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Baby influencer e sharenting: il lato oscuro della fama digitale



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Il fenomeno dei baby influencer sta prendendo sempre più piede nel mondo dei social media. Ma quali sono le implicazioni etiche e legali di una tale esposizione dei minori al mondo digitale, che si manifesta anche con il cosiddetto “sharenting”? Un’analisi approfondita

Pubblicato il 31 gen 2024

Mauro Ozenda

consulente informatico



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Immagine creata con AI Bard – Dall-e3

L’esplosione dei social media ha cambiato drasticamente il paesaggio della notorietà e dell’influenza, dando vita a una nuova generazione di celebrità: i baby influencer.

Questi bambini, spesso con l’aiuto dei loro genitori, accumulano milioni di follower generano introiti significativi attraverso la condivisione della loro vita quotidiana e la promozione di prodotti. Ma mentre alcuni applaudono queste giovani star per la loro intraprendenza e successo, altri sollevano preoccupazioni etiche sul coinvolgimento dei minori in un mondo così pubblico e commerciale. Come si sviluppa questo fenomeno? E quali sono le implicazioni per i bambini, i genitori e la società?

Il fenomeno dei baby influencer: genitori, bambini e social media

Intento ad aggiornare la mia pagina Facebook, nel mio feed appare un post di una brava scrittrice i cui libri leggo da tempo, Anna Oliveiro Ferraris. Il post dal titolo “Se l’influencer è un bambino” diceva quanto segue: “Gli influencer possono essere bambini che si rivolgono direttamente ai bambini. Molti compaiono su Youtube e hanno una équipe di esperti che li segue.

Gli spettatori hanno la sensazione di giocare, nell’intimità della loro cameretta, con l’influencer loro coetaneo. Le strategie messe in atto dai baby influencer, addestrati a dovere, possono essere particolarmente subdole, per esempio: qualcuno suona alla porta; un postino recapita un grosso pacco; eccitato il baby influencer lo soppesa; si domanda che cosa possa contenere. Lo apre ed è felice. Illustra poi come utilizzare il prodotto e spiega come procurarselo. Il video può sembrare spontaneo, quando invece dietro c’è una ben precisa programmazione. Sta quindi all’educatore spiegare come questi prodotti vengono costruiti per convincere e come si debbano fare le proprie scelte in modo autonomo.”

Fra i vari commenti postati dagli utenti social riporto quelli più interessanti al riguardo: “Purtroppo, questo fenomeno c’è sempre stato. Un tempo l’infanzia manipolata dagli adulti, invadeva le riviste, le passerelle, la tv…adesso i social. Con la differenza che i social pur organizzati che siamo, non “garantiscono” mai i contenuti quanto lo possa fare la stampa o la televisione. Ma in ogni caso, è sempre opportuna la riflessione prima della scelta, nonché la “lettura” fra le righe dei messaggi che ci danno.”

“Sono un’educatrice dell’infanzia ed ho insegnato diversi anni al nido e alla scuola infanzia; adesso sono insegnante di sostegno alla scuola superiore, per cui di cose e trasformazioni negli anni a questi bambini divenuti ragazzi e poi adulti, ne ho viste davvero tante. Cambiano i mezzi ma i fini sono medesimi. Sicuramente i social hanno un effetto più ridondante ma soprattutto più subdolo, perché quello che crediamo non ci sia o non si intenda invece c’è”.

“Poiché i garanti dell’infanzia e dell’adolescenza che ci sono a livello nazionale e in ogni regione non prendono provvedimenti (forse non sono preparati in ambito psicologico) è bene che gli educatori consapevoli distolgano i bambini da quei video e nel caso in cui i bambini li vedano spieghino loro che l’obiettivo è di vendere dei prodotti creando un contesto coinvolgente e suggestivo.”

“Che ci sia sempre stato non è ovviamente una giustificazione. L’influencer bambino che si rivolge ai bambini attraverso lo smartphone o lo schermo televisivo e questo è un passo ulteriore verso la manipolazione dell’infanzia, accerchiata da messaggi seduttivi che nulla hanno a che vedere con una crescita sana e serena.”

