Il nuovo Coronavirus, nel “parlare” alla comunità globale, ha sicuramente impresso una decisa accelerazione a diversi processi che da tempo erano latenti. Tra questi, molti intravedono come sempre più certa la crisi delle dinamiche di scambio globali, che nell’immaginario collettivo prendono il nome di globalizzazione e il sopravvento della “autarchia tecnologica”, in particolare nel contesto dei rapporti Usa-Cina.
Si tratta però di scenari con molte ombre poiché, se è vero che la globalizzazione, con la sua forza espansiva, può aver forse incontrato un contrappeso cruciale nella pandemia da Covid-19, non si può non evidenziare che il fenomeno, associato nella vulgata al periodo che va dal crollo del muro di Berlino fino ad oggi, con un primo inciampo nella crisi finanziaria del 2008, è in realtà antico e complesso.
Come nasce la globalizzazione
Di globalizzazione come modello può iniziare a parlarsi già da quando, in Europa, entità politiche e geografiche distinte hanno cominciato a individuare standard condivisi per facilitare gli scambi commerciali. Unità di misura, valute, lingue hanno costituito l’infrastruttura necessaria per la spirale di crescita che, grazie anche al credito e alle scoperte scientifiche e all’aggressività coloniale, ha piano piano avvolto tutto il globo.
L’egemonia europea ha veicolato negli altri continenti anche la propria idea di mercato e, con essa, di globalizzazione, che nel tempo, soprattutto grazie all’impulso del dualismo ideologico novecentesco, ha palesato anche i propri caratteri marcatamente culturali.
Oggi, in molti casi, la semplice condivisione di standard propedeutici al fiorire di scambi commerciali è mutata in vera e propria interdipendenza tra attori geopolitici, siano essi stati, società o altro. Fattori del fenomeno quali la delocalizzazione della produzione in contesti deregolamentati o meno costosi, hanno fatto sì che sia pressoché impossibile, oggi, tracciare un vero confine dello spazio di sovranità di un’entità politica.
Progresso tecnologico e globalizzazione
Il progresso tecnologico in campo ICT, poi, essendo autoctono di un’epoca in cui le dinamiche sopra descritte erano già radicate, ha ereditato in pieno (beneficiandone) i caratteri della globalizzazione. Fin dall’inizio di questa rivoluzione, deflagrata culturalmente e tecnologicamente nella Silicon Valley dell’ideologia californiana e dei primi microchip, il carattere transfrontaliero della stessa ne è stato motore e presupposto.
Oggi sappiamo benissimo che l’enorme mercato globale digitale, la new economy, la stessa “infosfera” in cui siamo immersi e che, probabilmente, caratterizzerà l’era cominciata con gli anni ’10 del nuovo millennio, non esisterebbe se non fosse per il carattere marcatamente globalizzato della filiera tecnologica.
Senza le “terre rare” (soprattutto cinesi), la produzione a basso costo dislocata in luoghi sufficientemente poveri, deregolamentati ma stabili, l’impulso nello sviluppo di hardware e software coltivato dalle grandi potenze globali (in particolare USA e Cina), non avremmo smartphone, social network, app, AI e IoT.
Lo sforzo per produrre quella che, forse, col senno di poi, sarà vista come la più grande svolta tecnologica della storia – la sinergia creativa tra la digitalizzazione dell’intera esperienza reale (big data) e una nuova forma di intelligenza non umana (I.A.) – è talmente ciclopico che può essere realizzato solo attraverso l’impulso convergente di tutta la comunità globale.
Verso l’autarchia tecnologica?
Per questo solleva alcuni interrogativi l’idea per cui si possa pensare, come lasciano intendere alcune di notizie, che qualcuno possa ruotare le proprie scelte politiche intorno a quella che viene definita “autarchia tecnologica”. Un conto è, infatti, pensare di circoscrivere con chiarezza il perimetro degli interessi vitali della nazione, sia in termini di servizi che di infrastruttura, e garantirsi continuità e resilienza in questi a prescindere da azioni ostili di provenienza esterna. Altro è pensare, anche in risposta al recente dramma pandemico, che si possa adottare un modello diverso da quello che implica interdipendenza profonda tra diverse entità politiche, mantenendo lo stesso livello qualitativo e quantitativo garantito oggi, soprattutto in campo tecnologico.
