l’analisi

Autopsia psicologica dell’autore di reato: un modello informatico per decifrare il movente



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L’autopsia psicologica emerge come un nuovo strumento di indagine sulle motivazioni che guidano i criminali. Unendo metodologie tradizionali con innovative tecniche d’indagine, l’autopsia psicologica può offrire una nuova prospettiva nella comprensione dei comportamenti devianti

Pubblicato il 8 mar 2024

Vincenzo Lusa

Fellow American Academy of Forensic Sciences-Università Sapienza (Roma)



biologia forense
forensic

Come è noto, il quotidiano impiego dell’intelligenza artificiale, in tutti i campi dello scibile e delle tecnologie umane, sta divenendo sempre più consueto da parte degli operatori addetti ai settori industriali e del sapere; intesa quest’ultima accezione come l’indagine di natura scientifica sulla natura. A questa considerazione non si sottrare il settore forense e più in particolare quello deputato alla ricerca degli autori di reato, anche con specifico riferimento alla prevenzione del crimine e alla comprensione delle motivazioni di marca psicologica poste alla base dell’agire criminale.

Il processo dell’analisi criminalee

Negli ultimi anni invero si è originato il settore scientifico/criminologico volto alla comprensione degli eventi criminosi comprendendo in quest’ultimo alveo gli omicidi seriali e gli atti delittuosi di natura particolarmente efferata. Il summenzionato settore criminologico è stato definito con il termine di “Analisi criminale”. Con la predetta terminologia, Aramini nel 2002 (1) ha inteso quel processo metodologico finalizzato appunto allo studio di eventi criminosi, indagando sul probabile omicida, sul reato da quest’ultimo commesso e il luogo ove l’atto criminoso si è verificato.

Tale metodologia non risponde solamente ai fini dell’individuazione del reo ma essa dispiega le sue potenzialità anche nell’ottica della prevenzione di reati.

Gli algoritmi usati nella digital forensic

Oggigiorno, diversi algoritmi sono utilizzati nel campo del digital forensic, ed essi hanno per oggetto lo studio delle dinamiche (modus operandi) mediate le quali un reato si è compiuto al fine di redigere il profilo psicologico del presunto criminale. Questa tipologia di analisi criminale si basa su uno stampo psicologico dinamico chiamato profiling. Pertanto, analizzando a livello informatico il modus operandi dell’ipotetico colpevole in relazione alla sua vittima e alla scena del crimine si potrebbe risalire al movente del presunto reo. Turvey (2) ad esempio ha posto l’ipotesi che l’autore del reato utilizzi un determinato modello di comportamento nel momento in cui commette un crimine e che tali modalità attuative della condotta si evincano anche sulla scena del crimine. Circa poi quest’ultimo scenario, ovvero la scena del crimine, unendo il profilo criminologico dell’autore di reato ai luoghi ove i delitti sono attuati si riesce a prevenire reati come quelli contro il patrimonio, utilizzando a tale scopo il software GIS (Geographic Information System) che genera mappe geo-referenziate e pertinenti alla ripartizione dei reati al fine di individuarne l’autore. Ai fini della presente ricerca, ci focalizzeremo esclusivamente sul profilo psicologico del criminale al fine di ricavarne il movente (ovvero l’impulso psicologico alla commissione del reato) mediante la ricerca delle modalità parametrali proprie dell’autopsia psicologica attuata sul reo attraverso l’esame dell’iter criminis, ovvero del percorso psichico dal quale si origina il reato comprendendo così le motivazioni poste alla base dell’agire criminale. Procedendo in tal modo, saranno così rilevati vari parametri di natura psicologica individuati nel soggetto attivo di reato, parametri che in futuro porrebbero essere inseriti in un modello digitale informatico con lo scopo di evincere non solo la personalità del reo (o presunto che sia) ma soprattutto il “perché” costui si sia determinato ad agire compiendo reati contro la persona. Invero, qualsiasi modello informatico di natura forense che sia basato su algoritmi gestiti da un’intelligenza artificiale abbisogna di parametri connotati da univoca certezza. Lumeggiante esempio circa quanto narrato, lo rinveniamo quando la giurisprudenza erroneamente continua a differenziare il dolo dal movente del reato generando così un’alea d’incertezza tale da rendere un modello informatico non in grado di percepire le reali motivazioni dalle quali si sono originate le azioni delittuose attuate dal reo.