“Si conoscono gli effetti che questo provoca sulla vita emotiva del minore? – Ci sono effetti sul minore che recita da influencer (impara a manipolare e si sente manipolato) ed effetti, diversi, sul bambino spettatore.”

Figura 2-Immagine creata con AI Bard – Dall-e3

Baby influencer: lo scenario attuale

Il fenomeno dei baby influencer è molto attuale e controverso. Parliamo di bimbi, bambini e ragazzi che entrando con l’ausilio e l’aiuto dei genitori nel mondo digitale sin da piccoli, pubblicano sui social, a partire dalle piattaforme più famose (Youtube, Tik Tok e Instagram). Alcuni di loro guadagna anche dei soldi per promuovere prodotti o marchi. Questo solleva questioni di carattere etico e legale sulla tutela della loro immagine, della loro privacy e dei loro diritti. Nel nostro Paese non esiste una normativa specifica sui baby influencer, ma si applicano le leggi generali sul lavoro minorile, sulla privacy e sul consenso genitoriale.

L’età minima per iscriversi ai social network è 14 anni. Nonostante ciò, in molti casi con la complicità dei genitori che consentono a che ciò accada, si iscrivono dichiarando un’età falsa. Alcuni Paesi europei come la Francia, hanno introdotto regole più severe per limitare gli orari di lavoro, proteggere i guadagni e facilitare la cancellazione dei contenuti pubblicati riconducibili ai baby influencer. Il governo francese ha deciso di regolamentare il problema dei baby influencer e sharenting, introducendo una legge che prevede il consenso dei minori, il pagamento delle tasse e il rispetto di orari e limiti di contenuti.

Baby influencer: un lavoro basato sull’apparire

Figura 3-Profilo pubblico baby influencer Nathan Leone Di Vaio (https://www.instagram.com/nathanleonedivaio/)

Nel mondo social, oggi i bambini possono diventare famosi influencer esattamente come già accade per gli adulti, solo che in questo caso gli account sono gestiti dai genitori e dunque sono loro a guadagnarne i profitti derivanti dall’utilizzo dell’immagine del minore. I profili attirano l’attenzione di molte persone, e diversi commenti degli sconosciuti risultano inadeguati. Sulla base del numero dei loro follower, i marchi pagano i bambini per pubblicizzare i prodotti con regali o soldi. Incrementare il seguito significa dunque aumentare le entrate economiche. Passiamo dunque un messaggio al bambino che apparire è più importante che essere. Che si possano raggiungere lauti guadagni un domani senza far lavorare i contenuti che sono dentro ciascuno di loro ma lavorando molto sul proprio aspetto fisico esteriore non valorizzando l’essenza della persona a partire dai contenuti (cultura, intelligenza).

Figura 4-Profilo pubblico baby influencer Gaia De Leonardis (https://www.instagram.com/gaiaburuburu/)

Ormai è diventato un vero e proprio lavoro che impegna i bambini/ragazzi diverse ore al giorno di fronte alla telecamera per realizzare contenuti e coreografie professionali.

In Italia tra i baby influencer più famosi ci sono Filiberto, Leonardo Liam e Nathan Leone Di Vaio (vedi figura 3), figli di Mariano e alcuni nati per caso come Gaia De Leonardis di Roma (vedi figura 4) la cui mamma ha iniziato condividendo semplici scatti della sua famiglia online.

La legge parla chiaro: fino ai 12 anni di età in Italia il bambino non ha capacità di discernimento (intesa come consapevolezza e comprensione, limitatamente al senso dell’ascolto) e ne fanno le veci entrambi i genitori congiunti; inoltre, il limite minimo di età nelle piattaforme social è 14 anni. Infatti il Gdpr (General Data Protection Regulation), ovvero l’atto legislativo dell’Unione europea entrato in vigore nel 2018 che regolamenta il trattamento dei dati e il diritto alla privacy, indica in 14 anni l’età minima consentita per essere presente sui social. In particolare, l’articolo 8 dice che il trattamento dei dati personali è lecito per quanto riguarda «l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione» ai minori, dal 16esimo anno di età. Prima serve il consenso del genitore o di chi ne fa le veci.

