca lavora.

La connessione tra VR e illusionismo

Probabilmente l’unica arte che non potrà davvero essere replicata nel Metaverso è l’illusionismo. Caliamoci nella situazione e immaginiamo di assistere alla scena di due avatar, il mago e l’assistente, nella quale lei sparisce dietro a un telo. Ci stupirebbe? Certamente no, la sparizione non ci sembrerebbe affatto una “magia”. Quello che vedremmo sarebbe una scena qualunque resa possibile dalle possibilità del videogame stesso.

La realtà virtuale è già un’illusione di per se stessa. Ecco dunque che l’unica arte assolutamente non riproducibile in VR sarebbe proprio la prestidigitazione. Tuttavia il teatro potrebbe trarre vantaggio dall’integrazione di VR e AR con la performance dal vivo: il visore potrebbe permettere agli attori di generare sul palco fantasmi per arricchire di significati ulteriori il racconto e ai maghi di far sperimentare altri tipi di illusioni psicologiche giocando su quelle che la tecnologia rende possibili.

In verità la fruizione museale, turistica, la fotografia completamente virtuali possono funzionare come piano di emergenza, come male minore in tempo di pandemia. Si spera, però, al ritorno ai concerti live, alla street art sulla strada, e in questo si presume che il Metaverso, come prospetta Zuckerberg stesso, non sia in antitesi come un amante geloso: “O me o la realtà analogica, scegli!” Quel che dovrò accadere, piuttosto, è che le nuove piattaforme e i device rendano possibili la sovrapposizione di piani, una nuova possibilità estetica di ipertesti ed esperienze inedite. Deve integrare la possibilità agli utenti di aggiungersi all’opera, di renderla un percorso in divenire, mai statico. La società odierna non può più permettersi monumenti.

La connessione tra VR e illusionismo è evidente anche dal passato del fondatore del noto parco in realtà virtuale The Void. Curtis Hickman era un mago. Egli aveva contribuito a realizzare le illusioni di Copperfield e Chris Angel. Un giorno era venuto in contatto con un programmatore Unity esperto di realtà aumentata e virtuale. Fu attraverso la sua expertise che cominciò a creare illusioni che prevedessero l’utilizzo di tali tecnologie. In un’intervista dice che per creare contesti virtuali all’interno del suo parco, situazioni che sembrino fisicamente possibili, bisogna sfruttare le antiche tecniche della magia, dalla gestione delle emozioni dello spettatore, alle luci, dalle tecniche di mentalismo per guidarlo verso scelte condizionate, al controllo dell’attenzione tramite movimenti, suoni, parole. Ad esempio per dare l’illusione che tutta la realtà simulata virtualmente sia ugualmente reale si deve prestare maggiore attenzione agli elementi vicini all’osservatore, quelli che potrebbe afferrare. Se sono strutturati in modo che il colore, la resistenza, la forma illudano della loro materialità allora anche un’auto volante in fondo alla scena sembrerà automaticamente reale.

Il connubio tra visori e blockchain

L’arte nel Metaverso sarà il connubio tra visori e Blockchain. I primi garantiranno una fruizione differente, mentre gli NFT accerteranno l’unicità e la rarità dell’opera, quelle che Benjamin aveva indicato come elementi essenziali dell’aura artistica, lamentando una loro perdita in seguito alla riproducibilità della fotografia.

Nel 2016 al Palazzo Reale di Milano, il noto crypto artista Fabio Giampietro presentò l’opera “Hyperplanes of Simultaneity”. Su una tela di 10 metri di lunghezza, ritrasse città ideali, giocando opportunamente sulle prospettive, per creare una sorta di cono ottico. Se l’immagine nel quadro veniva vista con gli Oculus Rift lo spettatore era catapultato nel dipinto, espandendo l’opera nelle tre dimensioni. Un po’ come nella scena di Mary Poppins quando, per magia, tata, spazzacamino e bambini entrano nei disegni a gessetto e vivono esperienze al di là della realtà. O ancora come nel video di presentazione di Meta, nel quale, dal museo, i visitatori vengono risucchiati nella realtà virtuale al di là del quadro. Però, come viene ribadito nell’articolo di MEET, si deve sempre partire dalla tela concreta. Insomma è chiaro che ci attenda l’unione tra analogico e digitale, una sintesi nella quale ognuna delle due sfere contribuirà con le sue proprie caratteristiche all’esperienza finale estetica.

Il disco di Max Manfredi, “Il grido della fata”, uscirà presto nella versione “scrigno”. La software house che ha curato tale progetto, Vibrisse Studio di Savona, promette lo stesso Aufhebung per la musica: liquidità e solidità. Si torna alla necessità di un oggetto fisico, più curato di prima, pieno di immagini, testi, rigorosamente senza plastica e quindi senza disco all’interno; un libricino (avvicinando di nuovo musica e letteratura) che rivela, in realtà aumentata, uno scrigno, appunto, di esperienze in divenire, contenuti aggiuntivi, arrangiamenti alternativi, oltre alle tracce dell’album in qualità da master. Tutto questo però abbisogna sempre dell’innesco delle pagine di carta, senza le quali le possibilità del digitale non sarebbero possibili.

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