Il quadro

Amazon, il lavoro dettato dall’algoritmo: è peggio del previsto

Un mix di sorveglianza, misurazione, trucchi psicologici, obiettivi, slogan di incentivi e una gamma sempre crescente di tecnologie intelligenti e spesso proprietarie. È il “Bezosismo e dalle aree di distribuzione di Amazon, si sta espandendo in altri centri logistici dell’eCommerce. Le ripercussioni

Pubblicato il 25 Ott 2021

Barbara Calderini

Legal Specialist - Data Protection Officer

amazon sindacato

La gestione algoritmica delle prestazioni lavorative unita a una normativa inadeguata al mutamento delle condizioni occupazionali globali sta seriamente pregiudicando la tutela della dignità e dei diritti fondamentali dei lavoratori. Il problema, certo, non è solo Amazon, ma il metodo adottato nei magazzini dell’azienda di Jeff Bezos è emblematico di una realtà ai limiti della sostenibilità e non a caso è stato ribattezzato “Bezosism [1].

Ecco come funziona e quali sono le ripercussioni sui lavoratori.

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Come funziona il lavoro da Amazon: prestazioni e produttività

Amazon valuta le prestazioni dei suoi magazzinieri utilizzando la metrica del “rate” o “make the beat”. Sono i lavoratori a impostare il livello di velocità di prestazione: una media delle prestazioni complessive di tutti gli impiegati della struttura. Le attività degli stessi sono, infatti, continuamente monitorate nei magazzini di Amazon. Ogni volta che un dipendente non raggiunge lo specifico “rate”, l’algoritmo attiva un alert destinato tanto al lavoratore quanto ai sistemi di analisi dei dati e ai suoi responsabili per le valutazioni del caso. Da lì in poi il percorso che può portare un dipendente alla condizione di “solid guy[2]”può essere veramente breve: troppi alert possono portare ad ammonizioni e, se rivolti a lavoratori precari, anche al mancato rinnovo dei contratti.

Viene misurata la velocità di prelievo e stoccaggio delle merci (disporre gli articoli sugli scaffali, rimuovere gli articoli dagli scaffali, imballare gli articoli nelle scatole, organizzare la spedizione e così via) e in base ai calcoli derivanti dalle prestazioni complessive e aggregate di ogni lavoratore, viene determinato lo standard di resa – il “rate” ottimale, adeguato a quella particolare struttura del magazzino.

Ovvero tassi di produttività oraria, di stivaggio, di prelievo e di scansione, calcolati per ciascun lavoratore, a seconda del suo ruolo nella formazione del magazzino, inseriti in un “pacchetto” di incentivi, benefit e stimoli vari che, costantemente, influenzano le prestazioni lavorative dei dipendenti Amazon. I responsabili del magazzino dal canto loro tengono riunioni stand-up due volte al giorno, in cui riportano notizie aggiornate ai dipendenti “lenti” informandoli sul tasso di produzione, sulla metrica per valutare l’efficienza e sulle performance specifiche registrate.

Un panopticon di scanner e dispositivi di rilevazione di dati in tempo reale, al centro del sistema di gestione dei centri logistici di quello che è divenuto l’“everything- everywhere store[3]” più grande del mondo, che funge da interfaccia di sorveglianza tra i lavoratori e il management di Amazon, con il compito di rendere analisi dei dati dettagliate, perfezionare la produttività dei magazzinieri, migliorare le performance di resa degli stessi, adeguare il livello di automatizzazione dei suoi sistemi e favorire l’implementazione di ulteriori applicazioni tecnologiche.

Dal Fordismo al “Bezosismo”: che ne è della libertà morale e della dignità dei lavoratori

Christopher Mims scrittore ed editorialista del Wall Street Journal (WSJ) nel suo recente articolo “The Way Amazon Uses Tech to Squeeze Performance Out of Workers Deserves Its Own Name: Bezosism” , traendo ispirazione dal suo nuovo libro “Arriving Today: From Factory to Front Door—Why Everything Is Changed About How and What We Buy”, riporta l’intervista resa dal signor Morreale, cinquantenne impiegato per sei settimane come stower in un magazzino Amazon a Edison, nel New Jersey. Un centro di spedizioni disseminato di sensori e telecamere in ogni angolo dell’edificio.

Le parole di Morreale descrivono l’esperienza tipica dei lavoratori addetti ai centri logistici: una realtà lavorativa spesso fisicamente insostenibile e, tuttavia, percepita come stimolante.