Materiali e metodi

Come delucidato nell’introduzione al presente lavoro, al fine di creare un modello digitale informatico atto a definire sia la personalità del reo, sia il movente che lo ha determinato ad agire in contrasto con le regole codificate nel codice penale, appare necessario rilevare i parametri di natura giuridica nonché psicologica già in parte presenti nel codice penale. Una volta conseguiti i predetti parametri occorrerà successivamente porli in sistema con le Scienze forensi. Il predetto ambito scientifico è, come noto, deputato alla comprensione della personalità dell’offender e del suo network cerebrale ove l’ideazione e la risoluzione del piano criminale si sono originati e poi evoluti manifestandosi nell’ambiente mediante l’azione.  

Il Dolo di azione

Di primo acchito, occorrerà quindi prendere in esame l’elemento psicologico del reato espresso tramite l’istituto giuridico penalistico del “Dolo di azione”. Conseguentemente, nel nostro codice penale l’elemento soggettivo del reato è scandito agli articoli 42 e 43 che, com’è noto, si traducono negli istituti giuridici del Dolo e della Colpa. All’interno dell’articolo 42 del c.p. compare peraltro anche l’espressione “con coscienza e volontà” riferita alla commissione di un’azione o omissione identificabile come reato. Tal espressione, come potremo appurare appare criticabile ai nostri fini. Pertanto: l’articolo 42 codice penale recita che: “Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. La legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente, come conseguenza della sua azione od omissione. Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.”

Di seguito l’articolo 43 codice penale definisce che:  “Il delitto: è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente ; è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline “. Secondo una definizione usualmente accettato in dottrina a cura dell’Antolisei (3), il dolo rappresenta tout court la cattiva volontà dell’autore del reato.  Il dolo si compone di una rappresentazione che consiste nella visione anticipata del fatto-reato e di una risoluzione, che in realtà si traduce in una manifestazione del volere finalizzata a compiere il fatto: ovverosia l’evento deve essere voluto dal soggetto. In tal guisa, si può discorrere di un momento conoscitivo del dolo, da parte dell’agente, che di norma precede quello volitivo. Il suddetto momento conoscitivo, secondo l’Antolisei (3), è determinato dalla piena consapevolezza dell’illiceità del gesto che si compie e dei contenuti violati propri della norma penale che s’infrange. In altri termini l’agente, con la sua cattiva volontà, non solo ha attuato un fatto previsto dalla legge come reato, ma lo ha anche fortemente voluto.

E invero, quanto sopra espresso, chiarisce il perché nel codice penale si parla di coscienza dell’illiceità dell’azione, poiché è proprio nell’articolo 42 del codice penale, che si rinviene, al secondo comma, il precetto volto a indicare che è proprio nel dolo che risiede il normale criterio di volontà soggettiva per i delitti. La definizione dei summenzionati precetti  è insita nel successivo articolo 43 del codice penale ove si può evincere l’architettura giuridica sulla quale il dolo si sorregge. Tale struttura è caratterizzata da un’intenzione, una previsione e la volontà di realizzare il fatto. La giurisprudenza tuttavia interpreta l’intenzione e la previsione inglobandola nella rappresentazione alla quale fa seguito la volontà dell’evento che si causa. In effetti, con l’accezione: “rappresentazione” s’intende il momento intellettivo del dolo ovvero la visione anticipata di tutti momenti salienti del fatto-reato.

Con la fase volitiva invece s’intende che la volontà dell’agente sia finalizzata all’effettiva realizzazione della condotta. Si discorre ancora in dottrina (3), circa la condotta che l’agente serba al momento della commissione del fatto; se essa invero si fondi su un’azione che deve essere cosciente e volontaria e diretta alla realizzazione dell’evento e connessa a quest’ultimo per il tramite di un nesso di causalità. La risposta certo appare affermativa e su quest’aspetto anche noi ne conveniamo. Comunque, e con ciò torniamo alle osservazioni in precedenza compiute, è sul parametro giuridico inerente alla previsione dell’evento che sorgono le maggiori perplessità perché, come vedremo, la giurisprudenza, non a torto, distingue il dolo dalla coscienza, quest’ultima intesa come apparato psichico e mentale del soggetto da inquadrarsi nel più ampio spettro possibile della scienza dedicata allo studio sull’encefalo oggi consente dalla rappresentazione che il soggetto effettivamente possiede dell’evento. Infatti, occorre approfondire se con il termine “previsione” si voglia intendere la conoscenza da parte del soggetto delle conseguenze dell’evento (tuttavia alla luce delle Neuroscienze forensi ciò pare esulare dalle potenzialità che il dolo in realtà esprime).

