Big Data e disoccupazione tecnologica

Nuove sfide per i lavoratori della conoscenza del XXI secolo. La tecnologia crea certi nuovi posti di lavoro, ma è il momento di preoccuparsi anche dell’esercito di nuovi poveri che ne potrà venire

Pubblicato il 07 Ago 2015

Alla fine del secolo scorso il sociologo Gallino, nel libro “Se 3 milioni vi sembran pochi” (1998), sul tema della disoccupazione, ammoniva: «un paese che compra per la maggior parte una tecnologia progettata e sviluppata da altri, aumenta la produttività, vede quindi diminuire i posti di lavoro, ma non li vede ricreati da quella tecnologia» (pag. 17).

L’anno successivo, sempre lo stesso autore, nell’intervista “Disoccupazione tecnologica: quanta e quale perdita di posti di lavoro può essere attribuita alle nuove tecnologie informatiche” ribadiva che:

«Con l’automazione applicata a se stessa, le macchine producono altre macchine per fare l’automazione, il processo di automazione raggiunge livelli altissimi e quindi non c’è più nessuna speranza o perlomeno si riducono di molto le speranze di trovare prima o poi un nuovo posto di lavoro nei settori che producono la tecnologia che ha eliminato il posto originario, il posto di partenza».

Posizione che ha anticipato di un decennio le critiche verso un progresso troppo rapido e concentrato sulle tecnologie informatiche, tale da non creare nuove occupazioni per le persone che diventano in esubero o con competenze troppo obsolete per le nuove modalità lavorative (Brynjolfsson, McAfee 2011).

Un recente articolo dell’Economist ha esteso queste preoccupazioni ai Big Data: l’utilizzo dei Big Data da parte delle machine learning ha portato negli ultimi anni a dei risultati che hanno superato di molto le capacità umane in ambiti nella quale è richiesta un’alta preparazione, a costi notevolmente inferiori e a velocità praticamente istantanee (Cukier 2015).

L’autore riporta che:

– Nel 2011 una machine learning della Stanford University, attraverso i dati introdotti da ricercatori, ha individuato tre nuovi rilevatori di biopsia predittori di tumore al seno (Beck et al. 2011). Risultato raggiunto applicando un algoritmo su un numero di informazioni non praticabile per un essere umano. Questo sistema, praticato in scala, potrebbe salvare molte vite umane e abbattere i costi delle cure, in quanto la malattia sarebbe così diagnosticabile già nelle prime fasi.

– Nel 2013 Micosoft research con diverse università Usa utilizzò 82.000 ricerche online di pazienti sui sintomi legati ai medicinali per abbinarli ai medicinali che prendevano (deducibile dalla query) e scoprire così gli effetti collaterali di medicinali combinati, che presi da soli non avrebbero invece prodotto e frutto di abbinamenti che le case produttrici non avevano sperimentato (White et al 2014).

– Nel 2014 analizzando 35.000 casi è stato possibile individuare una variante genetica correlata alla schizofrenia: senza l’utilizzo dei Big Data e di macchine potenti per la loro analisi non si sarebbe potuto approdare a questo successo (Executive Office of the President of the United States, 2014).

Big data e macchine che così utilizzati possono sostituire il lavoro di migliaia di scienziati specializzati nella ricerca medica. E questo si può verificare ovviamente in altri campi del lavoro intellettuale: «Big Data e algoritmi sfidano i colletti bianchi lavoratori della conoscenza del XXI secolo nello stesso modo che l’automazione di fabbrica e la linea di assemblaggio ha eroso il lavoro operaio nel XIX e XX secolo» (Cukier, 2015).

Inoltre – sempre dall’articolo riportato – una ricerca dell’Università di Oxford prevede che il 47 % del lavoro odierno negli USA è a rischio di sostituzione informatica (Frey, M.A. Osborne 2013).

Ogni grande innovazione ha portato sicuramente i suoi vantaggi, ma anche si è portati a considerare l’aspetto più positivo: i nuovi posti di lavoro che crea.

Ma come già aveva illustrato Gallino alla fine di secolo per l’automazione, forse è il caso di iniziare a pensare seriamente anche ai posti di lavoro che l’applicazione dei Big Data sostituiranno senza per questo creare l’esigenza di nuovi, e la classe che colpirà, entrerà molto probabilmente nella fascia dei nuovi poveri e, sulla base delle prestazioni fina ad ora dimostrate da questo ciclopico utilizzo dell’informazione (vedi anche Capire i Big Data: tre fronti della ricerca), non saranno in pochi.

Riferimenti:

– “Big Data: Seizing Opportunities, Preserving Values,” Executive Office of the President of the United States, May 2014: www.whitehouse.gov/sites/default/files/docs/big_data_privacy_report_may_1_2014.pdf

– Beck A.H. et al. (2011), “Systematic Analysis of Breast Cancer Morphology Uncovers Stromal Features Associated with Survival,” Science Translational Medicine, 3.108 (2011): stm.sciencemag.org/content/3/108/108ra113.full.pdf

– Brynjolfsson Erik, McAfee Andrew (2011), Race Against The Machine: How the Digital Revolution is Accelerating Innovation, Driving Productivity, and Irreversibly Transforming Employment and the Economy

– Cayasoglu H., Hu N., Li Y., Ma D. (2010), Information Technology Diffusion with Influential, Imitators, and Opponents, “Journal of Management Information Systems”, 27 (2), PP. 305-334.

– Cukier Kenneth (2015), Big Data and the Future of Business, The Economist on June 30, 2015: : www.technologyreview.com/view/538916/big-data-and-the-future-of-business/

– Frey C.B. and M.A. Osborne (2013), “The Future of Employment: How Susceptible Are Jobs to Computerisation?” Oxford University, September 17, 2013: www.oxfordmartin.ox.ac.uk/downloads/academic/The_Future_of_Employment.pdf

– Gallino Luciano (1998), “Se tre milioni vi sembran pochi. Sui modi per combattere la disoccupazione”, Einaudi, Torino.

– Gallino Luciano (1999), “Disoccupazione tecnologica: quanta e quale perdita di posti di lavoro può essere attribuita alle nuove tecnologie informatiche”: www.mediamente.rai.it/biblioteca/biblio.asp?id=153&tab=int

– Strizzolo Nicola (2014), Capire i Big Data: www.agendadigitale.eu/smart-cities-communities/948_capire-i-big-data-tre-fronti-della-ricerca.htm

– White R.W. et al. (2013), “Web-scale Pharmacovigilance: Listening to Signals from the Crowd,” Journal of the American Medical Informatics Association, 20.3 (May 2013), 404-8: www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23467469

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