Baby influencer, i rischi

I baby influencer sono bambini che si espongono sui social media, soprattutto per promuovere prodotti o servizi. Questa attività può comportare diversi rischi per il loro benessere fisico, psicologico e sociale, tra cui:

  • Lo sfruttamento economico da parte dei genitori o delle aziende, che possono approfittare della popolarità dei bambini per ottenere guadagni, senza rispettare i loro diritti e le loro esigenze
  • La manipolazione da parte dei brand, che possono influenzare le scelte e i gusti dei bambini, sfruttando la loro scarsa consapevolezza degli intenti pubblicitari
  • La violazione della privacy da parte dei social media, che possono raccogliere e trattare i dati personali dei bambini senza il loro consenso o quello dei genitori, esponendoli a possibili abusi o furto di identità
  • Il pregiudizio per l’identità e la reputazione dei bambini, che possono subire pressioni, critiche, bullismo o molestie da parte degli utenti dei social media, o avere difficoltà a gestire la propria immagine e la propria autostima

Per prevenire o ridurre questi rischi, è importante che i genitori siano informati e responsabili, che i bambini siano coinvolti e ascoltati, e che le autorità competenti siano attente e vigilanti. Inoltre, sarebbe opportuno che ci fosse una legge specifica che regolamentasse il fenomeno dei baby influencer, tutelando i loro diritti e i loro interessi.

Bambini sui social, la lente della psicologia dello sviluppo

La psicologia dello sviluppo si occupa di studiare i processi di crescita e cambiamento che avvengono nell’essere umano nel corso della vita, in particolare nelle fasi dell’infanzia e dell’adolescenza. Tra i temi di interesse di questa disciplina, c’è anche quello della partecipazione dei bambini ai social media, che rappresenta una sfida e un’opportunità per il loro sviluppo cognitivo, emotivo e sociale.

Alcuni aspetti che la psicologia dello sviluppo ha indagato riguardano:

  • L’interazione sociale tra i bambini e gli adulti, che si realizza anche attraverso i media digitali, e che ha un ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità, della comunicazione e dell’apprendimento dei bambini
  • La regolazione emotiva dei bambini, che dipende anche dalla capacità di gestire le proprie emozioni e quelle altrui, e che può essere influenzata positivamente o negativamente dall’uso dei social media
  • La plusdotazione dei bambini, che si manifesta in una intelligenza superiore alla media, e che può comportare delle difficoltà nella regolazione emotiva e nella relazione con gli altri, soprattutto se non adeguatamente supportata dai genitori e dalla scuola

Questi sono solo alcuni esempi di come la psicologia dello sviluppo possa contribuire a comprendere e a promuovere il benessere dei bambini che partecipano ai social media, tenendo conto delle loro caratteristiche individuali, delle loro potenzialità e dei loro bisogni.

Il fenomeno dello sharenting

Uno studio europeo del 2021 mostra che l’80% dei bambini ha una significativa presenza online dall’età di due anni, prevalentemente su Facebook (non solo sulla bacheca della propria pagina personale, in teoria riservata gli “amici”, ma anche in gruppi aperti e pubblici), Instagram e Twitter. Il fenomeno dello sharenting è maggiormente diffuso per i bambini dagli zero ai tre anni, ma oltre il 64% dei genitori pubblica foto dei figli anche dopo il quarto anno di vita. Questo significa che al raggiungimento dell’età per il consenso digitale (in Italia fissato ai 14 anni) un adolescente medio avrà una presenza social pari a migliaia di immagini già presenti in rete.

Al fine di sensibilizzare circa le conseguenze negative del “sharenting”, la Deutshe Telekom, ha ideato una bella campagna pubblicitaria ripresa sul quotidiano “La Repubblica” che vede come protagonista una bambina modificata digitalmente. Attraverso la storia di Ella, una bambina di 9 anni, si evidenziano le conseguenze negative derivanti da una condivisione senza controllo di foto e video dei piccoli online. La campagna pubblicitaria avverte che questa pratica, col tempo, può portare a atti persecutori di cyberbullismo quali furti d’identità, truffe mediante deepfake oltreché aumentare il rischio di cadere nella trappola dei loschi gruppi di pornografia infantile. Alcuni studi indicano che entro il 2030, il maggior numero di casi legati a frodi per furto d’identità dei giovani sarà causata proprio dalla pratica dello “sharenting”.

