L’algoritmo è salito sul banco degli imputati in ben tre occasioni nel mese di luglio, durante le cerimonie di presentazione in Parlamento delle Relazioni annuali delle tre Autorità garanti: privacy, comunicazioni, concorrenza. Tre tavoli, che stanno convergendo, dandoci ora qualche indizio su quale potrebbe essere l’orientamento delle regole in Italia su queste macro questioni nei prossimi mesi.
La prevaricazione dell’algoritmo sulle nostre vite
Quella che è già stata ribattezzata “algocrazia”, intesa come prevaricazione dell’algoritmo sulle nostre determinazioni individuali, ci rende inconsapevoli complici di poteri opachi. La sovranità sulle nostre vite, sui nostri dati, sulle nostre scelte appare limitata dalla sproporzione tra la “potenza di fuoco” che i colossi della Rete sono in grado di sprigionare nell’economia digitale, attraverso applicazioni e servizi di ogni tipo, e la limitatezza delle nostre facoltà di controllo della diffusione in Rete di informazioni che ci riguardano.
La sfida della qualità dell’informazione interpella la sensibilità dei legislatori, la premura operativa dei responsabili delle piattaforme, ma anche la competenza e l’affidabilità professionale dei produttori di informazioni e la capacità di discernimento degli internauti.
Si è detto da più parti che una delega in bianco ad un algoritmo per indicizzare il patrimonio informativo della Rete potrebbe tradursi in una erosione progressiva della nostra sovranità sulle nostre vite e nell’annegamento delle verità certificate in un mare magnum di informazioni indistinte e non verificate. Che lo strapotere dell’onnisciente algoritmo possa imbrigliare la nostra libertà è una minaccia incombente e noi concorriamo a realizzare questo scenario da Grande Fratello lasciando in Rete una miriade di tracce digitali che consentono alle società informatiche di tracciare un profilo preciso della nostra persona. Siccome l’elaborazione degli algoritmi si basa sulla cessione spontanea (ma a volte inconsapevole) dei nostri dati, occorrerebbe spingere i governi e le organizzazioni internazionali a disciplinare in forme da definire e a far certificare da autorità garanti i metodi di trattamento delle informazioni da parte dei gestori delle piattaforme, anche perché essi si avvantaggiano indubitabilmente di tali flussi, che hanno influenza sull’economia e sulla vita di intere popolazioni.
Di qui anche l’esigenza di affermare un nuovo “umanesimo digitale” all’insegna della libertà creativa di tutti e della crescita socio-culturale ed economica del Paese.
“La capacità di estrarre informazioni e correlazioni che sono nascoste nei dati –scrive il Presidente dell’Autorità garante della privacy, Antonello Soro nel suo ultimo libro “Persone in Rete. I dati tra poteri e diritti”- richiede tecnologie estremamente avanzate e il rischio è quello di dilatare a vantaggio di poche multinazionali digitali, non soltanto la supremazia economica, ma il potere di conoscere i fenomeni che possono governare e influenzare il nostro sapere”.
La posizione del Garante privacy Antonello Soro
Nella sua Relazione il Garante della privacy ha disegnato un impietoso ma realistico scenario sulla nostra fortemente minacciata libertà in Rete. L’affermazione della nostra corretta identità digitale passa attraverso due snodi fondamentali: l’autotutela, cioè il nostro sano discernimento nella pubblicazione delle informazioni personali, e l’impegno degli Stati a non sottovalutare gli attacchi informatici e lo strapotere dei colossi del web. Il nuovo quadro giuridico europeo affermatosi a partire dal 25 maggio con la definitiva entrata in vigore del GDPR (Nuovo Regolamento europeo sulla privacy) ha il merito, a detta di Antonello Soro, “di porre al centro dell’agenda politica le implicazioni del digitale sulla libertà, l’autodeterminazione, l’identità: definita, questa, sempre più a partire dalle caratteristiche che altri – nel nome del primato degli algoritmi – ci attribuiscono, scrivendo per noi la nostra storia”. Per il presidente dell’Autorità garante della privacy siamo soggetti “più di quanto ne siamo consapevoli, a una sorveglianza digitale, in gran parte occulta, prevalentemente a fini commerciali e destinata, fatalmente, ad espandersi anche su altri piani, con effetti dirompenti sotto il profilo sociale”. Gli algoritmi, ha aggiunto “non sono neutri sillogismi di calcolo ma opinioni umane strutturate in forma matematica che, come tali, riflettono, in misura più o meno rilevante, le precomprensioni di chi li progetta, rischiando di volgere la discriminazione algoritmica in discriminazione sociale. Rispetto a questi rischi, risultano importanti le garanzie sancite dal nuovo quadro giuridico in ordine ai processi decisionali automatizzati, assicurandone la contestabilità e la trasparenza della logica, ed esigendo, almeno in ultima istanza, il filtro dell’uomo, per contrastare la delega incondizionata al cieco determinismo della tecnologia”.
