Intelligenza artificiale

Automazione del lavoro: come “guidarla” e creare opportunità per imprese e società

Come già successo in passato, l’introduzione di nuove tecnologie negli ambiti lavorativi porta generalmente valore aggiunto e nuove possibilità per aziende e dipendenti, ma fa anche molta paura. Compito di governi e manager è trovare il modo per ottimizzarne i benefici riducendone possibili rischi e impatti negativi

Pubblicato il 12 Apr 2021

Thomas Osborn

Istituto per la Competitività, I-Com

Lorenzo Principali

direttore Area Digitale di I-Com

automation-and-innovation

Nel corso degli anni l’automazione del lavoro ha rappresentato uno dei maggiori temi di dibattito e di scontro nei campi dell’economia, sia per l’emergere di possibili rischi connessi alla trasformazione degli impieghi abituali – e dei modelli sociali ad essi collegati – sia per la creazione di nuove opportunità in termini di produttività e creatività.

L’importante accelerazione verso un’economia sempre più digitale e flessibile, anche dovuta alla pandemia, ha riacceso il dibattito sul tema, coinvolgendo studiosi, giornalisti, manager e politici. Al di là dell’incertezza che novità e rivoluzioni hanno sempre portato nell’opinione pubblica, le analisi mostrano che, come già avvenuto molte volte in passato, l’introduzione di nuove tecnologie negli ambiti lavorativi porta generalmente valore aggiunto e nuove possibilità per aziende e dipendenti. Compito di governi e manager è trovare il modo per ottimizzarne i benefici riducendone possibili rischi e impatti negativi.

La storia dell’automazione nel mondo del lavoro

Nella storia dell’economia le grandi rivoluzioni tecnologiche e industriali sono state generalmente caratterizzate da due fasi: un’iniziale incertezza, unita alla necessità di modificare le proprie abitudini lavorative e, successivamente, l’apertura di nuovi scenari in termini di impieghi e mansioni.

Sebbene si discuta da tempo sugli effetti a lungo termine, è ormai comunemente accettato che il cambiamento tecnologico possa causare la perdita di alcune tipologie di posti di lavoro nel breve termine. L’arrivo di nuovi macchinari e il senso di impotenza davanti ai grandi avanzamenti della tecnologia alimenta da millenni il timore di perdere il lavoro e di essere sostituiti dalle macchine. Già nel 320 a.C. Aristotele parlava di strumenti in grado di sostituire l’operato degli uomini, ed è nota la sua citazione secondo cui “se ogni strumento, su comando o spontaneamente, potesse svolgere il lavoro che gli si addice…non occorrerebbero apprendisti per i mastri artigiani né schiavi per i signori.”

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Secoli di studi, di analisi e di progresso ci ricordano tuttavia l’importanza di tenere presente la flessibilità del sistema economico. La diminuzione di posti di lavoro in un settore viene generalmente accompagnata dalla creazione di posti di lavoro in altri comparti, come sostenuto da Keynes, secondo cui la “disoccupazione tecnologica” rende i lavoratori “ridondanti” solo nel breve periodo. Fortunatamente, l’automazione non risulta aver mai creato disoccupazione di massa sino ad ora. Piuttosto l’innovazione tecnologica ha generato continuamente nuovi lavori – in genere maggiormente specializzati – per sostituire quelli divenuti obsoleti. Durante il 19° e il 20° secolo, ad esempio, alla progressiva sparizione di mestieri come i lampionai, i carbonai o i centralinisti ha fatto fronte il progressivo incremento di lavori nei campi dell’elettronica, della farmaceutica e dell’automobilistica.

L’automazione dei processi e l’introduzione di algoritmi di intelligenza artificiale e di robot di ultima generazione rappresentano per l’economia una rivoluzione non meno importante di quella causata dall’introduzione dell’elettricità o dei macchinari a vapore in passato. In questo senso, buona parte degli studiosi di lavoro e innovazione sostiene che, anche questa volta, a fronte di alcune professioni che verranno progressivamente ma inevitabilmente sostituite, gli avanzamenti tecnologici creeranno nuove occupazioni, contribuendo inoltre al generale miglioramento delle condizioni di vita grazie all’introduzione di tecnologie che diverranno sempre più essenziali, in particolare nei campi delle comunicazioni, della salute e della sostenibilità.

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L’accelerazione dovuta al Covid

I recenti mesi di pandemia e il conseguente passaggio verso un sistema economico e sociale maggiormente caratterizzato dall’uso intensivo e diffuso di tecnologie digitali hanno spianato la strada alla transizione digitale di imprese e servizi, inducendo a un ripensamento dei sistemi di produzione e dell’organizzazione del lavoro.