Sovraesposizione mediatica dei bambini: il caso Ferragnez

In relazione al tema ritengo importante condividere al riguardo il contenuto di un post pubblicato recentemente dall’Avv. Diego Di Malta sulla piattaforma social “Linkedin”in relazione ai rischi circa la sovraesposizione mediatica cui sono sottoposti i figli della coppia Ferragni-Fedez.

Nello specifico il post fa riferimento a un fatto avvenuto dopo la pubblicazione di una foto in cui il figlio Leone ha accompagnato i calciatori in campo prima della partita Milan-Frosinone. In seguito a ciò un leone da tastiera (hater) categoria impegnata da sempre a generare odio e confusione all’interno del web, ha esternato parole minatorie nei confronti del figlio. Da qui l’intervento del padre in difesa del figlio minacciando provvedimenti con l’autore del post.

Figura 7-Credits: Corriere della Sera

“Spezza il cuore vedere:

1- La pressione che subisce questo bambino, che avrebbe dovuto anche fare uno scambio di maglia ma che, povero, si è intimidito, e tutta Italia lo ha preso in giro;

2- L’odio che deve subire Leone da persone che nemmeno conosce.

Personalmente, da padre, non posso che esprimere supporto al bambino e ai suoi genitori. Da giurista però rilevo che questo è uno dei primi casi di odio mediatico di dimensioni rilevanti, ai danni di un bambino reo semplicemente di avere avuto genitori che dal giorno 0 lo hanno sovraesposto ad internet. I primi passi, la prima parola, i pianti… internet ha visto tutto di Leone Ferragni. E come sappiamo internet è popolata da gente di ogni tipo, compresi gli squilibrati.

In tal senso risulta fuori luogo in modo totale la dichiarazione di Fedez “nel momento in cui toccate i miei Figli avete un problema”.

Purtroppo, Fedez (di cui ammiro spesso l’approccio, eccetto quello alla paternità), dimentica che è lui ad aver messo i figli in un’arena di matti, e non può nemmeno giocarsi la scusante “ah ma non lo sapevo”, perchè lui di quel mondo è tra i principali architetti.

Leone non vivrà sempre in una bolla. Prima o poi andrà in scuole con persone normali (seppur ricchissime), prima o poi uscirà a bere qualcosa e prima o poi si scontrerà col mondo. La paura è che questo possa portare ad un corto circuito di cui non conosciamo le conseguenze. E come lui tanti altri bambini oggetto di sharenting. Per questo è importante parlare di sharenting, per questo è importante educare i genitori, affinché loro per primi agiscano per il bene dei loro figli.”

Tutela dei minori: i limiti della regolamentazione attuale

Si tratta di una pratica che solleva diverse questioni legali ed etiche, come la tutela dei diritti dei minori, la regolamentazione del lavoro, la privacy e la responsabilità genitoriale.

In Italia, non esiste una norma specifica che disciplini il fenomeno dei baby influencer, ma solo disposizioni generali che si applicano ai casi concreti. Alcune di queste sono:

  • L’articolo 32 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta lo sfruttamento economico e il lavoro dannoso per lo sviluppo fisico, mentale e morale dei minori.
  • Le norme sulla responsabilità genitoriale, che attribuiscono ai genitori il compito di educare e curare i figli, nel rispetto dei loro diritti e delle loro potenzialità.
  • Le norme sull’uso dell’immagine, che richiedono il consenso di entrambi i genitori per la diffusione dell’immagine dei minori, salvo il caso in cui ciò sia necessario per la tutela di un interesse preminente del minore.
  • Le norme sulla privacy, che stabiliscono che i minori di 14 anni non possono iscriversi alle piattaforme social, e che i dati personali dei minori devono essere trattati con particolare cautela, nel rispetto del loro diritto alla protezione.

Tuttavia, queste norme non sono sufficienti a garantire una tutela adeguata dei baby influencer, che sono esposti a rischi di sfruttamento, manipolazione, violazione della privacy e pregiudizio per la loro identità e reputazione. Per questo, sarebbe auspicabile una legge ad hoc che regolamentasse il settore, tenendo conto degli interessi e delle esigenze dei minori coinvolti.

