La presentazione da parte del ministro Di Maio del Fondo Nazionale per l’Innovazione, con la possibilità della vendita del 70% di Invitalia SGR (la società di venture capital di Invitalia) a Cassa Depositi e Prestiti e una previsione di conferimenti anche da parte delle società di partecipazione pubblica, rappresenta un momento di notevole importanza nella strategia nazionale per l’innovazione. Si tratta, infatti, di una scelta concreta rispetto a uno degli ostacoli principali per lo sviluppo di programmi come Impresa 4.0 e in generale delle PMI e delle startup innovative: la mancanza di investimenti privati e pubblici per lo sviluppo delle imprese innovative.
Non è un caso che rispetto alle PMI i suggerimenti più incisivi esposti dalla Commissione Europea nel documento di lavoro per la “valutazione dei progressi in materia di riforme strutturali, prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici” si soffermino proprio sulla necessità della disponibilità di investimenti privati e pubblici tali da consentire un reale cambio di passo: “Le piccole e medie imprese italiane ottengono risultati inferiori alla media dell’UE in termini di produttività e crescita. Sono pertanto necessari investimenti per migliorare la crescita e la competitività delle piccole e medie imprese, in particolare per:
incentivare strategie che consentano di aumentare la crescita e la produttività attraverso la promozione dell’imprenditorialità, delle competenze manageriali e finanziarie, delle competenze relative alla transizione industriale (ad esempio, efficienza energetica ed economia circolare) e l’integrazione delle catene del valore;
sostenere l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese per posizionarsi nelle catene globali del valore, anche attraverso l’adesione a reti di cooperazione e cluster interregionali;
facilitare l’accesso ai finanziamenti e appianare le disparità regionali mediante l’uso bilanciato di sovvenzioni e strumenti finanziari nelle regioni meno sviluppate e un più ampio ricorso agli strumenti finanziari nelle regioni più sviluppate.”
Il Fondo Nazionale per l’Innovazione è la premessa necessaria per porre lo Stato in un ruolo da protagonista nello sviluppo dell’innovazione non solo in quanto soggetto che fa la propria parte per la trasformazione digitale del sistema e dei servizi pubblici, ma anche in quanto soggetto che si fa carico di indirizzare un percorso di innovazione pervasiva del Paese, e quindi delle sue imprese e del suo tessuto produttivo, nel solco dell’approccio dello Stato Innovatore delineato da Melania Mazzucato.
Una premessa, una condizione essenziale, necessaria ma naturalmente ancora non sufficiente, perché la compiutezza dell’azione strategica richiede un’ampia e complessa rete di interventi, che semplificando possiamo riassumere con due aree principali:
la definizione di una politica industriale in cui siano individuate le principali priorità di sviluppo e di investimento nazionale;
la costruzione di ecosistemi di innovazione diffusi su tutto il territorio nazionale.
Politica industriale per innovazione e digitale
L’Italia si caratterizza per disomogeneità e fratture significative tra Nord e Sud, oltre che tra grandi e piccole e medie imprese.
La relazione della Commissione UE già citata evidenzia il tema in questo modo: “Le debolezze dell’ecosistema dell’innovazione al Sud limitano l’impatto delle misure a sostegno degli investimenti privati. L’industria manifatturiera meridionale ha beneficiato degli incentivi fiscali previsti dal piano Impresa 4.0. Tuttavia, la maggiore debolezza della situazione pregressa, ad esempio il livello locale di istruzione e innovazione, ne ha limitato l’impatto. Secondo i dati delle autorità italiane, il credito d’imposta per R&S è stato assorbito in prevalenza dalle imprese del Nord (70 % dei costi totali rispetto a solo il 10 % per le imprese meridionali nel 2017), mentre il 54 % delle imprese beneficiarie della legge sulle start-up si trova in Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio e Veneto.”
Un’altra importante frattura è poi tra microimprese e piccole imprese (a cui fa riferimento la maggior parte degli occupati) e grandi imprese, il che comporta, sempre secondo la Commissione UE, “una polarizzazione tra le imprese, che pone da un lato le numerose microimprese e piccole imprese – con risorse, competenze e propensione all’innovazione e all’esportazione verso i mercati esteri limitate – e dall’altro le poche imprese di maggiori dimensioni altamente innovative e produttive che operano sui mercati internazionali”. Una polarizzazione che il sistema degli accordi e dei contratti quadro Consip ha contribuito ad esasperare rispetto agli acquisti più rilevanti per le infrastrutture tecnologiche e i servizi digitali pubblici.
Il superamento di queste fratture è possibile soltanto attraverso il dispiegamento di una strategia di sviluppo che ponga al centro la valorizzazione delle caratteristiche del territorio come base per la sua innovazione e la sua conseguente crescita socio-economica.
E’ per questo necessario e urgente che sia definita una politica industriale da cui partire per la realizzazione di ecosistemi innovativi, su cui costruire la convergenza e la co-progettazione dei diversi soggetti pubblici e privati in ambito di programmazione strutturale europea e di ricerca, per una focalizzazione a tutto tondo che indirizzi anche lo sviluppo delle competenze e delle professionalità che richiede il percorso verso l’eccellenza nei settori che si definiscono come strategici, e il contributo dei territori.
