raccomandazioni di policy

Big data: quali regole per governare benefici e rischi dell’economia digitale

Le raccomandazioni di policy fornite dalle tre Autorità italiane sono una buona notizia perché contribuiscono ad accrescere la consapevolezza della necessità di leggi e regolamenti nel legislatore, nei cittadini e negli specialisti per mettere un freno al capitalismo di sorveglianza senza rinunciare ai benefici dei big data

Pubblicato il 09 Lug 2019

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

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Con la pubblicazione delle Linee guida e raccomandazione di policy si è conclusa l’indagine conoscitiva sullo sviluppo dell’economia digitale e, in particolare, del fenomeno dei Big Data, condotta congiuntamente dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust), dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) e dall’Autorità garante per la protezione dei dati personali (Garante Privacy).

Dalle tre Autorità arriva l’invito alle istituzioni a tenere in considerazione non solo i benefici di un utilizzo intensivo dei Big Data in termini di riduzione dei costi di transizione per imprese e cittadini, ma anche i rischi derivanti dallo sfruttamento economico dei dati e della loro valorizzazione ai fini della profilazione algoritmica legata a diversi scopi commerciali.

In questo contesto così complesso e in continuo mutamento, tutti sono chiamati a fare la loro parte, dai cittadini al legislatore, fino ovviamente alle piattaforme online, mentre le autorità, chiamate a fronteggiare le criticità dell’economia digitale, potranno farlo al meglio solo attraverso un sapiente mix di nuove regole, nuovi poteri e nuove figure professionali.

Le 11 raccomandazioni di policy

Diciamo innanzitutto che l’indagine conoscitiva appena conclusa rappresenta un bell’esempio di buon funzionamento e di efficace coordinamento tra diverse autorità, che si spera possa diventare metodo di lavoro condiviso e sempre più praticato anche nel prossimo futuro.

Si legge, infatti, nel documento che il reciproco contributo che ciascuna Autorità può fornire alle altre due risulta estremamente prezioso, “sia per una migliore comprensione dei fenomeni in atto, sia per la scelta della strumentazione più appropriata per fronteggiare alcune specifiche criticità al confine tra le diverse competenze, sia, infine, per integrare gli interventi dell’autorità competente e meglio posizionata.”.

Il risultato sono 11 raccomandazioni di policy, frutto di circa quaranta audizioni che hanno visto protagonisti i principali operatori dell’economia dei dati, delle telecomunicazioni, del settore finanziario e dell’editoria, nonché esperti e accademici. Un perimetro di professionisti molto ampio, perché lo sviluppo dei Big Data non è limitato a uno specifico settore ma investe l’economia nel suo complesso, con implicazioni rilevanti sia sul fronte economico che sociale e della tenuta dei diritti democratici.

Gli ambiti applicativi (e i vantaggi) dei big data

Volendo fare qualche esempio, si pensi ai risvolti dell’economia data driven nel settore dell’automazione e manifattura, cioè una delle eccellenze italiane, dove l’utilizzo dei Big Data e dell’intelligenza artificiale, declinata per la costruzione di modelli predittivi, manutenzione predittiva e digital twin, contribuiscono al miglioramento dei processi produttivi, oltre a un potenziale risparmio energetico significativo.

Si pensi ai servizi sanitari, dove il nostro Paese può vantare un primato a livello mondiale e può quindi sviluppare tecnologie – anche da esportazione – nel campo della salute. Da sottolineare, in questo settore, gli investimenti nella sanità digitale, o come quello dello Human Technopole di Milano, che porterà l’Italia a dotarsi di una struttura importante per lo studio combinato delle malattie e dell’impatto delle politiche sanitarie utilizzando genetica, bioinformatica e, in particolare, big data.

Per quanto riguarda la mobilità, si pensi alle attività sulla smart mobility che danno una grossa opportunità per migliorare la qualità della vita, arrivando a proporre modelli di trasporto più sostenibili, ottimizzati proprio grazie all’utilizzo dei dati. Sfruttare la tecnologia della comunicazione e dell’informazione, in combinazione con i progressi nella tecnologia automobilistica, come ad esempio le macchine auto guidate, diventano tappe fondamentali per migliorare la mobilità urbana. Non è un caso che studiosi e ricercatori stiano cercando di quantificare i benefici prodotti dalla sharing economy nel trasporto urbano, puntando sia sulla condivisione di viaggi e di veicoli, sia sulla loro combinazione.