Com’è regolamentato il fenomeno in Francia e Regno Unito

Altri governi invece si sono organizzati per regolamentare il fenomeno. La Francia nel 2020 ha fatto una legge per i baby influencer: gli orari di lavoro sono limitati e i genitori hanno l’obbligo di versare i guadagni su un conto intestato ai figli che può rimanere congelato fino al compimento del sedicesimo anno di età. La norma cerca di facilitare al massimo l’eventuale volere del ragazzo di affrancarsi dal proprio passato online, anche grazie all’obbligo delle piattaforme di eliminare i contenuti in poco tempo dopo la richiesta.
Il Regno Unito ha creato il Children Code non per difendere i bambini dalla rete, ma nel suo interno: un vero e proprio codice di condotta per la tutela dei dati dei minori rivolto alle piattaforme, cioè i social media, app e giochi informatici, siti web di formazione e informazione.

Per quel che riguarda il fenomeno del Sharenting in Italia non esiste una legge specifica che regolamenti la condivisione delle fotografie dei propri figli online da parte dei genitori, facendosi riferimento alle regole generali sul diritto alla vita privata, alla tutela della propria immagine, ai doveri di protezione ed educazione che incombono sui genitori.

Risarcimento ai figli: le sentenze contro i genitori


Ricordiamo fra gli atti giurisprudenziali che hanno condannato i genitori ad un risarcimento in favore dei figli, i quali, una volta diventati maggiorenni, hanno fatto causa alla madre ed al padre per le numerose immagini postate senza il loro consenso.

Nello specifico:

  • Ordinanza Tribunale di Pistoia, 7 luglio 2018, secondo cui il padre che si sta separando non può sfogarsi e pubblicare le foto della figlia minorenne sui social, in quanto tali comportamenti le creano disagi. Ogni condotta di esposizione mediatica dei figli minorenni può essere valutata dal giudice ai fini della decisione sul regime di affidamento dei figli, oltre ad essere adeguatamente sanzionata.
  • Sentenza 403/2020 del Tribunale di Chieti, che ha prescritto a due genitori divorziati di astenersi dalla pubblicazione sui social delle foto del figlio senza il suo consenso.
  • Tribunale di Ravenna, 2019, per ricordarci che non basta il consenso di un solo genitore per pubblicare le foto di un minore infra-quattordicenne sui social, in caso di genitori sepratai ed affidamento congiunto;
  • Tribunale di Roma, 2020, che ha deciso sul caso riguardante un sedicenne la cui madre pubblicava immagini che lo ritraevano, nonostante la sua opposizione: in questo caso, avvenuto prima dell’entrata in vigore del GDPR (quindi prima dell’istituzione dell’età del consenso digitale) il minore era affidato a un tutore e la pubblicazione delle fotografie da parte della madre era lesiva della sua dignità. Il Giudice, valutando il primario interesse del minore, ha disposto la cessazione del comportamento e ha condannato la madre al pagamento di una penalità di mora in caso di persistenza della violazione.
  • Tribunale di Mantova, 2017, che ha ritenuto che “L’inserimento di foto di minori su social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line di minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia. Il pregiudizio del minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicché l’ordine di inibitoria e rimozione va impartito immediatamente”.
  • Tribunale di Trani, 2021, chiamato a giudicare una madre separata che aveva pubblicato alcuni video della figlia di 9 anni su TikTok. Il giudice ne ha disposto la rimozione d’urgenza e ha condannato la madre a pagare 50 euro per ogni giorno di avvenuta violazione e di ritardo nell’esecuzione del provvedimento giudiziario, con la richiesta che il denaro dovrà essere versato su un conto corrente intestato alla minore.

La normativa di riferimento è l’art. 10 del codice civile, che disciplina la tutela dell’immagine, il Codice della privacy ed il Regolamento per la Protezione dei dati personali, Reg. UE 679/2016 («la immagine fotografica dei figli costituisce dato personale» e “la sua diffusione integra una interferenza nella vita privata”), l’art. 96 della legge 633/1941 sul diritto d’autore, che prevede che il ritratto di una persona non possa essere esposto senza il suo consenso, nonché la Convenzione di New York per i diritti del fanciullo del 1989, all’art. 16, nel punto in cui stabilisce che «nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione» e che «il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti»”.