I primi parametri psicologici posti alla base della commissione dei reat

Alla luce delle considerazioni sopra esposte si possono rilevare i primi parametri psicologici posti alla base della commissione dei reati. Di conseguenza i reati sono compiuti in virtù dei seguenti parametri:

  • coscienza e volontà dell’azione (cosi detta suitas);
  • secondo l’intenzione;
  • l’evento dannoso è dall’agente preveduto e voluto.
  • Imputabilità. Ai sensi dell’art. 85 c.p.: «nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso non era imputabile. E’ imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere». Pertanto è imputabile chi annovera a sé sia la capacità di “intendere” che quella di “volere” si riverberano sulla colpevolezza. Viceversa, per non essere imputabili occorre che vengano meno o la capacità di intendere o quella di volere; ovvero ambedue. Si può essere dichiarati non imputabili per cause connesse allo stato tossicologico del soggetto (ubriachezza o intossicazione provocata da vari agenti nocivi), ovvero per motivi fisiologici (minore età) o psicologici dell’individuo (infermità di mente o sordomutismo). La capacità di intendere è concepibile come la percezione volta a comprendere la realtà esterna e di conseguenza cogliere il disvalore delle proprie azioni o omissioni. In altri termini sono consapevole che sto violando le norme contenute nel codice penale poiché la legge penale, ex art. 5 del c.p., non ammette ignoranza.  La capacità di volere è riferita al controllo degli impulsi cerebrali; questi ultimi, sotto l’egida della volontà, conducono o no l’individuo a agire. Dove entrambe le condizioni siano presenti, allora potrà trovare applicazione la sanzione penale; quest’ultima invero sarebbe inapplicabile a colui il quale che non sia in grado di “intendere” e di “volere”. Di conseguenza i reati altresì sono attuati in base alla: capacità di “intendere” e capacità di “volere”

Coscienza e volontà dell’azione (suitas) e l’imputabilità

Alla luce delle considerazioni sopra esposte si evincono gli ulteriori due parametri psicologici posti alla base della commissione dei reati:

  • capacità di “intendere”;
  • capacità di “volere”.

La coscienza e la volontà dell’azione sono da considerarsi distinte dalla capacità di intendere e di volere. Si può proporre, a lumeggiante esempio di quanto sopra espresso, il caso di colui che in preda a follia possiede sì, la coscienza (in quanto sveglio e cosciente) e la volontà (come movimento della massa muscolare determinata dagli impulsi mentali) di uccidere, ma di certo non annovera a sé la capacità di comprendere il disvalore sociale delle azioni che compie e che in un momento di sanità mentale certo non avrebbe desiderio di realizzare: di conseguenza difettano la capacità di intendere e di volere (4). Pertanto, in virtù delle considerazioni stilate, occorrerà valutare se sotto il dominio del controllo volontario possono ricadere i così detti “atti automatici” che dottrina di settore come l’Antolisei (3) suddivide in “istintivi”, “riflessi” ed “abituali”. Con la prima categoria s’intendono quella tipologia di atti che il corpo umano, sotto l’impulso mentale, attua in determinate circostanze ad es. coprirsi il volto quando qualcosa sopraggiunge repentinamente verso di esso. Con gli “atti riflessi” si circoscrivono invece quegli atti che si pongono in essere senza che la mente possa esercitare su di essi alcuna signoria di volere come ad esempio la respirazione o il battito cardiaco; ed infine si parla di “atti abituali” riferendosi a quelle movenze che un soggetto compie proprio sotto l’influsso dell’abitudine in modalità automatica, come ad es. il fumatore incallito che getta il mozzicone di una sigaretta in un bosco provocando un incendio. Ovvero un atto delittuoso compiuto in stato di dormiveglia. La suitas quindi individua il limes oltre il quale la condotta del soggetto non diviene più attribuibile all’agente, giacché costui non annovera più il dominio di se stesso. Appare palese che, circa i suddetti “atti automatici” ebbene, esclusa la prima e la seconda categoria tutte le altre tipologie di atti ricadono sotto la signoria del volere e sono pertanto evitabili attuando uno sforzo di volontà ed in effetti, anche per la prima categoria (ovvero gli “istintivi”) la spinta mentale potrebbe, ma non sempre, vincere l’istinto e comportarsi diversamente, anche se con ovvie difficoltà. La “coscienza e volontà” dell’azione ancora una volta si pone su un piano distinto dall’imputabilità. Precisando dunque quanto sopra riportato, la Cassazione penale ha stigmatizzato recentemente il principio volto ad affermare che l’imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà dell’atto illecito, agiscono su piani che sono ben distinti tra loro, benché la prima, come substrato naturalistico della responsabilità penale, dovrà essere accertatala in modalità prioritaria rispetto alla seconda (così la Cass. Pen, Sez. VI, n.41083 del 4 ottobre 2013).  Conseguentemente il parametro: a) “coscienza e volontà dell’azione” è distinto dai parametri: d) capacità di “intendere” e) capacità di “volere”.