Ha fatto scuola il sistema matematico-informatico, elaborato da ricercatori italiani, che ha permesso di ridurre del 30% le flotte dei taxi di New York, garantendo gli stessi livelli di servizio e senza ricorrere a viaggi condivisi, riducendo il traffico veicolare e favorendo anche turni di lavoro ridotti ai tassisti.

Anche l’agrifood è certamente un settore dove l’Italia vanta una qualità elevatissima e dove l’utilizzo dei dati, insieme con genetica e nanotecnologie possono continuare a migliorarne e garantirne sia la produzione, sia il mantenimento della qualità stessa, riducendo in questo caso anche gli scarti e l’impatto ambientale.

Una grande scommessa è poi quella delle pubbliche amministrazioni, senza dimenticare che siamo un Paese con un incredibile patrimonio artistico e culturale che la tecnologia può aiutare a mantenere e valorizzare ulteriormente.

Il lato oscuro dell’economia digitale: il capitalismo di sorveglianza

Attenzione però, perché l’economia digitale non ha solo risvolti positivi e la retorica dell’innovazione delle compagnie tecnologiche ha accecato per molti anni gli utenti e i legislatori, fino ad arrivare a quello che oggi viene definito il “capitalismo della sorveglianza”, ovvero una logica economica che ha dirottato il digitale per i propri scopi, fino a rivendicare unilateralmente l’esperienza umana privata come materia prima da trattare a fini commerciali. Esperienze private che vengono carpite e tradotte in dati comportamentali, in alcuni casi utilizzati per migliorare le app o i servizi, in altri usati per il loro valore predittivo e venduti a clienti commerciali in mercati che commerciano in futures umani.

Il capitalismo di sorveglianza migrato su Facebook, Microsoft e Amazon, oggi progredisce in tutta l’economia, dalle assicurazioni, alla finanza, alla sanità, all’istruzione e altro ancora, compresi i prodotti intelligenti e i servizi personalizzati. I mercati dei futures umani competono sulla qualità delle previsioni. Questa competizione per vendere la certezza produce gli imperativi economici che guidano le pratiche commerciali. In definitiva, è diventato chiaro che i dati più predittivi derivano dall’intervenire nelle nostre vite per sintonizzare e indirizzare il nostro comportamento verso i risultati più redditizi. Gli scienziati dei dati descrivono questo come un passaggio dal monitoraggio all’azionamento. L’idea non è solo di conoscere il nostro comportamento, ma anche di modellarlo in modi che possano trasformare le previsioni in garanzie. Non è più sufficiente automatizzare i flussi di informazione su di noi; l’obiettivo ora è di automatizzarci.

Questi imperativi economici erodono la democrazia dal basso e dall’alto, perché alla base i sistemi sono progettati per eludere la consapevolezza individuale, minando il libero arbitrio umano, eliminando i diritti decisionali, diminuendo l’autonomia.

Questa stessa tesi è stata sostenuta anche dal Presidente dell’Autorità Garante della Protezione dei dati personali, in occasione della presentazione al Parlamento della Relazione 2018[1], quando ha parlato dei pericoli della sorveglianza e dell’algocrazia, cioè della supremazia degli algoritmi per cui, in una “prospettiva aggravata dalla concentrazione di tali informazioni e del conseguente potere di condizionamento in capo a poche imprese, sul piano sociale ne risulta un effetto di polarizzazione estremistica dovuta alla prevalenza, accordata dall’algoritmo, a contenuti fondati sull’ostilità nei confronti del nemico opportuno.”.

Stiamo assistendo a una concentrazione estrema di conoscenza e di potere. I capitalisti della sorveglianza sanno tutto di noi, ma noi sappiamo poco di loro. La loro conoscenza è usata per gli interessi degli altri, non per i nostri. Il capitalismo di sorveglianza prospera in assenza di legge, ecco perché le raccomandazioni di policy fornite dalle tre Autorità italiane sono una buona notizia, perché contribuiscono ad accrescere la consapevolezza della necessità di leggi e di regolamenti nel legislatore, nei cittadini e negli specialisti.

Anche la Commissione europea si sta occupando della questione.

Recentemente il gruppo di esperti sull’intelligenza artificiale, nominati dalla Commissione stessa, ha reso pubblico il documento Raccomandazioni di policy e investimenti per un’intelligenza artificiale affidabile, di cui l’europarlamento appena insediato e la nuova Commissione dovranno farsi carico. Un report che da alcuni osservatori è visto come indizio di un quadro regolatorio che presto dovrà cominciare a mettere radici.