La sfida sembra impari ma, nonostante tutto, l’Autorità Garante italiana si è caratterizzata per fortissime e incisive azioni di contrasto e in difesa dei diritti degli utenti. L’Autorità ha aggiunto che “è indispensabile fare della protezione dei dati una priorità delle politiche pubbliche. Il ruolo di questo diritto e della sua tutela nella realtà attuale è, per altro verso, il portato di una società fondata sul potere della personalizzazione dei contenuti proposti, al contrario dei mass media tradizionali, basati invece sull’universalità e unicità del servizio offerto. Il web di cui facciamo esperienza non è, dunque, la rete, ma soltanto la sua parte selezionata da algoritmi che, analizzando le nostre attività e preferenze, ci espongono a contenuti il più possibile affini ad esse, per esigenze di massimizzazione dei ricavi da parte dei gestori, legate al tempo di permanenza e al traffico online”.
“Oltre al diritto alla trasparenza delle scelte algoritmiche, altrimenti opache e insindacabili –ha precisato Soro- il legislatore ha poi opportunamente valorizzato – con la sanzione penale – la tutela rispetto ad utilizzi discriminatori della profilazione, in particolare basata su dati sensibili, nel contesto delle attività investigative. Le regole di protezione dati, se inscritte negli algoritmi assieme ai principi di precauzione, tutela della dignità umana “by design”, possono ispirarne “l’intelligenza”, nella direzione di un nuovo umanesimo digitale”.
Se l’Europa giocherà un ruolo importante in questa partita, sarà proprio per la capacità di dirigere l’innovazione in modo da coniugare etica e tecnica, libertà e algoritmi, mettendoli al servizio dell’uomo secondo quel “principio di responsabilità” indispensabile per governare il futuro.
La posizione del Garante delle comunicazioni Angelo Cardani
Da una diversa angolatura visuale, con una sensibilità più tecnologica e sociologica, è tornato sull’algoritmo anche il Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Angelo Marcello Cardani, nella sua Relazione annuale al Parlamento: “Sempre più ambiti economici e sociali sono governati da algoritmi. Parole, interazioni sociali, spostamenti, localizzazione geografica, gusti, orientamenti. Ma non basta. Sempre di più, tutti gli oggetti che ci circondano funzioneranno sulla base di algoritmi, grazie alle applicazioni 5G ed all’Internet delle cose (IoT). L’impiego così massiccio di algoritmi e di automazione si fonda sull’uso dei Big Data e del machine learning. Viviamo già oggi, e sempre più vivremo in futuro, una epoca di “trasformazione in dati”: già oggi possiamo affermare che Facebook ha “trasformato in dati” le relazioni sociali; LinkedIn quelle lavorative; Twitter le opinioni e gli orientamenti; Amazon le propensioni al consumo, i gusti, le capacità di spesa; Google, ragionevolmente, tutto questo, tutto insieme”.
Sono dunque gli algoritmi che permettono di utilizzare i dati per assumere decisioni in tempo reale e compiere velocemente processi che solo pochi anni fa richiedevano tempi molto lunghi.