Il movente

Secondo la giurisprudenza imperante, il movente è la causa psichica della condotta umana; esso costituisce lo stimolo che ha indotto l’individuo ad agire (cfr. sentenza Cass. n. 466/1993 Sez. 1, dep. 1994, Ha., Rv. 196106). Sempre secondo la suddetta cassazione penale il movente si distingue dal dolo che, come già delineato, è da considerarsi come elemento costitutivo del reato e che riguarda la sfera della rappresentazione e volizione dell’evento. Di conseguenza il “mero movente” precisa la Corte pur potendo contribuire all’accertamento del dolo, costituendo una potenziale circostanza inferenziale, non coincide con il dolo del quale può rappresentare, invece, il “presupposto“.

A nostro avviso, e al fine della costruzione del modello informatico basato su parametri certi e univoci, ciò appare censurabile per le motivazioni che si espongono anche alla luce delle Neuroscienze forensi. Il termine “Neuroscienza” compare all’incirca negli anni 1970, esso si prefigge di comprendere gli studi di settore inerenti all’indagine e valutazione del sistema nervoso esaminato dal punto di vista anatomico, genetico e funzionale. In esito al suddetto termine Negli ultimi anni, negli ambienti forensi e non solo in questi ultimi, a lungo si è discusso intorno a quello che è stato chiamato “The warrior gene” ovvero il gene guerriero (MAO) attribuendo a quest’ultimo ruolo e funzioni non del tutto pertinenti all’unità biologica in questione e ciò dal punto di vista della corretta scientificità dell’argomento in questione (4). Le monoamine rappresentano un gruppo di neurotrasmettitori, i quali annoverano a sé serotonina, dopamina e noradrenalina; questi ultimi sono sintetizzati tramite azione di specifici enzimi come le monoamine ossidasi (MAO) e catecolo O- metiltransferasi (COMT). In seguito al rilascio delle monoamine a livello delle sinapsi, queste rappresentano le autostrade delle vie di comunicazione tra i neuroni, determinati trasportatori sono addetti alla loro ricettazione a livello cellulare allo scopo di interrompere il segnale neuronale. Le monoamine ossidasi sono presenti sul cromosoma femminile X. Le monoamine ossidasi possono divenire oggetto di anomalia genetica, nel senso che i geni, i quali causano la codificazione delle monoamine ossidasi, che come si è detto sono presenti sul cromosoma X femminile, possono andare incontro ad alterazione genetica e ciò si traduce nella presenza di un allele più corto, ovverosia una bassa espressione dell’enzima MAO-A che diviene quindi MAOA-L (L=low).  Le monoamine ossidasi sono ampiamente diffuse a livello nervoso e sono associate all’attuazione di comportamenti impulsivo e aggressivi (5). La suddetta mutazione genetica dell’enzima MAO-A, come versione polimorfica MAOA-L nella variante corta, ne comporta una produzione limitata tale da provocare, nei soggetti portatori di tale mutazione, un’inclinazione all’aggressività o atti impulsivi tale da sfociare in manifestazioni antisociali di natura violenta. Da qui la denominazione del MAOA-L come gene del “guerriero”, nomignolo peraltro attribuito per la prima volta al suddetto polimorfismo dalla giornalista Ann Gibbons, in occasione di un meeting scientifico dell’AAPA (American Association of Physical Anthropology) quando furono discusse, in sede di conferenza, le cause dell’elevato tasso di aggressività posseduto dai guerrieri Maori (conosciuti come i guerrieri senza paura) rispetto ad altre popolazioni locali, attribuendo la suddetta violenza alla presenza, nell’assetto genetico dei Maori, dell’allele MAOA-L. Caspi peraltro, nell’anno 2002 (6) effettuò un importante studio su un vasto campione di cittadini neozelandesi di sesso maschile monitorati dall’infanzia sino ai 26 anni di vita.

