L’entrata in vigore del Regolamento Ue n. 910 del 2014 e la successiva riforma del codice dell’amministrazione digitale appaiono destinati ad avere riflessi anche sull’attività degli avvocati, in particolare in materia di notificazioni a mezzo della posta elettronica certificata.
Come noto infatti la sezione VII del Regolamento comunitario introduce la nozione di servizio elettronico di recapito certificato e di servizio elettronico di recapito certificato qualificato e detta, all’art. 43, un principio molto chiaro in forza del quale “ai dati inviati e ricevuti mediante un servizio elettronico di recapito certificato non sono negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della loro forma elettronica o perché non soddisfano i requisiti del servizio elettronico di recapito certificato qualificato”.
Detto principio, sinteticamente definito come di non discriminazione ha trovato ingresso nel CAD riformato, tant’è che il nuovo art. 1, lettera n-ter, del Codice prevede che il domicilio digitale può “essere eletto presso l’indirizzo di posta elettronica certificata o altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato” di cui al citato Regolamento e soprattutto l’art. 1-ter prevede ora che “ove la legge consente l’utilizzo della posta elettronica certificata è ammesso anche l’utilizzo di altro servizio elettronico di recapito certificato”.
D’altro canto, per quanto concerne l’attività di notificazione per via telematica degli avvocati, la legge (n. 53 del 1994) prevede ancora l’uso esclusivo della sola posta elettronica certificata che, come noto, costituisce servizio di recapito elettronico certificato ma non qualificato (dal momento che lo stesso non consente con sicurezza l’identificazione del mittente e del destinatario).
La domanda da porsi è dunque quale sorte avrebbe una notificazione effettuata attraverso un diverso servizio di recapito elettronico: sarebbe valida o nulla / inesistente?
Per provare a dare una risposta dobbiamo innanzitutto domandarci se la normativa speciale possa beneficiare della previsione parzialmente derogatoria di cui all’art. 2, ultimo comma, ai sensi del quale le disposizioni del Codice “si applicano altresì al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico” e per tale via giungere ad escludere l’applicazione dell’art. 1 ter del CAD in subiecta materia (e lasciando così spazio al monopolio della PEC)
Per la verità, a parere di chi scrive, siffatta opzione interpretativa non è percorribile in quanto le disposizioni della legge n. 53 del 1994 non paiono essere assimilabili tout court alle disposizioni in materia di processo telematico; basti a tal fine la considerazione che la ridetta normativa non regolamenta la sola notifica di documenti informatici e comunque il campo di applicazione della stessa non è ristretto ai soli atti giudiziari ma si estende anche alle notificazioni di atti stragiudiziali, che nulla condividono con il processo telematico (si pensi ad esempio ad un procedimento arbitrale).
Non dovrebbe essere utilizzabile neppure l’argomento legato alla non esistenza di pubblici registri dai quali sarebbe possibile reperire gli indirizzi abbinati a tali nuovi servizi; siffatta argomentazioni aprono semmai la strada ad un evidente lacuna del CAD, che ha stabilito l’equivalenza tra PEC e altri servizi di recapito ma non ha previsto l’istituzione di registri ove gli stessi possano essere reperiti. Non si è ad esempio riformato l’art. 6 bis, che tuttora prevede l’INI-PEC come destinato ad accogliere i soli indirizzi di posta elettronica certificata.
La risposta all’interrogativo che ci siamo posti deve dunque essere composita, potendosi affermare che:
- certamente sussiste il diritto a notificare validamente un atto del processo mediante utilizzo di un servizio di recapito elettronico certificato diverso dalla PEC;
- allo stato attuale l’attuazione di tale diritto non è però garantita dalla legislazione vigente e ciò contrasta evidentemente, in primis, con il diritto comunitario vigente.
Si ritiene pertanto che, ai fini della presente analisi, il percorso avviato dal regolamento eIDAS e dalla riforma del CAD non sia del tutto completato, necessitando di ulteriori interventi del legislatore che prevedano innanzitutto:
- la possibilità di inserire gli indirizzi dei servizi di recapito certificato nei pubblici registri esistenti;
- la riforma della legge n. 53 del 1994 e la conseguente apertura anche agli altri servizi di recapito elettronico, peraltro con una preventiva e precisa identificazione di quelli utilizzabili in ambito processuale (in sostanza, una sorta elenco fiduciario pubblico liberamente consultabile dai cittadini); ciò, evidentemente, a tutela delle ragioni di certezza del diritto e di tutela dei diritti della persona.
Una simile regolamentazione non sarebbe contraria ai principi del Regolamento comunitario; invero, il considerando 22) prevede espressamente che “spetta al diritto nazionale definire gli effetti giuridici dei servizi fiduciari, salvo che il presente regolamento provveda altrimenti”, sicché, fermo restando il principio di non discriminazione (e quindi l’utilizzabilità di tutti i servizi di recapito elettronico come fonte di prova) ben si potrebbe introdurre una normativa di maggior tutela per un’attività particolarmente delicata come quella di notificazione per via telematica.
In tal modo si avrebbe un sistema coerente e in grado di sopire sul nascere ogni discussione circa l’ambito di applicabilità dei principi del regolamento eIDAS e del Codice dell’Amministrazione Digitale.