Ne è uscito un quadro piuttosto “indesiderabile” e dunque controverso che ha consentito a Christopher Mims di coniare il termine “bezosism” e che suscita diverse riflessioni in ordine alla libertà morale e alla salvaguardia della dignità del lavoratore.

“È un mix di sorveglianza, misurazione, trucchi psicologici, obiettivi, slogan di incentivi, l’atteggiamento duro nei confronti del lavoro di Jeff Bezos e una gamma sempre crescente di tecnologie intelligenti e spesso proprietarie. Preso nel suo insieme, questo sistema è abbastanza nuovo nella storia del lavoro da meritare un nome proprio: Bezosismo.

L’algoritmo del Bezosism “porta la torcia iniziata dalla catena di montaggio di Henry Ford e, successivamente, dall’approccio just-in-time di Toyota alla produzione e all’efficienza”, scrive Christopher Mims.

Dalle aree di distribuzione di Amazon queste tattiche di algorithmic management stanno catturando l’attenzione di altri centri logistici dell’e-commerce e di altri imprenditori alle prese con le nuove forme di svolgimento delle attività lavorative in forma “smart e home working”.

Negli ultimi mesi del mandato come amministratore delegato Jeff Bezos ha promesso che la sua azienda sarebbe diventata “il miglior datore di lavoro della Terra” ma i suoi lavoratori, in bilico tra lo scetticismo e la speranza, non sembrano particolarmente inclini all’entusiasmo verso le prospettive di crescita e miglioramento preannunciate: le sofisticate tecnologie di sorveglianza sul luogo di lavoro messe in atto da Amazon stanno, infatti, esacerbando il divario di potere tra datore di lavoro e lavoratore.

Le (divergenti) posizioni dei vertici Amazon e degli addetti alla logistica

Da un lato Jeff Bezos: nell’ultima lettera scritta da Ceo di Amazon agli azionisti, prima del passaggio di consegna al suo successore, Andy Jassy, Bezos delinea la strategia tecnologica del 2021 pensata per prendersi cura dei suoi dipendenti – “algoritmi sofisticati per ruotare i dipendenti tra lavori che utilizzano diversi gruppi muscolo-tendinei per ridurre i movimenti ripetitivi e aiutare a proteggere i dipendenti dai rischi di MSD- musculoskeletal disorders” – e sottolinea le tappe dell’ascesa della sua azienda negli ultimi 24 anni, smontando le allusioni alle ricorrenti accuse di sfruttamento dei lavoratori rivolte ad Amazon: “leggendo alcune notizie, potreste pensare che i nostri dipendenti siano anime disperate, trattati a volte come robot”. “Queste non sono analisi accurate. I nostri addetti sono persone sofisticate e premurose, che hanno la possibilità di scegliere dove lavorare. Quando intervistiamo i nostri dipendenti del centro logistico, il 94% afferma che consiglierebbe Amazon a un amico come luogo di lavoro. Sono in grado di fare pause informali durante i loro turni, prendere l’acqua, usare il bagno o parlare con un manager, il tutto senza influire sulle loro prestazioni”, specificando altresì come la politica aziendale non abbia mai inteso ” fissare obiettivi di performance irragionevoli” poiché il rate di rendimento dei lavoratori altro non sarebbe se non la media di ciò che tutti in un magazzino stanno già facendo.

Bezos si è detto quindi estremamente orgoglioso della cultura del lavoro presente nella sua azienda, degli obiettivi di produttività che ha etichettato come “raggiungibili”, della retribuzione e dei benefici riconosciuti ai suoi dipendenti.

“Abbiamo sempre voluto essere l’azienda più incentrata sul cliente della Terra”, ha scritto nella lettera agli azionisti. Ora, ha aggiunto, “diventeremo il miglior datore di lavoro della Terra e il posto di lavoro più sicuro della Terra “.

Anche il capo delle risorse umane per i magazzini e i vari direttori generali dei centri logistici non hanno mai mancato di evidenziare quanto l’azienda attribuisse la priorità al benessere dei lavoratori, citando sondaggi interni e descrivendo la creazione di relazioni profonde con i loro team.

Dall’altro lato, però, ci sono i lavoratori Amazon: stowers, packers, tote runner, counters. Austin Morreale e Tyler Hamilton, tra gli altri, rendono note diverse ed importanti criticità.