Lo studio evidenziò che i soggetti in possesso di una variante del MAOA a bassa attività (Low) e cresciuti in infanzia in un ambiente maltrattante svilupparono – rispetto a individui egualmente cresciuti in ambiente sfavorevole, ma dotati al contrario della variante in MAOA ad alta attività (HIG) – un rischio superiore di manifestare comportamenti antisociali. Questo denota che i soggetti che siano inconsapevoli portatori della variante Low, e che si trovino a operare in ambiente caratterizzato da attività legata a una forte componente di origine stressante, sono più inclini di altri a commettere manifestazioni violente. Il sistema serotoninergico è ritenuto uno dei principali regolatori dei comportamenti impulsivo-aggressivi a livello cerebrale e in particolare esso è responsabile dell’aggressività proattiva (offensiva). Il sistema serotoninergico è influenzabile dall’ambiente poiché eventi ad alta rilevanza di stress che sono occorsi in età precoce sembrano in grado di mutare la risposta serotoninergica nell’adulto è quindi, per la finalità del presente lavoro, appare d’indubbia importanza il tenerne conto. In particolare, la serotonina (5-ht) è un neurotrasmettitore che principalmente agisce come freno inibitorio naturale poiché regola l’impulsività. Il basso livello di serotonina può determinare l’insorgere di atti antisociali (7).

Inoltre il gene SCL6A4, che codifica per il trasportatore della serotonina (SERT), è un modulatore fondamentale della trasmissione serotoninergica ed è in grado di ridurre i comportamenti aggressivi nell’uomo (8).  Il riscontro di una riduzione dell’attività serotoninergica a livello cerebrale può comportare un aumento del comportamento impulsivo e aggressivo ed esso stimola la corteccia frontale, zona del cervello che regola l’aggressività. Il polimorfismo “s” del gene SCL6A4 comporta una maggiore incapacità di adattamento alla presenza di condizioni ambientali sfavorevoli. È stato invero riscontrato che i portatori della variante s sono a forte rischio di depressione e attuano comportamenti suicidari o aggressivi. Il sistema dopaminergico è coinvolto nella genesi del reward che annovera a sé i comportamenti rivolti alla sopravvivenza di una specie, tra i quali ricerca di cibo, attività sessuale e comportamenti aggressivi (9). Il tutto finalizzato a stabilire il dominio nei confronti di un nemico; l’effetto reward, peraltro, procura nel soggetto che lo subisce una sensazione di appagamento. Il riscontro di una ridotta sensibilità nel sistema dopaminergico, che è finalizzato al controllo dei reward, può essere implicato nell’accrescimento patologico dell’aggressività. I geni maggiormente coinvolti nell’effetto modulante sull’attività del sistema dopaminergico sono SLC6A3 (trasportatore della dopamina) e COMT che è un enzima che prende parte alla regolazione dei livelli di dopamina a livello sinaptico ed è modulatore dell’aggressività. In particolare, la presenza in un soggetto dell’allele 10 del gene SLC6A3 (allele 10 poiché esso è composto da 10 ripetizioni di una sequenza di nucleotidi) è stato correlato a comportamenti impulsivo-aggressivi di natura estremamente violenta e comportamenti antisociali. Alla luce delle osservazioni di natura neuroscientifica forense, si deduce che il movente può essere inficiato, oltre che da patologie mentali, anche da disfunzioni biologiche tali da rendere l’individuo non libero ma determinato nel suo agire da anomalie di natura genetica.  