Con il Fondo Nazionale per l’Innovazione e diverse misure contenute nella legge di bilancio 2019 inizia a emergere in modo chiaro una politica industriale nazionale per l’innovazione e il digitale, e alcune priorità iniziano ad essere evidenziate: certamente la manifattura 4.0, e così blockchain, Intelligenza Artificiale e internet delle cose, per le quali è in corso la redazione della strategia nazionale. Passi importanti, a cui dovrebbero aggiungersi altre scelte strategiche di definizione del quadro complessivo, come ad esempio, sul fronte delle infrastrutture tecnologiche e in generale delle telecomunicazioni, in modo da poter anche definire delle linee di azioni corrispondenti.
Ecosistemi di innovazione diffusi nel territorio
A queste direttrici strategiche dovrebbe essere conseguente poi la declinazione di una strategia di innovazione sul territorio, attraverso la costruzione o il rafforzamento di ecosistemi di innovazione che tengano conto delle caratteristiche e delle potenzialità di ciascun territorio, identificando le carenze da superare. Nel piano Impresa 4.0 giocano un ruolo importante, da questo punto di vista, i centri di competenza e i poli di innovazione digitale, in fase di costruzione e diffusione. Ma l’approccio agli ecosistemi è necessario sia organico.
Il tema non è nuovo, ma rimane incompiuto, con la percezione di un approccio ancora poco organico e pervasivo.
L’auspicio è che si intervenga in modo non estemporaneo, ma organico e innestato nelle politiche industriali e nella strategia di crescita del Paese. Partendo dai livelli territoriali delle Regioni (che dovrebbero avere questo tema nella loro programmazione strategica), per costruire connessioni e reti nazionali e internazionali, e con un’azione di spinta che veda i diversi attori dell’ecosistema connettere subito le iniziative già in corso e progettare e praticare il modello dell’open innovation, dove l’interdisciplinarietà è uno degli elementi chiave da perseguire anche negli assetti scolastici e universitari. Con un impegno che sia valutato strategicamente come prioritario, “missione” del settore pubblico.
Per sviluppare questo approccio è necessario che il settore pubblico sostenga tutte le architravi della costruzione, i soggetti dell’ecosistema, che qui provo a elencare sinteticamente:
investitori privati e pubblici, da sempre una delle principali carenze nel nostro Paese, anche se in miglioramento. L’iniziativa del Fondo Nazionale per l’Innovazione va proprio in questa direzione, dato che gli investimenti pubblici non hanno solo valore per la loro dimensione e peso, ma anche per l’attrattività che possono avere verso gli investimenti privati. A questa sono da affiancare interventi necessari per la creazione delle migliori condizioni per attrarre investimenti, e quindi per la celerità della giustizia civile, la riduzione della burocrazia, oltre che, come evidenziato nella relazione della Commissione UE il superamento di altri importanti ostacoli, come “il credito bancario limitato, la pressione fiscale sulle società e la scarsa istruzione”;
istituti superiori, università, centri di ricerca. La presenza efficace di questi soggetti è necessaria e non si improvvisa ed è fondamentale che si sviluppi intorno alle direttrici principali delle strategie di politica industriale. Le imprese di un territorio si sviluppano grazie alle competenze che riescono a valorizzare, per cui è necessario perseguire con coerenza e determinazione la strategia di crescita nella filiera educativa fino ai luoghi della ricerca. Puntare a poli di eccellenza, ad esempio, sul fronte delle tecnologie di intelligenza artificiale, significa creare le condizioni per la creazione di competenze su quel fronte. Prevedendo, ad esempio, indirizzi di studio e progetti già negli istituti superiori con possibilità di contaminazioni durante il percorso scolastico con università, centri di ricerca e imprese, ma anche preoccupandosi delle condizioni logistiche e di “qualità della vita” degli studenti superiori ed universitari, tema rispetto al quale le amministrazioni locali e regionali possono avere un peso fondamentale;
imprese. Un ecosistema di innovazione si sviluppa se si costruiscono le condizioni per una reale possibilità di crescita condivisa tra grandi imprese, PMI, start-up, e questo non può che avvenire nella logica dell’open innovation e del sostegno allo sviluppo delle nuove iniziative favorendo il raccordo con le altre già consolidate, per una contaminazione efficace. Ma il sostegno include, anche qui, il supporto alla realizzazione di interventi che vanno a favorire la creazione di contesti di contaminazione e sviluppo, con spazi di coworking e coliving, e la presenza di incubatori, iniziative di interscambio formativo tra imprese ma anche tra imprese e università e centri di ricerca, presìdi permanenti per lo sviluppo di competenze digitali.
In questo quadro la pubblica amministrazione locale e regionale svolge il ruolo di soggetto di indirizzo, per l’identificazione delle strategie di sviluppo più adeguate per le caratteristiche del territorio ma soprattutto come soggetto che si fa carico del raccordo tra i diversi attori, della realizzazione delle condizioni infrastrutturali e di contesto necessarie per lo sviluppo e del consolidamento dell’ecosistema.
L’auspicio è, di conseguenza, che le strategie di innovazione prevedano investimenti organici e coerenti sugli assi dello sviluppo degli ecosistemi (sistema industriale, sistema educativo, sistema della ricerca, contesti infrastrutturali di supporto) perché solo in questo modo si può puntare a risultati di lunga durata, e ad accelerare il cambiamento necessario.