scuola e digitale

Bambini troppo soli davanti agli smartphone: ecco che cosa può fare la scuola

Lo smartphone in sé non è uno strumento nocivo per bambini e ragazzi, ma è sbagliato lasciarli troppo soli davanti agli schermi. Per questo la scuola deve intervenire e fare da bussola, fornendo indicazioni e modelli diversi da quelli offerti dai genitori. Vediamo in che modo

Pubblicato il 13 Giu 2019

Daniela Di Donato

Docente di italiano (Liceo scientifico), PhD in Psicologia sociale, dello sviluppo e della Ricerca educativa presso Sapienza Università di Roma, esperta di metodologie didattiche, inclusione e uso delle tecnologie digitali a scuola.

social baby star

Spesso i bambini o i ragazzi sembrano molto soli davanti agli schermi dei loro smartphone. È questa solitudine a non essere sana, non l’uso dei dispositivi digitali in sé. Per questo è indispensabile che la scuola si assuma la responsabilità e l’incarico di educare all’uso della rete e al suo non uso, che dia bussole per scegliere, che faccia qualcosa di diverso da quello che possono e riescono a fare i genitori o l’ambiente familiare.

Questa mia riflessione parte da un episodio accaduto poco tempo fa.

Sono in treno e accanto a me si siede un bambino, che avrà quattro o cinque anni. Abbassa il tavolino e ci sistema uno smartphone acceso. Si sintonizza su youtube e sceglie dei brevi video di tre/quattro minuti: sono cartoni animati di Barbie. Non ne finisce uno: si interrompe più o meno a metà e passa al video successivo. Sa come cercare, conosce le principali funzioni per orientarsi nella lista dei materiali che il social gli propone (infatti salta alcuni video perché effettivamente non sono con Barbie protagonista), mette in pausa quando gli chiedo di spostarsi perché devo andare in bagno.

Sua madre è seduta due file più giù, con un bambino molto piccolo, che piange in braccio a lei ed è evidente che lo smartphone ha il compito di distrarre il mio compagno di fila, per consentirle di sedare con qualche coccola il fratellino minore. Il mio piccolo compagno di viaggio non ha le cuffiette, e questo lo rende un po’ molesto, ma mentre lo sbircio mentre tiene gli occhi fissi sullo schermo dello smartphone e i suoi video, mi chiedo se sia giusto che la madre gli abbia dato quell’oggetto da manovrare, da solo, per distrarlo.

Bambini e smartphone: il ruolo della scuola

Poi mi ricordo che quando noi si stava davanti alla televisione, dicevano che era quella la nostra baby sitter. Una priorità invece mi è molto chiara: quale dovrebbe essere il ruolo della scuola, la sua responsabilità nel fornire una diversa educazione all’uso dei media digitali rispetto a quanto riescano a fare i genitori.

Perché la forza della scuola è la sua socialità e la media literacy va educata in un contesto sociale.

Quello che più colpisce, pensandoci, sono i tanti bambini intrattenuti da schermi in pizzeria, mentre cenano con la famiglia o nel passeggino, mentre aspettano accanto ai genitori che sostano in fila oppure in volo o sull’autobus. Non ne ho visti invece (non in pubblico) guardare uno schermo insieme ad un adulto.

Come ho già accennato, infatti, non è tanto l’uso degli smartphone in sé a essere malsano, quanto il suo utilizzo in solitudine. Le competenze più complesse vanno educate a scuola perché è lì che possono essere predisposti ambienti di apprendimento dove le tecnologie digitali hanno uno spazio studiato, progettato e ben inserito in una visione didattica contemporanea.

I quattro livelli di apprendimento di Bateson

Nel suo libro Verso un’ecologia della mente, Gregory Bateson ha proposto la classificazione di quattro livelli di apprendimento.

Al livello zero ha messo l’apprendimento semplice o meccanico, fondato essenzialmente sulla reazione stimolo-risposta.

Al livello uno si trova invece l’apprendimento che dà origine alla formazione di abitudini, derivanti dall’esperienza e dall’addestramento, come quello di tipo scolastico tradizionale, in cui l’insegnante stabilisce che cosa l’allievo deve imparare e definisce i ritmi, la quantità e la qualità dell’insegnamento. A questo livello interviene un cambiamento nella risposta agli stimoli, mediante la correzione degli errori di scelta in un insieme di alternative.

Arrivati al livello due, finalmente l’apprendimento è connesso al cambiamento del modo in cui le azioni e le esperienze sono suddivise in base al contesto delle relazioni: il soggetto fornisce risposte adeguate agli stimoli provenienti dall’esperienza e modifica le risposte in base al contesto. Qui “apprende ad apprendere”, ma lo fa ancora meccanicamente, acquisendo abitudini cognitive adatte alla soluzione dei problemi.

La parte più difficile arriva al livello tre, dove nascono funzioni di valutazione complesse, come la coscienza di esistere, di conoscere, di apprendere, di dare senso all’esperienza. È a questo livello che il soggetto “impara a imparare” consapevolmente e intenzionalmente, liberandosi dalle abitudini cognitive e diventando disponibile a uscire dal proprio io per confrontarsi con il pluralismo delle possibili verità.

Ecco lo smartphone va utilizzato a scuola per lavorare sui livelli due e tre, secondo me. La consapevolezza e la scelta, quella che il bambino sembrava esercitare in modo meccanico mentre col dito scorreva sullo schermo la lista dei video da guardare. Per uscire dalle routine addestrate nelle abitudini familiari o legate al gruppo dei pari (soprattutto per gli adolescenti) dobbiamo rompere delle abitudini: aiutare ciascuno studente a entrare in quegli stessi schermi con uno scopo, che non sia far passare il tempo o intrattenersi mentre qualcuno fa qualcos’altro. Ce la possiamo fare? Ce la possiamo fare.

I docenti devono avere il coraggio e nutrire quello spirito pioneristico, che dovrebbe essere proprio di qualsiasi educatore, che si muove alla scoperta dell’altro per costruire con lui una relazione, che è nuova ogni giorno. Mi sembra che i tempi siano maturi per scendere dalle cattedre (per chi ci sale, naturalmente) e affiancare i nostri studenti in questo viaggio verso una maturità digitale, che ormai è ora di far affiorare in ogni spazio utile, in ogni luogo collegiale, in ogni discorso educativo, in ogni occasione di formazione e autoformazione.

Per farlo, occorre che docenti e studenti escano dalla comfort zone: i docenti devono tenere a bada la paura, che dicono di avere, verso un uso dei dispositivi mobili personali a scuola; gli studenti dovrebbero modificare le loro abitudini legate allo smartphone, che prevedono un uso spesso limitato a chat, fruizione video e pubblicazione foto, talvolta in maniera compulsiva. Se riuscissimo anche a coinvolgere le famiglie in questo percorso, forse, potremmo collaborare e agire come co-educatori, ma si può cominciare anche da soli. Niente scuse.

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Bibliografia

Gregory Bateson, Verso una ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976

BONAIUTI, Giovanni; RICCIU, Roberto. Mobile devices to increase attention and improve learning. Form@re – Open Journal per la formazione in rete, [S.l.], v. 17, n. 1, p. 190-203, apr. 2017. ISSN 1825-7321.

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