Deriva da quanto sin ad ora esposto che il “movente” del reato si origina in virtù dell’elaborazione del pensiero e che tale elaborazione può essere di natura sana o insana (si legga patologie mentali) e conseguentemente influenzato dalla genetica comportamentale individuale. Il movente in realtà, come si andrà a dimostrare, non è scisso dal dolo ma anzi esso è da porsi alla base dello stesso. In effetti già una parte della giurisprudenza larvatamente già lo ha ammesso e in effetti:  “Ne discende che il dolo specifico non è che un movente normativamente qualificato, che si colloca al di là della coscienza e volontà del fatto”. (Corte di Cassazione – Sezioni Unite – 12 ottobre 2023 N. 41570). Parametro f) movente.

L’Iter criminis

L’iter criminis rappresenta  la nuova elaborazione dell’elemento soggettivo del reato e del principio di colpevolezza e la subordinazione del dolo a tale nuova impostazione. Il dolo, di per sé, non appare più sufficiente, nella sua architettura giuridica, a rappresentare l’integralità della volontà dell’autore di reato ma, tuttalpiù, esso ne palesa l’effetto della volontà stessa, lasciando all’iter criminis il compito di riprodurre la complessa intelaiatura dell’ideazione e attuazione dell’intento criminale. In via preliminare, cerchiamo di chiarire cosa davvero s’intenda con iter criminis?  L’antico brocardo latino cogitationis poenam nemo patitur (ovvero: nessuno può subire una pena semplicemente per avere pensato qualcosa) costituisce il cuore del cosiddetto principio di materialità del Diritto Penale. In effetti, non si potrà mai configurare un reato che conduca all’erogazione di una pena, se la volontà criminosa non si materializza in un comportamento esterno (invero alcuno potrà mai essere accusato formalmente di un omicidio semplicemente per averlo pensato). Invero, nell’art.1 del codice penale è prevista che per l’applicabilità di una sanzione penale occorre fare esplicito riferimento a “un fatto”, effettivamente occorso, e che sia stigmatizzato dalla legge come reato. Conseguentemente, possiamo pervenire al seguente asserto: la mera meditazione, il pensiero insomma, non è assolutamente sufficiente al fine di ottenere un giudizio di condanna, ma occorrerà qualcosa di più affinché si possa ottenere una pena per avere causato un fatto antigiuridico. Ora esaminiamo di quali fasi si compone l’iter criminis. Di seguito si elencano le singole frazioni:  1) “Ideazione”, che nel reo agente rappresenta il canovaccio di matrice psicologica (del pensiero volto a un determinato fine) sul quale si fonda il reato di natura ovviamente dolosa. Con l’ideazione, infatti, l’agente si rappresenta nella sua psiche l’idea criminale che vuole perpetrare e che poi si cristallizza con la risoluzione della stesa;  2) “Preparazione” ove l’agente predispone ogni cosa, ove il tipo di reato preveda tale attività (si pensi agli atti criminali con finalità terroristiche); 3) “Esecuzione” ove l’agente mette in atto la condotta richiesta affinché il reato si manifesti; 4) “Perfezione” ove si realizza l’evento criminoso programmato, ovverosia esso si presenta completo di tutti gli elementi che la stessa fattispecie delittuosa prevede affinché il reato possa ritenersi conforme ex lege; 5) “Consumazione “quando il reato programmato e già “perfezionato” perviene alla sua massima gravità o in modalità coincidente o disgiunta (10). Il dolo di per sé non sarà sufficiente al fine di rappresentare l’essenza della volontà del reo, o presunto che sia. Viepiù, il movente che è ciò che muove l’agente ad agire può essere condizionato da altri parametri; tra questi ultimi alcuni di natura nosografica (pertinenti per esempio al campo delle patologie mentali) altri di natura biologica e quindi genetica.

