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Artifact, se l’intelligenza artificiale sceglie le notizie per noi

Artifact potrebbe rivelarsi un’operazione rivoluzionaria nel contrasto alla polarizzazione se in futuro puntasse la potenza dell’AI verso il riequilibrio delle lacune e dei pregiudizi del fruitore. Al momento, però, non sembra che un nuovo specchio nel quale l’utente continua ad ammirare il proprio ego

Pubblicato il 31 Mar 2023

Sabino Di Chio

Docente di Media e Consumi Culturali, Università degli Studi di Bari

chatgpt open ai

In giorni in cui ChatGPT spaventa per l’invadenza con cui si infiltra in attività tradizionalmente umane come la scrittura di articoli giornalistici, i creatori di Instagram Kevin Systrom e Mike Krieger lanciano Artifact, app che ricolloca l’AI nelle mansioni più servizievoli di curator.

Ruolo sempre gradito per mettere ordine nell’abbondanza degli stimoli digitali ma di certo non meno innocuo: la TikTok dei testi (definizione di Casey Newton) riduce il caos informativo offrendo un feed tarato sull’utente che riproduce la magia del “per te”, quel mix di consigli intimi e previsioni indovinate che rende così coinvolgente l’esperienza sul social di ByteDance.

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Artifact, l’informazione lontana dal “collasso dei contesti” dei social

Se informarsi nel 2023 è un’esperienza frammentata, l’obiettivo è ricondurla in una struttura più solida, edificata intorno all’utente. Artifact (eloquente crasi tra termini apparentemente lontani come artificial e fact) si inserisce tra testate e lettori di lingua inglese per offrire percorsi individualizzati e più sicuri. L’informazione torna così in un ambiente specifico, lontano dal “collasso dei contesti” dei social generalisti in cui la notizia sgomita per l’attenzione con intrattenimento, vicende private e le infiltrazioni malevole delle troll factory. Il diretto competitor è Twitter, luogo digitale preferito da chi ama informarsi ma funestato da flame, risse e ultimamente da un preoccupante protagonismo del proprietario. La nuova piattaforma riesuma la postura da gatekeeper e si fa garante della “qualità” bloccando fuori dal cancello le testate con pessima reputazione.

Una delle dichiarazioni più citate dalla presentazione dell’app vede Kevin Systrom rivendicare con orgoglio la volontà di prendere scelte difficili, in controtendenza rispetto all’ecumenismo da Silicon Valley: “One of the issues with technology recently has been a lot of these companies’ unwillingness to make subjective judgments in the name of quality and progress for humanity. Right? Just make the hard decision”. Artifact vorrebbe porre fine all’indistinzione dei contenuti, auto-assegnandosi però su basi non troppo chiare il compito di settare lo standard di veridicità e accuratezza necessari per accedere ad un game dell’informazione concepito come servizio individuale molto più che come strumento civico.

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Come funziona Artifact

La prima colonna visualizzata dall’utente si intitola, infatti, “for you” e, come il gemello TikTok, è terra governata dall’intelligenza artificiale. Le testate ammesse vedono i contenuti (esclusivamente testuali) messi in fila secondo parole chiave suggerite dall’utente all’atto dell’iscrizione: politica, sport, tecnologia, ecc. Si avvia un’interazione uomo-macchina che raffina i suggerimenti man mano che l’utente compie le sue scelte di lettura. Nonostante l’ampiezza dell’offerta, il machine learning inevitabilmente inclina la navigazione verso canali tematici e testate predeterminate, riproducendo quell’effetto replica a molti familiare dopo l’immersione nel wormhole di TikTok. Così pensato, il servizio risulta utile per chi ha necessità di rimanere aggiornato su un tema, dal militante politico al tifoso sportivo, fino allo specialista. Per tutti gli altri, torna il rischio di chiusura nelle preferenze già espresse, solo attenuato dalla presenza della seconda colonna, annunciata dall’icona di un pianeta e intitolata “headlines”.

Questa sezione propone le notizie più rilevanti secondo la classificazione professionale delle redazioni: l’interfaccia suggerisce la volontà di creare un luogo in cui la centralità dell’utente, caratteristica ineludibile dell’ecosistema digitale, non si esaurisca in rifugio nelle camere dell’eco ma riesca a contaminarsi con lo sguardo al mondo di chi esercita una competenza chiamata ogni giorno a “pesare” i fatti ed etichettarli come degni di nota. Le affordances della app, però, rivelano chiaramente quanto agli headlines sia riservato un ruolo ancillare rispetto alla selezione personalizzata.

La conferma è nella terza sezione che riassume le statistiche di utilizzo con il consueto affollamento di cifre e ranking. L’abuso di quantificazione vuole offrire al lettore un report costante sulle abitudini di lettura, sfidandolo al coinvolgimento attraverso una gamification che incoraggia in base al numero di articoli letti ed ai giorni consecutivi di frequentazione dell’app. È possibile conoscere le testate più lette, i temi più frequentati, ricostruire la reading history e pian piano salire di status, da beginner a scholar fino a sage (oltre i 250 articoli letti). Ogni articolo è corredato dal numero complessivo di letture ed ogni topic racconta da quanti articoli è trattato.

La solitudine dell’utente di fronte all’AI

Artifact è disponibile ad oggi in una versione sperimentale, priva di interazioni social e della possibilità di pubblicare contenuti generati dall’utente. Nei prossimi mesi queste funzioni saranno implementate ma le parzialità dell’avvio, unite alle incertezze tipiche delle fasi iniziali del machine learning, offrono al momento una sensazione di solitudine al fruitore, che affida la domanda di informazione ad un dialogo/monologo con l’intelligenza artificiale, senza che la selezione di notizie sia mediata da una scelta editoriale, da una visione del mondo, da una proposta di gerarchizzazione più complessa del trend topic e della perpetua conferma degli interessi personali (Systrom parla di interest graph come nuovo paradigma dei social animati dall’AI[3]).

Il modello di business, d’altra parte non si discosta troppo dalla ricetta classica della platform society: la personalizzazione dell’advertising. Mentre l’intelligenza artificiale aiuta l’utente nell’affinare le ricerche, nel lato sommerso della piattaforma la stessa aiuta la corporation ad affinare la profilazione. C’è un tentativo di monetizzazione in più: contrattualizzare la relazione con le testate ergendosi a mediatore dei mediatori, con conseguenti rischi già accennati di centralizzazione del controllo dell’agenda.

Conclusioni

Il monitoraggio sembra uno specchio nel quale l’utente continua ad ammirare il proprio ego e la propria costanza come fosse un percorso di fitness, con una lieve possibilità di incontrare nell’app un attrito. Artifact potrebbe rivelarsi un’operazione rivoluzionaria nel contrasto alla polarizzazione se in futuro puntasse la potenza dell’AI verso il riequilibrio delle lacune e dei pregiudizi del fruitore.

Offrendo visioni distanti, aliene o alternative, diluendo le certezze granitiche in un contesto fatto di pluralità, in cui sia possibile entrare in contatto con l’altro da sé, lontano, ingiusto, detestabile ma unito all’utente nel destino di una comunità politica o di una comunità di racconto. Questa sarebbe davvero una hard decision. Forse troppo hard per la Silicon Valley.

Note

  1. https://www.platformer.news/p/instagrams-co-founders-are-mounting
  2. https://www.theverge.com/2023/1/31/23579552/artifact-instagram-cofounders-kevin-systrom-mike-krieger-news-app
  3. https://techcrunch.com/2023/03/07/the-tech-behind-artifact-the-newly-launched-news-aggregator-from-instagrams-co-founders/

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