“A un estremo dello spettro, c’era chi trovava il lavoro intollerabile e durava meno di due settimane. All’altra estremità c’erano quelli spronati a migliorare le proprie prestazioni e la tolleranza per le lunghe ore di isolamento e il movimento ripetitivo che tanto comportava.” riferisce Morreale a Christopher Mims, editorialista del WSJ.

Non è un caso, come rivela una ricerca del Times, che il tasso di abbandono dei magazzinieri di Amazon sia così alto da influire sul tasso di turnover del settore.

Making rate: l’esasperazione della competizione e l’effetto Hawthorne

Le circostanze riferite da Austin Morreale sono le stesse che Tyler Hamilton, un giovane lavoratore impiegato presso il centro logistico Amazon a Shakopee, nel Minnesota, aveva già rappresentato quando fu intervistato nel 2019 dallo stesso Mims, al quale aveva riportato come il “making rate” – “fare tasso” contribuisse a mettere pericolosamente in competizione tutti i lavoratori esercitando sugli stessi una certa influenza psicologica che poteva facilmente indurre al superamento dei propri limiti fisici. Uno delle pratiche più comuni è il cosiddetto Amazon pace, cioè camminare il più velocemente possibile per recuperare o immagazzinare più oggetti.

Il fenomeno è così ben documentato in letteratura da avere un nome: l’effetto Hawthorne[4].

Hamilton descrive come i ritmi di lavoro richiedessero molto spesso di mantenersi efficienti e vigili durante il proprio turno (10 ore al giorno, con solo mezz’ora per il pranzo e due pause di 15 minuti) attraverso l’uso di bevande energetiche, “aspirina” e caffeina; tutte risorse “generosamente” rese disponibili dai dirigenti ai lavoratori grazie ai distributori automatici gratuiti dislocati in vari punti dei magazzini.

Salute e sicurezza dei lavoratori

E certamente anche gli aspetti di salute e la sicurezza dei lavoratori, dagli infortuni sul lavoro, alla mancanza dei sistemi di protezione o sicurezza, fino alle cosiddette “morti bianche”, al centro della protesta dei lavoratori italiani di Amazon, scoppiata nel marzo del 2021, non depongono a favore delle rassicuranti esternazioni di Bezos e di Amazon. L’uso dell’intelligenza artificiale e i bracci meccanici dei Kiva robot, realizzati da una startup del Massachusetts acquisita da Amazon, insieme al programma aziendale Working Well, non pare abbiano smosso l’entusiasmo dei dipendenti sul fatto che tanto contribuirà non solo a migliori performance dei lavoratori ma aiuterà anche ad aumentare il livello di occupazione e ad abbassare il numero di infortuni o i disturbi muscoloscheletrici che affliggono i magazzinieri in Amazon.

“Sviluppiamo questi obiettivi (rate) sul lungo periodo utilizzando le prestazioni effettive dei dipendenti”, Mims riporta nel suo articolo le parole del dirigente Amazon per la salute e la sicurezza, MacDougall. “Prendiamo in considerazione una varietà di fattori e tutto avviene ponendo la sicurezza e il benessere dei dipendenti in primo piano”.

I report delle associazioni sindacali che inchiodano Amazon

Dichiarazioni queste ultime che contrastano anche con le risultanze dello studio condotto dal SOC, Strategic Organizing Center, la coalizione democratica americana che riunisce quattro sindacati: Service Employees International Union (SEIU), International Brotherhood of Teamsters (IBT), Communications Workers of America (CWA) e United Farmworkers of America (UFW), intitolato Primed for Pain: Amazon’s Epidemic of Workplace Injuries.

Ricercatori ed esperti del settore hanno analizzato e confrontato i numeri estratti dai registri degli infortuni sui lavoratori conservati presso le strutture di Amazon per mettere in risalto quanto l’ossessione dell’azienda per la velocità abbia generato un costo enorme per la forza lavoro di Amazon, sottoposta a livelli di tassi di infortunio più alti di quelli presenti in settori analoghi, compreso Walmart, il più forte concorrente di Amazon nell’e-commerce al dettaglio.