Educare i genitori a non mercificare i figli

La nascita dei social nell’ecosistema digitale ha portato con sé vantaggi sotto gli occhi di tutti, sia da un punto di vista professionale/lavorativo che personale soprattutto grazie a una semplificazione in termini di condivisione di contenuti e di gestione della comunicazione fra tutti i cittadini del pianeta. Forse però, complice la mancanza di una sana educazione digitale, siamo arrivati ad essere usati, ad abusare di un sistema con potenzialità incredibili, ma utilizzando modi e tempi sbagliati. A partire da Facebook, poi Instagram e a seguire Tik Tok in ambito social network per arrivare a WhatsApp, Snapchat e Telegram in ambito comunicazioni online, oggi siamo totalmente dipendenti h24 dalle notifiche che i sistemi sui quali siamo registrati e profilati ci propinano in continuazione.

Come riporto da quindici anni a questa parte nei corsi che faccio all’interno delle scuole italiane, nella sessione dedicata ai genitori, i ragazzi non seguono le indicazioni che gli vengono impartite, bensì l’esempio genitoriale, cioè il comportamento assunto dai genitori nel modo di utilizzare gli attuali ambienti e strumenti digitali, a partire dal connubio social/smartphone.

Pubblicare le immagini dei figli sin da piccoli oltreché agevolare atti di cyberbullismo nei loro confronti quali doxing, cyberstalking, furti d’identità, truffe online o ancor peggio atti legati alla pedopornografia, trasmette ai nostri figli il concetto che come noi abbiamo pubblicato le loro immagini/video altrettanto potranno fare loro il giorno stesso in cui si iscriveranno a un social con la loro immagine e con quella degli altri. Troppe le immagini e i video, troppi i dati personali seminati sul web dal primo giorno in cui i genitori da un lato e i figli dall’altro sono entrati all’interno del mondo social.

Lucrare poi sui propri figli rendendoli dei brand grazie ai quali fare lauti guadagni trasmette ai nostri figli che ciò che conta non sono i contenuti, non è il valore dell’essere ma bensì che ciò che vale realmente è apparire. Mercificare i propri figli primariamente per il “Dio Denaro” e per il successo in termini di follower e like ottenuti sulle storie pubblicate con la loro immagine onnipresente. Sono piccoli e non possono rendersi conto se ciò che stanno facendo è realmente ciò che vogliono.

Insegnare a essere, non apparire

Alle ragazze e ai ragazzi che incontro durante gli incontri formativi a scuola faccio presente il fatto che tutto ciò che pubblicano con le loro immagini per apparire e dunque essere notati da qualcuno che un domani consentirà loro di diventare famosi li mette a rischio. Importante lavorare con loro cercando di far capire loro che strada del sacrificio, dei contenuti, della passione in ciò che fanno è la chiave per il vero e autentico successo del domani. I 10.000 like su un selfie che rappresenta l’involucro esterno della mia persona sono effimeri.

La pubblicazione di un’immagine che riguarda un bel progetto portato avanti da adolescenti con i loro insegnanti, una gara sportiva vinta dopo anni di sacrifici che porta ad avere anche solo 5 LIKE porta al suo interno un valore intrinseco dietro al quale vi sono contenuti reali che non moriranno mai.

Essere e non apparire, questo importante insegnare già dalla quarta primaria laddove le bambine e i bambini fanno propri i contenuti che gli passi.

Importante normare laddove possibile sempre nella tutela del minore ma fondamentale oggi più che mai fare una sana educazione digitale sui genitori a partire già dalla scuola dell’infanzia e sui bambini nella scuola primaria circa un uso sano, sicuro, legale e consapevole del web e dei social media.

Sitografia

Agenda Digitale: “Baby influencer: l’inquadramento lavorativo dei minori nella creator economy”

Buone Notizie: “Baby Influencer famosi: regolamentare per difenderli nella Rete

Garante Infanzia: “Social, proposta pacchetto di interventi. Carla Garlatti: Serve soprattutto educazione

Flu Agency: “Baby Influencer – I profili da seguire

Diritto.it: Sharenting – Un fenomeno sociale pericoloso e inconsapevole

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