intelligenza artificiale

Artificial General Intelligence, lecito interrogarsi sulle implicazioni: cosa dicono gli esperti

Alla fine del 2022, a Montreal, si è tenuto un dibattito sull’Intelligenza artificiale forte a cui hanno partecipato figure interdisciplinari di spicco, tra le quali la presidente dell’Association for the Advancement of Artificial Intelligence, Francesca Rossi. Ecco cosa ne è emerso

Pubblicato il 01 Feb 2023

Antonio Cisternino

Università di Pisa

agi

Quello sulle intelligenze artificiali (AI) è un tema di grande rilievo non solo nel dibattito specialistico: l’acronimo AI è ormai di fatto un brand che vediamo sempre più spesso e che viene associato anche a numerosi prodotti. Un nuovo acronimo che sarà sempre più gettonato è AGI (Artificial General Intelligence), anche noto come Intelligenza artificiale forte o Deep AI, e fa riferimento a quella branca dell’intelligenza artificiale che cerca di rendere intelligente il comportamento delle macchine, emulando il funzionamento della mente umana.

Durante le ultime settimane gli organi di informazione hanno dato molto spazio alle AI generative, soprattutto per quanto riguarda le loro capacità di generare immagini o di interpretare e generare testo. Capacità, a detta di molti osservatori, in grado di ridisegnare i confini dei compiti che una macchina può svolgere sconfinando in attività tipicamente umane.

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Il dibattito di Montreal

Il 23 dicembre si è tenuto il dibattito promosso dal progetto canadese Quebec.AI con esperti di AI e, non solo, che si sono confrontati su cinque argomenti:

  • Cognition and Neuroscience
  • Common Sense
  • Architecture
  • Ethics and morality
  • AI: Policy and Net Contribution

Tra gli speaker coinvolti, oltre una dozzina, mi ha colpito la presenza di Erik Brynjolfsson (economista di Stanford), di Noam Chomsky (padre delle grammatiche formali e storico studioso del linguaggio), e dell’italiana Francesca Rossi (presidente dell’Association for the Advancement of Artificial Intelligence, AAAI). Le oltre tre ore di dibattito in inglese sono interamente disponibili su YouTube e meritano di essere ascoltate. Lo scopo di questo articolo non è quello di relazionare sulle domande attorno alle quali il discorso si è sviluppato, ma evidenziare i punti salienti del dibattito.

È interessante considerare le osservazioni di chi non sviluppa questi sistemi ma è esperto di discipline affini e che offre un punto di vista critico sulle possibili implicazioni di queste tecnologie rivoluzionarie.

Ispirazione dalle scienze cognitive: il vero significato di comprendere

Noam Chomsky è stato uno dei pionieri nello studio del linguaggio umano e della sua comprensione. Ha fornito strumenti che hanno condizionato lo sviluppo dei linguaggi formali (e quindi dei linguaggi di programmazione) contribuendo in modo sostanziale allo studio formale delle lingue.

Non stupisce quindi che, nel suo intervento, si ponga il problema che, in un sistema come Chat GPT-3, non avanzi necessariamente la comprensione umana sul linguaggio, limitandosi semplicemente a imitarlo a “scatola chiusa” senza una reale comprensione dei meccanismi profondi e delle strutture che decenni di ricerca hanno contribuito ad evidenziare.

Si tratta di temi e riflessioni centrali allo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale, poiché è facile rimanere abbagliati dal comportamento complesso di un sistema meccanico e si può perdere di vista la domanda se si tratti di vero progresso, o quantomeno di progresso nella comprensione di noi stessi.

Un evidente limite di questi sistemi è il controllo dei loro comportamenti: il sistema apprende dai dati che gli vengono mostrati e le sue risposte, incluso quelle errate, possono difficilmente essere controllate, così come è difficile stabilire perché l’intelligenza artificiale esibisce un particolare comportamento da rettificare. L’unico vero meccanismo a nostra disposizione per aggiornare i modelli è fare quello che si fa con un bambino: si dà un rinforzo negativo o positivo a seconda della qualità della risposta. Ma, come dice Chomsky, difficilmente il funzionamento di un’AI può essere definito come la comprensione del linguaggio e della nostra mente.

L’economia al tempo dell’automazione del controllo

Il punto di vista dell’impatto socio-economico di queste tecnologie, in particolare nel mondo del lavoro, è un tema centrale che gli americani studiano da quasi dieci anni, a partire dal libro “The Second Machine Age” di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, che ha dato una chiave di lettura centrale per capire il ruolo che le tecnologie digitali hanno nella trasformazione della nostra società.

Con una tesi che ha sicuramente cambiato il mio modo di vedere il mondo, i due economisti osservano come la crescita esponenziale di un indice che rappresenta lo sviluppo sociale di una popolazione sia partita con la prima rivoluzione industriale, che con l’invenzione del motore a vapore ha consentito l’automazione nella produzione dell’energia, e continui con la seconda rivoluzione industriale che stiamo vivendo e in cui si sta automatizzando il controllo.

In effetti la trasformazione del mondo è inevitabilmente riconducibile all’impiego di energia per svolgere un certo lavoro e dal controllo necessario per decidere come dove e quanta energia serve. In questo modello sicuramente molto astratto ma anche molto convincente, risulta evidente come tutte le professioni legate al “controllo” come molti lavori da ufficio, saranno oggetto di automazione nei prossimi anni. E, come è già avvenuto durante la prima rivoluzione industriale, assisteremo ad una radicale trasformazione del mondo del lavoro, con intere professioni che spariranno per lasciare spazio a nuove attività.

Nel suo intervento nel dibattito, anche il professor Brynjolfsson sottolinea che in un certo senso la schiavitù ha storicamente svolto il ruolo di automatizzare certi compiti (dal punto di vista di chi usava il lavoro degli schiavi) con la differenza che adesso sono le macchine a potere svolgere questa automazione sollevando tutti gli esseri umani da compiti che oggi prevedono un compenso. Viene sottolineato che in economia se un lavoro viene sostituito da una macchina allora ci troviamo di fronte ad una cattiva notizia: i salari caleranno poiché la macchina costa meno, ma se invece la macchina è complementare al lavoro, allora si osserva un incremento salariale.

Nella storia si assiste più frequentemente al secondo caso, per fortuna, e non si può non pensare all’intervento di fine anno del Presidente Mattarella sull’innovazione e sulla necessità di governarla e non contrastarla. In questa chiave di lettura si può pensare di adottare politiche che favoriscano macchine che affianchino lavoratori invece di sostituirli. In effetti, la recente stagnazione degli stipendi è largamente dovuta alla sostituzione di lavori che sono stati meccanizzati, riducendo la redistribuzione del valore generato dalle nuove tecnologie e contribuendo a creare le sperequazioni a cui tutti assistiamo con sempre più risorse in mano a sempre meno individui.

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Un futuro da controllare

L’intervento di un legislatore americano sottolinea il ruolo cruciale che l’evoluzione del sistema giuridico avrà per poter tener conto che la deliberazione di alcune azioni non sarà più interamente sotto controllo dell’uomo.

In effetti uno dei motivi per cui le automobili non si guidano ancora da sé è fortemente legato alla risposta alla domanda “se un’automobile autonoma investe qualcuno di chi è la colpa?”.

A livello nazionale, dovremmo promuovere osservatori e gruppi di lavoro capaci di monitorare questa rapida evoluzione tecnologica e cercare di governare l’impatto che avrà sul sistema sociale e lavorativo in modo di potere ridistribuire su tutti il valore che inevitabilmente produrrà, evitando che rimanga nelle mani di pochi.

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