“I lavoratori dei magazzini Amazon non solo subiscono lesioni più frequenti rispetto ai magazzini non Amazon, ma subiscono anche lesioni più gravi. Nel 2020, per ogni 100 magazzinieri Amazon ci sono stati 5,9 infortuni gravi che hanno richiesto al lavoratore di saltare completamente il lavoro (tempo perso) o di essere posto in servizio leggero o limitato (servizio leggero). Questo tasso è quasi dell’80% superiore al tasso di infortuni gravi per tutti gli altri datori di lavoro nel settore del magazzino nel 2020 (3,3). Anche i lavoratori di Amazon che sono rimasti feriti sul lavoro hanno impiegato più tempo per riprendersi rispetto agli altri lavoratori del settore dei magazzini. Nel 2020 i lavoratori di Amazon che hanno subito infortuni sul lavoro sono stati costretti a lasciare il lavoro per una media di 46,3 giorni, più di un mese e mezzo”.

Fonte immagine: https://thesoc.org/wp-content/uploads/2021/02/PrimedForPain.pdf

The Amazon Panopticon

Ed è altrettanto significativo lo studio realizzato da UNI global union, la federazione che unisce oltre 900 sindacati del settore dei servizi di 140 paesi del mondo, “The Amazon Panopticon” che compie una dettaglia ricognizione della suite di tecnologie di sorveglianza, in essere e allo studio, nell’universo Amazon.

A partire dagli scanner usati per monitorare ogni movimento dei lavoratori all’interno del magazzino, all’applicazione Adapt, un software che traccia la produttività dei lavoratori e identifica la velocità con cui eseguono le loro mansioni, a Distance assistant, lo schermo televisivo con sensori di profondità e una telecamera IA installato durante la pandemia Covid 19 in aree ad alto traffico dei magazzini, che traccia i movimenti fisici dei lavoratori in tempo reale che si vedono circondati da cerchi verdi di realtà aumentata se mantengono due metri di distanza l’uno dall’altro, e rossi se non lo fanno. Non ultimo Panorama appliance, il dispositivo hardware che aggiunge capacità di apprendimento automatico alle telecamere standard collegate al protocollo internet in uso, oltre alle applicazioni di sorveglianza fornite da Netradyne, Mentor, Flex o Relay, che fungono da interfaccia primaria tra gli autisti Amazon e l’azienda.

Ed è al vaglio dell’azienda anche Spoc, una sorta di circuito della sindacalizzazione che attraverso la creazione di “mappe di calore” e altri tipi di visualizzazione dei dati è in grado di evidenziare quei luoghi di lavoro “problematici”, come quelli a rischio di attività sindacale.

Fonte Immagine: https://www.uniglobalunion.org/sites/default/files/imce/amazon_panopticon_en_v3.pdf

“Poiché ogni singolo lavoratore accede al sistema tramite un dispositivo specifico, la direzione di Amazon può monitorare il proprio tasso di produttività. Ad esempio, dispositivi come lo scanner di codici a barre inviano i dati al software Associate Development and Performance Tracker (ADAPT), che tiene traccia della produttività dei lavoratori e identifica la velocità con cui eseguono le attività assegnate, come la localizzazione, la scansione o l’imballaggio. ADAPT tiene traccia della capacità dei lavoratori di soddisfare lil proprio rate, ovvero il numero di attività che dovrebbero svolgere all’ora. Il sistema tiene traccia anche di ToT o “Time off Task”, che indica il tempo in cui il lavoratore si disconnette dal dispositivo per le pause pranzo o per il bagno. Il superamento di una certa soglia di ToT genera “punti ToT”, e i lavoratori che ne accumulano troppi sono soggetti ad ammonizioni e, se precari, rischiano il mancato rinnovo dei contratti. I lavoratori hanno riferito che il sistema è stato utilizzato per inviare provvedimenti di licenziamento automatici inoltrati tramite lo scanner di codici a barre”. Riporta lo studio UNI Global union.

La posizione dei legislatori in California: il disegno di legge AB 701

Né, d’altra parte, sembrerebbe essere particolarmente favorevole al “bezosism” – la filosofia di gestione che alimenta i magazzini di Amazon – il legislatore californiano.

Il 22 settembre scorso, il governatore della California, Gavin Newsom ha firmato il disegno di legge, contestato con veemenza da una parte dei gruppi imprenditoriali, contro il monitoraggio algoritmico dei lavoratori in generale che potrebbe indurre Amazon e non solo a cambiare le proprie pratiche di lavoro.