Come infine potemmo appurare, il frazionamento delle condotte e della volontà criminale, attuata in base allo schema suggerito dalla struttura giuridica dell’iter criminis, ci consente di analizzare la mens rea del soggetto di reato al fine di pervenire alla sua affermazione di colpevolezza, nella gradazione giuridica che la legge ci consente, e ciò mediante l’applicazione dei canoni dei codice penale; ovvero alla sua esclusione sia per motivi nosografici, o in ordine alla accertamento di un’intenzione, da parte del prevenuto, che si chiarisca come manifestamente contraria al reato ascritto. Come agevolmente si evince, lo studio dell’iter criminis rappresenta il fulcro del problema che ci occupa in questa sede, poiché esso, come si è detto, nasconde in sé la chiave di volta per comprendere la natura del proposito criminale nonché la sua potenzialità.  Il proposito si realizzerà come vedremo mediante l’ausilio della volontà. Il tutto si traduce nell’affermazione di colpevolezza da porsi carico di un soggetto come attribuzione del fatto-reato ala sfera psicologica di colui che l’ha commesso. Ma non solo. Al fine di pervenire all’esatta diagnosi dell’iter criminis, Per poi quanto concerne quest’ultimo essenziale aspetto, vale la pena di rilevare che l’iter criminis, come conoscenza profonda del pensiero criminale, non deve essere limitato alla semplice “ideazione”, così come riportata nella sopra declinata suddivisione, riguardo al tentativo di reato, ma essa si espande sino all’ultima frazione dell’iter in parola e quindi nella fase dedicata alla “consumazione” del reato mediante la sopravvivenza del “proposito” da individuarsi sino all’ultimo istante del completamento dell’azione criminale. Il “proposito”, invero, sorregge l’azione criminale sino al suo compimento e ne cristallizza l’”intento”.

Ne discende che l’esatta configurazione del reato, come esaustività di tutti gli elementi che la stessa fattispecie delittuosa prevede, può sorreggersi sia su un proposito intenzionalmente razionale e quindi basato sulla piena capacità di intendere e di volere, ex articolo 85 c.p., che su un proposito di origine patologica e quindi rappresentare un vizio totale ovvero parziale di mente. In particolare, l’iter criminis pone in luce la grande differenza che sussiste tra l’”intento” e “il proposito”. Quest’ultimo invero rappresenta la naturale escalation dell’”intento”. Il “proposito” è da considerarsi come la consacrazione del mero “intento”, poiché sul primo giace l’intera architettura del processo mentale del reo (sana o insana che essa sia) così da originare il compiuto delitto ovvero il suo tentativo. Ancora si può quindi affermare in conclusione che una volta definita la reale natura del “proposito” esso sarà poi attuato mediante la volontà del soggetto.

Parametri: g) Ideazione h) preparazione i) esecuzione l) consumazione m) perfezione.

Risultati

Scopo del presente lavoro è finalizzato a comprendere quali siano le reali motivazioni di natura psicologica da porre alla base delle commissioni di atti criminali nel soggetto attivo di reato. Come la genetica comportamentale ci ha evidenziato l’effettiva cognizione del network cerebrale del soggetto attivo del reato è da considerarsi in ottica multifattoriale al fine di comprendere: (a) il movente del soggetto, sano o insano che sia, (b) la maturazione del “proposito” criminale, sano o in sano che sia. Tutto ci conduce alla creazione di un adeguato iter criminis, il quale iter si origina nella sfera psichica del reo o presunto reo. In virtù dei parametri sino ad ora evidenziati otterremo che il reato si basa e si manifesta mediante:

  1. coscienza e volontà dell’azione (cosi detta suitas); b) secondo l’intenzione, c) l’evento dannoso è dall’agente preveduto e voluto, d) capacità di “intendere”; e) capacità di “volere”, f) movente, g) ideazione, h) preparazione, i) esecuzione, l) consumazione, m) perfezione.

