Sankò occhiava il traffico sospeso. Sagome in controluce. Il cielo bianco. Il sole bianco. Il tappeto bianco. Il pelo bianco. Emmes Gastor ricordava a Sankò i salti nel mare. L’altro ieri. Ridevano. Sankò batteva la coda. Emmes si alzò in piedi. C’era stata un’altra richiesta. Silenzioso dalla cucina all’ascensore. Sankò dietro.
Il Massimo Agente: “Si è capito che il Grande Ictus Mnemonico non è riuscito ad annullare tutte le memorie della galassia…” Gli agenti delle Memory Squad riunite annuivano. Sottintendevano. Gomitavano. Occhieggiavano. Strapensavano. Perplessivano. “Pochissime memorie… sono ancora funzionanti…” Cercava il fiato nel casermone improvvisato. Segreto. Illuminato. Rovente. Svargato. Le zanzare si accanivano sui polsi sudati. “Il vostro compito, da tre settimane a questa parte… da quando il Gimne si è abbattuto sulla galassia…” I muscoli del mento si contraevano infastiditi. “l vostro compito è ora diventato vitale…” Gli agenti si voltarono verso la grata d’ingresso. Tagliava in quadrati la luce del sole. S’apriva al Grand Tutor degli Scambi. Lento s’alzò al podio: “Da più di due secoli nella galassia non ci sono più acquisti, come sappiamo… Si è scambiato tutto… anche il cibo… si è scambiato col tempo… con l’intelligenza… con gli umori… coi sorrisi…” Cercò la pausa. “È l’economia dello scambio senza denaro… come… come…” Cercò la Storia. “Le memorie ci hanno consentito tutto ciò… fra di loro si individuano per lo scambio più equo…” Cercò la noia. “Ora, senza memorie, la gente potrebbe ricominciare a comprare, come secoli fa… col denaro…” Cercò la paura.
Emmes chiamò l’ascensore al suo 283esimo piano. Sankò scivolava sul pavimento bianco. Lucido. Tiepido di sole. I cespugli d’alloro circondavano le vetrate. La charlotte era pronta. Un convincente profumo di mele. Per la signora Herna del 146esimo piano, lato nord.
“Avete sentito, agenti, questa è una missione repressiva…” si affievoliva Akila Khaspros, comandante della Memory Squad 11. “Non dobbiamo recuperare una memoria ancora funzionante, come altre volte…” s’incupiva, “Dobbiamo annullare un mercante di cibo che vuole denaro…” s’arrochiva: “Annullare…” Ripeté. “Si parte al tramonto…” Ansimò.
“L’abbiamo individuato! È nel giardino verticale 2222” sillabò Afro Allaa, l’agente navigatore esperto di mappe e di sopravvivenza.
Il bus rosso a due piani, sede di copertura della squadra, si accucciò nella poca ombra. In un viottolo laterale. I sei agenti scesero. In pugno gli annullatori. Nulla si annulla. Tutto si distrugge. Le sentenze sono scritte da sempre. L’ombra si fece più scura. Nei loro occhi. La squadra s’infilò nell’undicesimo ascensore. Gli altri erano tutti occupati. Salivano. Scendevano. Profumo di alghe. Di uova. Arance. Basilico. Arrosto.
Il pianerottolo era oscurato. “Siamo al piano 284… entriamo in questo appartamento… e ci caliamo sul terrazzo ovest dell’appartamento di sotto… C’è una vetrata aperta.”
La vetrata aperta. Il profumo di mele e zucchero. Silenzio affollato. Annullatori sventagliati. Passi soffocati. Emmes Gastor intravede ombre. Siede con Sankò accucciato. Di fianco all’ascensore. Nel buio. Respiri brevi. Respiri arrestati. Respiri contratti. Lontani dal terrazzo. Gli agenti avanzano. Niente memorie. Niente visori. Ciechi nel buio come i ciechi nella luce. A scatti. Felpati. Emmes Gastor intuisce. Sankò capisce. Gli agenti nella sala. Avanzano. A sinistra nel corridoio. In fondo nello studio. A destra nella grande anticamera. Aprire la porta. Arrivare al pianerottolo abbuitato degli ascensori. Il profumo di mele. Il profumo di dolce. L’ascensore scende. L’ascensore si ferma al piano 146. L’ascensore attende. L’ascensore sale. L’ascensore arriva. L’ascensore s’apre. Illumina Emmes e Sankò. Gli agenti si avventano.
Sui dieci euro di una antica banconota.
(49-continua la serie. Ogni episodio è “chiuso”)