Il disegno di legge, Warehouse Workers Protection Act, noto come AB 701 introduce nuove misure di trasparenza per le aziende relativamente alla descrizione dei “rate di produzione”, impone di divulgare le quote di produttività ai dipendenti e alle agenzie governative, vieta l’uso di algoritmi che violano i diritti fondamentali dei lavoratori come i periodi di riposo, le pause o il rispetto delle leggi in materia di salute e sicurezza e garantisce che i lavoratori non possano essere licenziati o subire ritorsioni per non aver raggiunto una quota di rendimento eccessivamente vessatoria. Ai lavoratori verrebbe anche attribuito un diritto di azione specifico in caso di obiettivi di produzione eccessivi e problematici. L’AB 701 consente inoltre al Commissario del lavoro di poter accedere ai dati sulla retribuzione dei lavoratori per identificare le strutture in cui risultino alti tassi di infortuni probabilmente dovuti all’uso di quote non sicure, oltre a determinati poteri di azione esercitabili ex officio.

La società creata da Bezos non è ovviamente citata nel testo del provvedimento, ma il riferimento ad Amazon è invece esplicito nelle parole della deputata democratica Lorena Gonzalez, promotrice del disegno di legge: “Il modello di business di Amazon si basa sull’imposizione di velocità di lavoro disumane che feriscono e scuotono i lavoratori a un ritmo più veloce di quanto abbiamo mai visto (…) I lavoratori non sono macchine. Non permetteremo a una società che mette i profitti sui corpi dei lavoratori di riportare indietro di decenni gli standard del lavoro solo per la consegna in giornata”.

Amazon non ha ancora reso alcun commento a valle del provvedimento, mentre una coalizione di 50 organizzazioni imprenditoriali, tra cui la California Retailers Association, la California Farm Bureau Federation e diverse camere di commercio locali, si sono già schierate convintamente contro il testo della recente legge.

Conclusioni

Con il termine “bezosism” l’editorialista Christopher Mims “ha tracciato una linea retta da Taylor a Henry Ford a Jeff Bezos”.

La rivoluzione culturale in atto sta segnando, anche nel mondo del lavoro, il passaggio dalla società storica a quella iperstorica dei big data, dove alla gestione algoritmica delle performance di crescita di certe organizzazioni, in linea di principio addirittura indipendente dalla supervisione umana, al “mix di sorveglianza, misurazione, manipolazione psicologica, obiettivi, incentivi e slogan” al quale sono già esposti lavoratori come quelli di Amazon, si accompagna l’insicurezza occupazionale di individui inconsapevoli e sprovvisti dei nuovi diritti richiesti per l’era digitale dell’organizzazione del lavoro. Lavoratori in balia della scarsa trasparenza che contraddistingue i processi decisionali automatizzati e delle evidenti asimmetrie informative che caratterizzano, in certi contesti produttivi, il rapporto tra forza lavoro e datori di lavoro.

L’ethos di Amazon convive, in America come altrove, con i quadri giuridici attuali, lasciando spazio ai rischi di un’estensione delle prerogative datoriali senza precedenti e dunque ai pesanti dubbi sul fatto che i tradizionali “strumenti” normativi possano assolvere all’alto compito di tutela e promozione dei principi fondamentali della normativa giuslavoristica ed antidiscriminatoria.

La sensazione è che al momento le pratiche di workforce analytics e algorithmic management, unitamente alla perdurante assenza – a livello globale – di una compiuta revisione della regolamentazione normativa, a cominciare da quella dell’intelligenza artificiale, stiano già compromettendo gravemente la tutela della dignità e dei diritti fondamentali dei lavoratori.

La responsabilità di tanto non si limita al successo incontrastato del modello di “bezosism” algorithmic management di Amazon.

  1. Termine Coniato da Christopher Mims del Wall Street Journal
  2. Nel libro “The Amazon Way” John Rossman, ex manager di Amazon, spiega che quando si inizia a parlare di un dipendente come di un “solid guy” significa che stanno per indicargli la porta.
  3. Will Oremus, “Amazon Just Became the Everywhere Store”, Medium (OneZero, 25 settembre 2019)
  4. L’effetto Hawthorne viene utilizzato per descrivere un cambiamento nel comportamento di un individuo che risulta dalla sua consapevolezza di essere osservato. L’effetto suggerisce che i lavoratori tendono a cambiare il loro comportamento sul lavoro in risposta all’attenzione che ricevono dal loro supervisore. Per maggiori approfondimenti si rimanda la seguente collegamento https://it.livingeconomyadvisors.com/1461-what-is-the-hawthorne-effect

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