tecno-dipendenza

Benessere digitale: la soluzione è davvero il digital detox?

Ci sono molti buoni motivi per prendersi dei break dalla tecnologia, nella vita privata ma anche in azienda, dove la digitalizzazione ha portato alcuni effetti collaterali come il tecnostress e l’eccessiva frammentazione dei tempi di lavoro. Qualche dato per riflettere e le possibili soluzioni per combattere la dipendenza

Pubblicato il 28 Set 2018

Gianluigi Bonanomi

Formatore sulla comunicazione digitale

Fenomeno amnesia digitale

Sono poche le persone che soffrono un vera dipendenza da smartphone e internet, a “livello ricovero” per capirci. Ma sono tantissime quelle che iniziato ad avere un vero problema di gestione della tecnologia che le circonda, tanto da aver modificato radicalmente le proprie abitudini di vita, sociali e lavorative per colpa di smartphone e schermi vari.
Si parla sempre più spesso di benessere digitale (digital wellbeing), anche in azienda, fino addirittura arrivare al digital detox, disintossicazione dal digitale. Facciamo il punto della situazione.

I numeri del fenomeno

Nel libro Digital Detox di Alessio Carciofi si citano tantissime statistiche riguardo a questo fenomeno. Segnalo quelle più impressionanti (le altre le trovi qui “Dipendenza da smartphone: 15 statistiche incredibili”):

  • Veniamo interrotti ogni 180 secondi. Le distrazioni consumano il 28% della nostra giornata.
  • Lavoriamo due ore in più per recuperare il tempo perso tra notifiche, gruppi Whatsapp, mail e conferenze call.
  • Il 68% degli italiani guarda lo smartphone anche se non ci sono notifiche.
  • Uno studio Microsoft ha rilevato che, una volta interrotti da una notifica email, i lavoratori impiegano 24 minuti per tornare proficuamente al compito sospeso.
  • Una ricerca Cisco rivela che 3 utenti su 5 trascorrono più tempo libero con lo smartphone che con il proprio coniuge.
  • Nove persone su dieci soffrono della sindrome della vibrazione fantasma (fonte Ansa).
  • Non riusciamo ad allontanarci dallo smartphone per più di 20 centimetri.
  • Negli usa 1000 persone sono rimaste ferite perché camminavano a testa bassa con il cellulare.
  • Tre incidenti stradali su quattro sono causati da distrazione, sempre più per colpa dello smartphone. Guardare il telefono vuol dire distrarsi, e guidare bendati, per 10 secondi, 110 metri.

Le soluzioni proposte dai big del web

Facebook, Apple e Google godono di grande popolarità, sono tra le aziende più amate del mondo. Fanno sognare, ispirano, migliorano la vita. Ma, se parliamo di benessere digitale, sono sul banco degli imputati. Per questo hanno deciso di prendere la questione di petto e offrire possibili soluzioni al problema.

Per esempio YouTube dà una mano a capire quanto tempo si trascorre online tra i suoi video, grazie a uno strumento disponibile nel menu del proprio account (facilmente raggiungibile da app): monitora quanto tempo è stato impiegato a guardare i video il giorno stesso, quello prima e negli negli ultimi 7 giorni. Si può addirittura impostare anche un limite, chiedere di ricordare di fare una pausa.

E gli altri? Facebook ha messo a punto un contatore che dice quanto tempo passiamo sul social. Lo stesso ha fatto Apple con l’iPhone.

Due app per combattere la dipendenza da smartphone

Oltre alle soluzioni presentate dai big, esistono delle applicazioni specifiche per combattere la dipendenza da smartphone.
La prima è Moment ed è molto interessante perché fa leva su una dimensione social – quindi non più privata – dell’esperienza d’uso e di abuso dello smartphone: è possibile configurare l’applicazione affinché mandi un alert, un avviso, a parenti e amici nel momento in cui si esagera con l’uso.
L’altra app degna di menzione è HabitLab, disponibile anche per Chrome. Partorita dall’università di Stanford è un collettore di molti strumenti per limitare l’uso di servizi e siti popolari: per esempio Amazon per gli acquisti compulsivi e Netflix per il binge watching. In concreto l’app permette di bloccare video virali e i clickbait su Facebook, avverte quando esageriamo o rischiamo di perdere il controllo.

Il digital detox

C’è chi considera le soluzioni sopra esposte troppo blande e chiede un vero e proprio ritorno alla stato di natura per evitare il bournout digitale (esaurimento da tecnologia). O comunque una disintossicazione dalla tecnologia, anche temporanea: il cosiddetto digital detox.

Perché prendersi dei break dalla tecnologia? I motivi sono diversi, secondo il già citato libro di Carciofi:

  • migliorare l’attenzione sul lavoro, dove è richiesta la focalizzazione;
  • avere spazio per sognare (o, perché no, annoiarsi);
  • incontrare persone senza distrazioni (per esempio a pranzo);
  • leggere libri o scrivere un diario;
  • godere della natura;
  • prendersi una pausa dallo stress;
  •  riflettere su se stessi.

Nel libro si propone anche programma del “digital felix” che punta tutto sui concetti di rallentamento, riduzione all’essenziale, riconsiderazione delle priorità e, soprattutto, di un tornare a puntare su se stessi e sul proprio benessere. Anche spirituale.

Il benessere digitale in azienda

Il processo di digitalizzazione nelle aziende, spinto anche da iniziative come Industry 4.0, rischia di portare con sé alcuni effetti collaterali, come il tecnostress e l’eccessiva frammentazione dei tempi di lavoro, che possono tradursi in minor produttività aziendale e insoddisfazione dei lavoratori.

Il tema del benessere digitale in azienda è sempre più sentito, tanto che i corsi sull’argomento vengono tenuti regolarmente per le RSPP (Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione).

Quali le soluzioni per il tecnostress in azienda?

Nel corso di un seminario tenuto presso l’Università Bicocca di Milano lo scorso 10 aprile 2018, ho ipotizzato quattro tipi di soluzioni, derivanti dall’incrocio di quattro variabili. Soluzioni tecnologiche o culturali? Soluzioni individuali o collettive?
Ecco i quattro tipi di soluzioni risultanti.

  • Soluzioni tecnologiche individuali: un esempio può essere la tecnica del pomodoro, usare cioè uno stratagemma per concentrarsi ed equilibrare lavoro e pause, ma soprattutto per restare focalizzato e non farsi distrarre da notifiche e alert. In pratica quando si lavora si mette il telefono in pausa.
  • Soluzioni tecnologiche collettive: l’uso di uno strumento come Slack permette, come promette l’azienda (vuole ammazzare le email), di abbattere il numero di messaggi di posta elettronica e lavorare meglio in team.
  • Soluzioni culturali individuali: qui si parla di trucchi di nudging, per esempio impostando lo smartphone su scala di grigi si è molto meno invogliati a usarlo.
  • Soluzioni culturali collettive: stabilire delle policy d’uso di questi strumenti, come per esempio il divieto di inviare email fuori dall’orario di lavoro (cosa peraltro proibita in Francia).

In generale il benessere digitale sarà il grande tema dei prossimi anni. Ora che hai letto questo articolo, ti consiglio di prenderti una pausa: spegni il PC o riponi lo smartphone.

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