La domanda è, che tipo di regolamenti? Gli approcci alla privacy e all’antitrust sono la risposta adeguata? Cosa dovrebbe fare il legislatore?

Le 11 raccomandazioni delle Autorità italiane

Vediamo in dettaglio cosa dicono le undici raccomandazioni esposte nel documento italiano e i soggetti chiamati a svolgere un ruolo primario nella loro implementazione. Si tratta infatti di un fenomeno che merita attenzione da parte di tutti, dai privati cittadini alle grandi imprese, con impegni da parte di tutte le istituzioni che contribuiscono a definire la governance dei mercati.

RaccomandazioniCittadiniImprese e Operatori digitaliPAGoverno e

Parlamento

Autorità di regolazioneCommissione e Parlamento UE
Promuovere un quadro normativo per una piena ed effettiva trasparenza nell’uso delle informazioniXXX
Rafforzare la cooperazione internazionale per il governo dei Big DataXX
Promuovere una policy unica sull’utilizzo dei dati pubblici a vantaggi di imprese e cittadini, da coordinare con le strategie europee per un mercato unico digitaleXX
Ridurre le asimmetrie informative tra utenti e operatori digitali e tra grandi piattaforme digitali e operatori che se ne avvalgonoXXX
Identificare natura e proprietà dei dati e valutare, in sede di trattamento, la possibilità di identificazione della persona a partire dai dati anonimizzatiXX
Promuovere il pluralismo on-line, la trasparenza dei contenuti e la consapevolezza degli utenti sulle informazioni ricevute on-lineXXXX
Tutelare il benessere del consumatore con l’ausilio degli strumenti propri del diritto antitrust estendendoli anche alla qualità dei servizi, all’innovazione e all’equità.XX
Riformare il controllo delle operazioni di concentrazioni al fine di aumentare l’efficacia dell’intervento delle autorità di concorrenzaXXX
Agevolare la portabilità e la mobilità di dati tra diverse piattaforme, tramite l’adozione di standard aperti e interoperabiliXXXX
Rafforzare i poteri di acquisizione delle informazioni da parte di AGCM ed AGCom al di fuori dei procedimenti istruttori e aumento del massimo edittale per le sanzioniXXX
Istituzione di un “coordinamento permanente” tra le tre AutoritàXX

Con la premessa che “l’attuale assetto istituzionale sembra essere sostanzialmente adeguato a tutelare il diritto alla protezione dei dati personali e la concorrenza”, più vulnerabile risulta la protezione del pluralismo informativo, in ragione di nuove dinamiche che, diversamente dal passato, sembrano riguardare i comportamenti degli utenti dal lato della domanda, come si legge nel documento “in un quadro di overload informativo e di limitata trasparenza circa l’origine delle informazioni e la loro natura editoriale, nonché circa gli effetti della profilazione sulla selezione dei contenuti proposti agli utenti.

I temi chiave del futuro mercato unico digitale

Il rafforzamento della cooperazione internazionale con l’Unione europea sul disegno di policy per il governo dei Big Data, rappresenta un presidio fondamentale da rafforzare. Possono pertanto essere prese in considerazione iniziative legislative o regolamentari per affrontare al meglio i temi chiave del futuro mercato unico digitale:

  • la neutralità della rete;
  • la proprietà dei dati generati nel contesto delle connessioni 5G e oggetto di scambio tra imprese attive in settori oggetto di regolazione distinta (energia, comunicazioni elettroniche, trasporti, sanità, ecc.);
  • la portabilità e la mobilità dei dati tra diverse piattaforme;
  • la standardizzazione del dato al fine di favorire l’interoperabilità dei servizi offerti.

La costituzione del mercato unico digitale chiama in causa anche il ruolo delle nostre amministrazioni pubbliche e di tutti i soggetti pubblici i quali, acquisendo le informazioni personali per assolvere alla propria missione istituzionale sulla base di obblighi legali gravanti sugli interessati, devono assicurarsi che il ricorso alle tecniche Big Data, anche con l’ausilio dei responsabili della protezione dei dati (Rpd), avvenga nel rispetto delle discipline di protezione dei dati personali.

