educazione digitale

Bambini manipolati dalla pubblicità digitale, ecco la sfida per i genitori

Vietare ai più piccoli l’uso delle tecnologie può sembrare una soluzione sicura, ma preclude anche importanti opportunità. Ecco perché bisogna fare lo sforzo di lavorare sul versante dell’educazione, affinché confidenza e consapevolezza viaggino di pari passo

Pubblicato il 12 Nov 2018

Riccardo Zanardelli

Ingegnere | MBA

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Tutelare i più piccoli dalle insidie della tecnologia è un dovere dei genitori. Ma la soluzione non può essere solo il divieto. Servono di sicuro regole e metodo, principalmente prima di una certa età, ma soprattutto serve l’educazione alle buone pratiche per un uso sano della tecnologia. Non è semplice, ma neanche impossibile ed è necessario che gli adulti siano consapevoli di alcuni rischi quali quelli evidenziati da una recente ricerca  secondo cui molte app dedicate ai bambini utilizzano messaggi pubblicitari che farebbero uso di cosiddetti “manipulative and disruptive methods”.

Occorre leggere lo studio per comprendere nel dettaglio di cosa si tratti: la definizione di messaggi pubblicitari spazia infatti dalla (forse innocua) “presenza di personaggi commerciali” tipo l’eroe del cartone animato preferito, fino a più insidiosi “camouflaged ads”. È quindi uno studio che va capito, soprattutto va compreso il metodo utilizzato, anche perché le conclusioni sono interessanti ed anche corredate da numeri che parlano chiaro.

Non che l’utilizzo di stratagemmi pubblicitari sia il male assoluto, però la questione diventa particolarmente rilevante quando il target ha pochi strumenti per difendersi. È questo il punto. Ovviamente non tutte le app dedicate ai bambini sono così (tra l’altro lo studio prende in considerazione, almeno al momento, unicamente app disponibili su Google Play), tuttavia si tratta di uno scenario che ci spinge a riflettere.

Mettere un freno all’uso serve?

Da genitore, ammetto che la prima tentazione è mettere un freno all’uso. Un secondo dopo mi chiedo: ma vietare l’uso dei dispositivi mobili ai giovanissimi è davvero una soluzione? Mi piacerebbe rispondere, ma forse è meglio che le linee guida le scriva chi ha le competenze per farlo.

Io mi limito ad una considerazione da padre e appassionato di tecnologia: chiudersi in un bunker può sembrare una scelta sicura, ma può anche precludere molte opportunità. Forse bisogna cercare un punto di equilibrio diverso. Di sicuro prima di una certa età servono regole e metodo. Sì, ma quali?

Il genitore moderno è di fronte a un bivio: ha in mano il sì/no che abilita all’uso delle tecnologie, ma rischia di non avere il controllo sulle conseguenze. Fortunato chi è esperto di cybersecurity, ma anche i genitori meno tecnologici possono fare molto, a partire dal porsi il problema.

Difendersi dalla tecnologia con la tecnologia

Io sono cresciuto con Internet, ma i miei genitori non ne capivano nulla e non per colpa loro: semplicemente nessuno aveva spiegato loro cosa fare e loro si aspettavano che fossimo noi giovani a insegnare cosa fosse Internet. Io, da figlio, mi sono arrangiato come potevo, c’è anche da dire che i pericoli erano molti meno e che non c’erano ancora gli smartphone, ma ora le cose sono molto diverse.

Noi genitori di oggi dovremmo avere le nozioni di base per vedere i pericoli all’orizzonte e non abbiamo molte scuse. La tecnologia crea dei problemi? Sì, ma può anche contribuire alla soluzione. Ma la soluzione non ci cade quasi mai addosso: va cercata.

Esistono strumenti di controllo dei contenuti che potrebbero fare di più, ad esempio essere più user friendly. E anche più potenti, magari in grado di offrire monitoraggio e protezione “by protocol”, e questa forse è un’opportunità che qualche start-up potrebbe cogliere. Il mercato per un middleware di gestione della user experience digital-familiare c’è. Il bisogno pure. Saremmo disposti a pagare? Io sì, per esempio.

Serve un’educazione civico-digitale?

Se censurare lo strumento è un proibizionismo che rischia di alimentare frustrazione e curiosità morbosa, forse ci servono strumenti che rendano possibile un uso vigilato e protetto di smartphone, tablet e relative app. Basterà?

Forse è arrivato il momento di pensare anche allo sviluppo di una maggiore consapevolezza, fin dalla giovane età. L’educazione civica contemporanea deve poter spiegare ai bambini, con il loro linguaggio, le buone pratiche per un uso sano della tecnologia. Si è aperto un video che ti mostra cose strane e che non capisci? “Chiudilo, non è interessante, ti consuma i Giga!”.

Si apre un percorso tutto nuovo: bambino, genitore, developer, designer, formatore: la sfida è progettare un’esperienza a 360 gradi, gratificante e formativa, con confini progettati per essere istruttivi.

Ben venga un periodo iniziale di distanza dalla “giungla tecnologica”, ma prima o poi deve iniziare un avvicinamento guidato. Vietato pensare “niente cellulare fino a 16 anni e poi via!, fai quello che vuoi”. Sì invece ad un middleware tecnologico e culturale attraverso il quale la confidenza arriva insieme alla consapevolezza.

Così, gradualmente, i nostri figli impareranno a difendersi insieme a noi genitori ed agli insegnanti in vista di quando dovranno difendersi da soli.

Una speranza (e un impegno che non possiamo non prenderci)

Ci sono poi dei bambini che hanno esigenze speciali e che grazie alla tecnologia possono arrivare ad esprimersi come gli altri e forse anche meglio. Dobbiamo negare loro il diritto di vivere la vita bellissima che si meritano? No. Piuttosto dobbiamo tutti sforzarci di mettere la tecnologia nel sandbox che riteniamo opportuno e che può essere molto diverso da caso a caso.

Come sempre, la tecnologia ci mostra il nostro potenziale ed i nostri limiti. La tecnologia è uno specchio, se non vogliamo vederci deformati dobbiamo sceglierne uno adatto e “installarlo” bene. Soprattutto se è lo specchio che usano anche i nostri figli.

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