Successivamente ricaviamo il seguente schema assimilabile a una flow chard  da porre alla base  del programma informatico gestito da un algoritmo. Lo schema che si propone include in se tutti i parametri sino ad ora esposti unificandoli. Di conseguenza, la motivazione – ovvero il movente di reato – si dedurrà in base allo schema in prosieguo esposto e che si dispiega in base ai parametri da noi identificati dal parametro g) al parametro m). Di conseguenza otterremo il seguente schema (10):

  • Ideazione”, che nel reo agente rappresenta il canovaccio di matrice psicologica (del pensiero volto a un determinato fine) sul quale si fonda il reato di natura ovviamente dolosa. Con l’ideazione (si legga intento) l’agente si rappresenta nella sua psiche l’idea criminale che vuole perpetrare e che poi si cristallizza con la risoluzione della stessa. In essa sono già contenuti i parametri riferiti al “dolo” ovvero: a) coscienza e volontà dell’azione (cosi detta suitas); b) secondo l’intenzione, c) l’evento dannoso è dall’agente preveduto e voluto, d)  capacità di “intendere”; e) capacità di “volere” (queste ultime due da accertare a livello psicologico nonché psichiatrico); f) movente;
  • Preparazione” ove l’agente predispone ogni cosa, ove il tipo di reato preveda tale attività;
  • Esecuzione” ove l’agente mette in atto la condotta richiesta affinché il reato si manifesti;
  • Perfezione” ove si realizza l’evento criminoso programmato, ovverosia esso si presenta completo di tutti gli elementi che la stessa fattispecie delittuosa prevede affinché il reato possa ritenersi conforme ex lege;
  • Consumazione “quando il reato programmato e già “perfezionato” perviene alla sua massima gravità.

L’evoluzione dal mero ”intento” (criminale) alla sua definitiva cristallizzazione evoluitasi nel “proposito” (criminale) si rinviene nei passaggi scanditi dal punto n.2 al punto n. 5. Infatti il “proposito” sorreggerà l’intera azione originatasi a livello mentale psicologico dall’”intento” sino alla manifestazione del reato che è definito appunto come “evento di reato”(11). I dati che dovranno essere inseriti nel suesposto schema si evinceranno in virtù dei risultati scaturiti dall’espletamento delle indagini giudiziarie e dalle perizie e consulenze di natura psicologica e psichiatrica nonché genetica d’attuarsi sul presunto colpevole. Agendo in base al declinato schema si otterrà la genuina natura del movente posto alla base del reato.

Conclusioni

Il percorso argomentativo sino ad ora intrapreso ha dimostrato che è teoricamente possibile generare un modello informatico basato sul percorso motivazionale – si legga movente- serbato dal reo nell’atto di porre in essere un atto contra legem (12). Per conseguire il suddetto risultato, l’autore ha pertanto proposto di porre alla base del summenzionato modello l’iter criminis sul quale si fonda la genesi del pensiero criminale e imperniato sulle modalità parametrali proprie dell’autopsia psicologica tale da definire l’evoluzione dell’”intento” nefasto sino alla sua definizione del “proposito “di natura criminale. L’iter  criminis dovrà allora fondarsi sui parametri che abbiamo evinto,  ovvero: a) coscienza e volontà dell’azione (cosi detta suitas); b) secondo l’intenzione, c) evento dannoso preveduto e voluto dall’agente, d) capacità di “intendere”, e) capacità di “volere”, f) movente, g) ideazione, h) preparazione, i) esecuzione, l) consumazione, m) perfezione. In particolare, i parametri scanditi dalla lettera g) alla lettera m) saranno assorbenti dei residui parametri e pertanto destinati a sorreggerli. Cosi operando otterremo un modello digitale gestito da un algoritmo in grado di dedurre nel colpevole ( o presunto che sia) il reale movente posto alla base della sua azione e se tale movente era viziato da qualche patologia genetica o di natura psichiatrica  I dati sui quali i parametri si basano saranno prodotti in funzione delle indagini giudiziarie e dalle perizie e consulenze di natura psicologica e psichiatrica nonché genetica d’attuarsi sul presunto colpevole.  In virtù di quanto sino ad ora esposto e più precisamente a quanto si è delineato al punto 3) dei “Materiali e Metodi”,  anche l’art. 42 c.p. descrittivo del dolo e della colpa dovrà essere rivisto e corretto ove è citata  la “coscienza e volontà” dell’azione rettificandola in “autocoscienza” e volontà dell’azione atteso che per essere definiti imputabili occorre la capacità di “intendere” ovvero di rendersi conto di agire contro l’ordinamento penale (12). Di conseguenza; Art.42 codice penale: “Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con autocoscienza e volontà. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge”.

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