Anche i cittadini, in qualità di utenti, insieme agli operatori digitali, sono chiamati a fare la loro parte. Ma come fare a ridurre l’asimmetria informativa tra utenti e operatori digitali nella fase di raccolta dei dati? Come garantire che gli utenti ricevano un’adeguata, puntuale e immediata informazione circa le finalità della raccolta e dell’utilizzo dei loro dati e siano posti nella condizione di esercitare consapevolmente ed effettivamente le proprie scelte di consumo?

La responsabilizzazione delle piattaforme tecnologiche

Sia l’applicazione della normativa sulla protezione dei dati personali che la strumentazione propria della tutela del consumatore possono offrire una risposta adeguata e un contributo importante. Ma la vera sfida sta innanzitutto nel responsabilizzare le piattaforme tecnologiche, mediante l’adozione di appositi codici di comportamento volti a garantire sforzi concreti in favore della correttezza, completezza, verificabilità e non discriminatorietà dell’informazione accessibile on-line. Certo è che forme di autoregolazione, non accompagnate da poteri di audit e ispettivi circa il ruolo della profilazione algoritmica nella selezione dei contenuti, hanno evidenti limiti.

Altrettanto fondamentale risulta l’introduzione di misure volte a rendere maggiormente consapevoli i consumatori nel momento in cui forniscono il consenso al trattamento dei loro dati personali, prevedendo meccanismi di opt-in circa il grado di profilazione prescelto, aumentando la trasparenza dei criteri con i quali i dati vengono analizzati ed elaborati dalle piattaforme (ad esempio, nella definizione del ranking relativo al posizionamento e alla visibilità sulla piattaforma), nonché favorendo l’ingresso di nuovi intermediari dei dati che, su mandato degli utenti, possano interfacciarsi con le grandi piattaforme globali con un accresciuto potere negoziale in merito alla contrattazione sul valore del dato e sul suo impiego commerciale.

Il ruolo delle Autorità

Per perseguire al meglio l’obiettivo di tutelare il benessere del consumatore, le Autorità chiamano in causa il proprio ruolo, auspicando riforme a livello nazionale e internazionale che possano metterle nelle condizioni di aumentare l’efficacia dei propri interventi.

Particolarmente sentite risultano le misure che consentano alle autorità:

  • di valutare pienamente quelle operazioni di concentrazione che potrebbero risultare idonee a restringere sin dalla loro nascita importanti forme di concorrenza potenziale (le cd. killing acquisitions, cioè quelle acquisizioni da parte dei grandi operatori digitali di start-up particolarmente innovative);
  • di acquisire le informazioni al di fuori dei procedimenti istruttori (indagini conoscitive, attività pre-istruttoria), prevedendo quanto prima un aumento del massimo edittale per le sanzioni, unitamente alla possibilità di irrogare sanzioni amministrative in caso di rifiuto o ritardo nel fornire le informazioni richieste o in presenza di informazioni ingannevoli od omissive e di messa in atto di pratiche commerciali scorrette;
  • di assicurare poteri di audit e di inspection circa la profilazione algoritmica ai fini della selezione delle informazioni e dei contenuti, nonché in relazione agli esiti dell’applicazione delle policy e delle regole che le piattaforme digitali globali si sono date in tema di rimozione di informazioni false o di hatespeech.
  • di sfruttare a pieno le sinergie esistenti tra strumentazione ex ante ed ex post, a tutela della privacy, della concorrenza, del consumatore e del pluralismo, attraverso l’istituzione di un coordinamento permanente tra le Autorità.

Imprescindibile la necessità che tutte e tre le autorità di controllo possano dotarsi di adeguati profili professionali (i cd. data scientist) per garantire l’adempimento dei propri compiti istituzionali.

Considerato il dinamismo e la complessità tecnica che caratterizzano gli ambiti presi in considerazione, solo dal connubio di nuove regole, nuovi poteri e nuove figure professionali le tre Autorità sapranno fronteggiare al meglio le criticità dell’economia digitale.

A tal fine, si legge nel documento “le tre Autorità, nell’esercizio delle competenze complementari ad esse assegnate, si impegnano a strette forme di collaborazione negli interventi che interessano i mercati digitali, anche attraverso la sottoscrizione di un memorandum of understanding”, che appare come un vero e proprio lascito ai nuovi vertici delle Autorità in procinto di essere nominati.

___________________________________________________________________

  1. Lo studio è stato condotto da un team di ricercatori dell’Istituto di informatica e telematica del CNR, del Massachusetts Institute of Technology (Mit) e della Cornell University di New York ed è stato pubblicato sulla rivista Nature.

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