La globalizzazione, come dicevamo, può aver forse incontrato un contrappeso cruciale nella pandemia da Covid-19, che probabilmente si innesta in un processo deflattivo già in atto, fosse anche solo per raggiungimento del risultato: il mondo, oggi, è un organismo unico.
Che emergano pubblicamente i limiti vistosissimi di un modello basato sulla disuguaglianza indotta (ma ipocritamente mascherata da chi gode dei benefici del sistema), sull’omologazione culturale e biologica che tanto male fa alla felicità individuale e collettiva, è inevitabile e, forse, foriero di aggiustamenti fertili degli equilibri globali.
Tuttavia, se alternatività e confini devono essere, lo saranno in un modo inedito, perché oggi non è più pensabile un conflitto tra stati possa essere condotto con il fine, da parte di uno, di annichilire l’altro: inevitabilmente, annichilirebbe anche sé stesso.
I rapporti Usa-Cina
Per questo i rapporti tra Cina e USA potranno certamente evolversi, mantenendo la conflittualità pre-Covid e sviluppando, anche a causa di quest’ultimo, una forma di maggior autonomia l’uno dall’altro, ma è difficile vedere all’orizzonte una vera e propria cesura nei rapporti.
Al covid-19 è sicuramente attribuibile una decisa accelerazione a diversi processi che da tempo erano latenti. L’attenzione per l’ambiente, anche sotto forma di tutela della biodiversità, ha acquisito ulteriori argomenti. La circolazione di persone e merci vista come una virtù assoluta sarà certamente messa in discussione, anche perché sembra che i costi (in termini economici, ma anche di tempi, basti pensare ai voli aerei) lieviteranno non poco.
Tutto questo, oltre alla retorica che discende dalle paure dell’untore che non svanirà certo alla svelta, costituirà certamente un fattore utile nell’acquisire o conservare consenso pur applicando politiche “protettive”. Di certo tutti, dagli individui alle nazioni, abbiamo compreso che possiamo e, in parte, dobbiamo tornare a porre attenzione alle nostre capacità di autosostentamento. Abbiamo imparato che le opportunità meravigliose che, nella nostra parte del mondo, sono a disposizione di individui, aziende e comunità non possono tradursi in una trappola, pronta a scattare alla prima interruzione dei canali di approvvigionamento.
Perché l’autarchia tecnologica è utopia
Tuttavia, l’autarchia tecnologica (riferita alle tecnologie dell’ICT ed in particolar modo in campo civile) non pare possibile. La nuova economia è fondata sullo scambio dei dati e presupposto assoluto di questa è che si mantengano aperte relazioni che si traducono in interdipendenza, forse ancora maggiore da quella portata dagli scambi di capitali e di debiti (che, peraltro, incidono notevolmente sul presente discorso). Se poi si pensa che – ragionando per assurdo – anche per compiere l’atto di conflittualità più spinta che si possa immaginare tra due stati in ambito cyber, è necessario essere interconnessi, la questione assume tratti ancor più definiti. Due sistemi che, a livello di hardware o di software, non dialogano, sono due sistemi che non generano profitti e che non implicano alcuna possibilità di relazione, nemmeno aggressiva.
Per tutte queste ragioni è interessante osservare come gli eventi storici influiscano sugli equilibri geopolitici anche scompaginando dinamiche che, a chi le vive in prima persona, paiono imprescindibili. Occorre però ricordare che, alle volte, esistono direzioni che nessuno shock può realmente alterare, pur perturbando fortemente la linea degli eventi sul breve termine.
Gli USA potranno certamente far tesoro del contesto per perseguire una strategia di diversificazione delle forniture di servizi essenziali e di definizione di perimetri per i quali occorre raggiungere un livello non critico di dipendenza dall’esterno, ma il futuro della tecnologia digitale non può che essere organico e, salvo rinunciarvi in toto, difficilmente si potrà cambiare questo fatto.