In molti Paesi, Italia in primis, il Covid ha portato ad un’accelerazione senza precedenti in questi termini, e forme di lavoro digitale e automatizzato coinvolgono ora, per la prima volta, settori precedentemente caratterizzati unicamente da una forte presenza fisica. Ad esempio, nel giro di poche settimane l’intero sistema educativo e gran parte del mondo dei servizi sono stati trasferiti su piattaforme informatiche, mostrando la duttilità di queste modalità e la semplicità con cui, sebbene non senza conseguenze sociali, queste nuove tecnologie possono garantire continuità e efficienza fino a poco fa assimilabili solo al lavoro manuale o in presenza.

Diversi studi riportano come la tendenza verso una maggiore automazione e digitalizzazione del lavoro abbia subito negli ultimi dodici mesi una significativa accelerazione in termini di adozione di nuove soluzioni, con molte aziende che hanno incorporato anche strumenti di robotica e di intelligenza artificiale con maggiore convinzione a fronte agli effetti della crisi. Una recente analisi di Deloitte rivela infatti che il 73% di organizzazioni e aziende ha iniziato il proprio processo di transizione verso l’automazione nell’ultimo anno, un dato in forte incremento anche rispetto al già significativo +58% del 2019.

Questi trend sono stati accompagnati anche dall’implementazione di una gamma più ampia di tecnologie, nate per permettere alle aziende di semplificare i processi interni e aumentare la quantità di lavoro che può essere automatizzato. Tra le nuove tecnologie più adottate troviamo proprio gli strumenti di automazione robotica: nel 2020 sono stati adottati dall’80% delle aziende, ai quali va poi aggiunto un ulteriore 16% che dichiara di volerne introdurre nei prossimi tre anni.

L’impatto dell’automazione sulle aziende

Gli ultimi mesi hanno costretto il settore privato a tenere conto dei mancati introiti e dell’emergere di nuove spese provenienti dalla crisi tutt’ora in atto. Il Covid sembra infatti aver spinto aziende e organizzazioni a rivedere i propri modelli organizzativi in modo da sopravvivere alla crisi e proiettarsi nella transizione digitale che sembra ormai pienamente in atto. In questo senso, il ricorso all’automazione, all’utilizzo di tecnologie di ultima generazione e alla robotica, sembrerebbe rappresentare il tentativo da parte delle aziende di garantire maggiore efficienza ed efficacia nei sistemi di produzione, così da accelerare l’uscita dalla recessione.

Lo stesso studio di Deloitte rileva che, in media, le imprese si aspettano di vedere ripagati i propri sforzi in favore della conversione tecnologica e dell’automazione con un aumento del 15% delle entrate nelle aree sottoposte a questi cambiamenti. È stato spesso dimostrato come investimenti sui sistemi di automazione portano ad un taglio dei costi e ad una maggiore efficienza nei processi organizzativi, due effetti determinati per aziende e attività economiche – soprattutto in periodi di crisi come quello attuale.

Queste tendenze sono confermate anche dal lato dell’offerta dove, secondo i dati riportati da Gartner, è previsto un incremento del 20% nelle vendite di software per l’automazione nel 2021, peraltro già aumentate del 12% lo scorso anno.

Gli effetti sul mondo del lavoro tra apocalittici, neoluddisti e integrati

Ancora incerti sono invece gli effetti che queste trasformazioni possono portare in termini di posti di lavoro, di tipologia di mansioni coinvolte e di qualità dell’impiego. Gli ultimi mesi hanno infatti riacceso il dibattito sulle conseguenze e il potenziale impatto dell’automazione nel mondo del lavoro, portato a una rinata attenzione intorno alle modalità con cui le nuove tecnologie possono essere sfruttate per favorire maggiore efficienza e, al contempo, creazione di valore aggiunto per imprese e lavoratori.

Diversamente dalle rivoluzioni industriali del passato, il potenziale impatto dell’automazione non riguarda più solo lavori tipicamente considerati meccanici, ripetitivi e poco qualificati, bensì anche interi settori ad alta specializzazione come la sanità, la ricerca e l’high tech.

Inoltre, la rivoluzione sembra interessare un numero crescente di impieghi. A tal proposito McKinsey ha recentemente aumentato la propria proiezione di posti di lavoro interessati dall’automazione entro il 2030 (45 milioni solo negli Usa, a fronte dei circa 37 milioni di lavori stimati prima della pandemia).