“A fronte di questi travolgenti cambiamenti – che avranno senza dubbio effetti molto rilevanti e largamente positivi in termini di ricadute economiche, risparmio, sostenibilità ambientale – occorrerà elaborare una vera e propria strategia italiana sull’intelligenza artificiale, anche per affrontare le complesse problematiche ad essa connesse”, ha aggiunto Cardani.
E poi c’è il grande problema dell’uso secondario di Big Data. Il tema della trasparenza e della neutralità dell’algoritmo. Il tema del governo eterodiretto delle opinioni pubbliche mondiali attraverso Big Data e data learning. Quali possono essere le soluzioni da seguire secondo Agcom? “Una prima direttrice di marcia riguarda la disciplina dei mercati. I paradigmi classici non bastano più a leggere e a sistematizzare lo scenario che abbiamo davanti. Google, Apple, Facebook, Amazon si impongono come monopolisti, anche quando la loro posizione non corrisponde perfettamente al modello consueto di chi controlla un mercato. La stessa definizione classica di mercato rilevante è ormai sottoposta a una rigorosa lettura critica da parte di autorevoli studiosi. E dunque, se le vecchie regole ex post ci appaiono inadatte alla disciplina di questi nuovi mercati, con tanta più forza emerge il tema di una possibile disciplina ex ante. Dobbiamo chiederci se e in che misura si tratta di accompagnare la regolazione che verrà verso forme tecniche di disciplina delle grandi piattaforme digitali e verso un approccio ex ante alla regolamentazione del dato”.
Una seconda direttrice, strettamente connessa alla prima, concerne, secondo Cardani, il grado di neutralità e di trasparenza degli algoritmi, sia con riferimento alle operazioni di gerarchizzazione e di indicizzazione delle news, sia con riguardo al potere di indurre i cittadini a determinati comportamenti (acquisti, stili di vita, opinioni). Posto che gli algoritmi non saranno mai neutrali, l’attenzione va concentrata sul tema della trasparenza, si tratti dei meccanismi che presiedono alla formazione dei suggerimenti, piuttosto che dei margini di errore che il calcolo probabilistico determina.
“Infine –aggiunge Cardani- la terza direttrice, di grande rilievo sotto il profilo politico e sociale, che chiama in causa il legislatore attorno ad un dilemma strategico: se l’immensa galassia Big Data debba restare tutta proprietaria, in nome del diritto dell’impresa e del segreto industriale; ovvero se esista una porzione più o meno rilevante di questi dati che possano essere resi trasparenti e liberamente accessibili sul presupposto della loro natura di bene pubblico”.
Le parole di Cardani collegano, quindi, i dilemmi dell’algoritmo alle sfide dell’e-democracy, da quella dei diritti di cittadinanza a quella per la protezione del diritto d’autore sulle opere dell’ingegno, senza dimenticare la difesa della dignità dell’essere umano e la valorizzazione di quel bene pubblico che è l’informazione: una informazione plurale, professionale, trasparente e verificabile nelle sue fonti, autorevole e credibile quanto ai suoi contenuti.
La posizione del garante della concorrenza Giovanni Pitruzzella
Anche Giovanni Pitruzzella, Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella presentazione della sua Relazione annuale, ha ricordato come la tutela della concorrenza e del consumatore nell’economia digitale continuerà a lanciare nuove sfide all’Antitrust, che dovrà sempre di più attrezzarsi per comprendere i nuovi mercati. Ecco le sue parole sul tema: “Cito tra i tanti problemi che sicuramente si porranno alla sua attenzione, quello del ruolo che possono svolgere gli algoritmi nel realizzare il coordinamento delle attività economiche, particolarmente dei prezzi, di imprese concorrenti. Una collusione realizzata non più attraverso l’intesa tra le persone fisiche ma direttamente dalle macchine e dagli algoritmi, potrà essere sanzionata dall’Antitrust e in presenza di quali condizioni? L’Autorità è pronta a raccogliere queste sfide e, al riguardo, vorrei ricordare che recentemente abbiamo svolto un concorso per selezionare esperti di algoritmi e esperti informatici”.
Chissà se le prossime Relazioni annuali, fra 12 mesi, racconteranno una realtà più incoraggiante e meno minacciosa di quella attuale.