Un punto di vista interessante su questo viene riportato anche da un articolo di Kevin Roose per il New York Times, nel quale viene posta l’attenzione sugli effetti dell’automazione rispetto ai cosiddetti “colletti bianchi”. Riprendendo un’analisi dell’Università di Stanford, l’articolo mette in guardia i lavoratori qualificati, un tempo considerati “al sicuro” rispetto alla conversione generata dalla progressiva introduzione dell’automazione. Secondo i dati riportati, i gruppi con la più alta esposizione all’intelligenza artificiale sarebbero infatti i lavoratori meglio pagati e meglio istruiti, soprattutto se impegnati in ruoli tecnici e di supervisione.

Un dato su tutti fa maggiormente riflettere: i lavoratori con lauree o diplomi sarebbero quasi quattro volte più esposti al “rischio” rispetto a quelli con diploma di scuola superiore.

Automazione del lavoro: le reali dimensioni del fenomeno

Davanti a questo scenario è importante ricordare che, storicamente, automazione e cambiamenti nella suddivisione del lavoro non hanno portato a un aumento complessivo della disoccupazione, bensì alla nascita di nuove mansioni e a un incremento complessivo di posti di lavoro nel medio-lungo periodo. Come dimostrato recentemente anche dagli economisti Daron Acemoglu del M.I.T. e Pascual Restrepo della Boston University, in media le industrie che hanno implementato l’automazione hanno riportato una crescita maggiore nel numero di nuovi mestieri creati rispetto a quello dei vecchi impieghi sostituiti dai macchinari.

A bene vedere, infatti, anche la citata ricerca di Stanford non parla di numero di lavoratori sostituiti dalle macchine, ma fa riferimento alle mansioni su cui queste nuove tecnologie avranno un impatto. In altre parole, i risultati potrebbero indicare quali lavoratori utilizzeranno maggiormente queste innovazioni.

Non a caso, molte aziende e organizzazioni stanno cercando metodi per integrare l’automazione nella loro organizzazione lavorativa, in modo da sfruttare al massimo le capacità complementari uomo-macchina e garantire maggiore efficienza e migliori risultati.

Gli stessi Acemoglu e Restrepo ritengono fondamentale superare definitivamente quella che essi chiamano “automazione così così” (so-so technologies), alla quale i due economisti attribuiscono gran parte del rallentamento produttivo registrato dalla fine degli anni ’70. Questo concetto fa riferimento a un’implementazione di livelli di tecnologia da parte delle imprese appena sufficienti da sostituire i lavoratori umani, quindi mirata quasi esclusivamente ad un abbattimento dei costi, ma non abbastanza avanzati e sofisticati per creare nuovi posti di lavoro o rendere le aziende significativamente più efficienti e produttive.

La sfida consiste quindi nel trovare il modo per aggiornare e modificare incarichi e competenze con un ripensamento dei lavori aziendali. A tal proposito, la ricerca sull’automazione condotta da Deloitte riporta che il 54% dei responsabili delle risorse umane intervistati ritengono che il numero di posti di lavoro nelle proprie organizzazioni non verrà penalizzato dall’automazione. Piuttosto, verrà cambiata la natura di questi ruoli. Per ottenere significativi aumenti di produttività, le diverse tecnologie e le competenze umane dovranno infatti lavorare di concerto tra loro per fornire nuovi risultati e valore aggiunto.

Questo processo dovrà anche inevitabilmente essere accompagnato da un forte impegno delle aziende sul fornire formazione e aggiornamenti per i propri dipendenti, in modo da coniugare il lavoro e le responsabilità “tradizionali” alle nuove tecnologie e ampliare la portata del lavoro svolto con competenze tecniche e umane. Una nuova, rinnovata, attenzione dovrà infatti essere data al rafforzamento delle “human skills”, con competenze attitudinali e organizzative come il problem solving che assumeranno un ruolo sempre più di maggiore rilievo.

Guidare la trasformazione

L’implementazione dell’automazione come semplice strumento per la sostituzione del lavoro fisico con macchinari e robot senza la creazione di un significativo valore aggiunto, potrebbe anche ambire a ridurre i costi aziendali nel breve periodo ma, come dimostrato da Acemoglu e Restrepo, non si tradurrebbe in incrementi di produttività nel lungo termine e in miglioramenti nel valore dei beni prodotti.

Compito di governi e di grandi aziende sarà quindi sfruttare appieno le potenzialità delle nuove tecnologie, ambendo a ricavare il massimo in termini di complementarietà tra lavoratori, automazione e intelligenza artificiale, portando alla creazione di valore aggiunto tanto per le imprese quanto per la stessa società.

Le ingenti risorse messe a disposizione per gli investimenti nella transizione digitale, anche alla luce di una rinata attenzione nei confronti della qualità della vita e del benessere, dovranno quindi essere impiegate guardando oltre i limiti della tecnologia attualmente in uso e favorendo un’automazione che possa realmente creare valore aggiunto nel mondo del lavoro e delle stesse relazioni sociali.

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