La nuova strategia europea per un’internet migliore per i ragazzi (Bik+), destinata a “migliorare i servizi digitali adeguati all’età e a garantire che tutti i minori siano protetti, autonomi, responsabili e rispettati online”, varata dalla Commissione l’11 maggio presenta alcuni lati positivi e qualche dubbio.
La strategia
La strategia è accompagnata da una proposta di norme per prevenire e combattere gli abusi sessuali sui minori, che dovrebbe auspicabilmente vedere la luce nei prossimi anni. In particolare, la proposta di Regolamento introduce una normativa aggiornata che integra la disciplina già introdotta dal Regolamento UE 2021/1232 “relativo a una deroga temporanea a talune disposizioni della direttiva 2002/58/CE per quanto riguarda l’uso di tecnologie da parte dei fornitori di servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero per il trattamento di dati personali e di altro tipo ai fini della lotta contro gli abusi sessuali online sui minori”.
In generale, la strategia adottata si basa sulla strategia europea per un’internet migliore per i ragazzi adottata nel 2012. Quest’ultima ha influenzato le politiche nazionali in tutta l’UE ed è stata riconosciuta a livello internazionale, ma aveva in qualche modo fatto il suo tempo, al punto che, nel marzo 2021 la Commissione ha adottato una prima comunicazione che chiedeva di aggiornare la strategia del 2012, al fine di stabilire un contesto più sicuro per i giovanissimi in rete. La strategia fa inoltre seguito allo storico accordo politico provvisorio raggiunto di recente sulla legge sui servizi digitali, che contiene nuove garanzie per la tutela dei minori e vieta alle piattaforme online di mostrare pubblicità mirata basata sulla profilazione dei minori.
Gli obiettivi
La differenza di obiettivi tra la DSA e la proposta della Commissione è che la prima si focalizza sulle piattaforme e sugli intermediari on line, stabilendo, ma senza travolgere la norma madre oramai in vigore da più di venti anni, ovvero la direttiva sul commercio elettronico, principi da applicare alle grandi piattaforme, mentre la seconda cerca di mettere al centro la figura del minore, stabilendo principi anche tecnologici a tutela di quest’ultimo.
L’obiettivo è ambizioso ma il condizionale è d’obbligo, non solo perché al di là delle dichiarazioni di principio la strategia della Commissione, datata 2012, non ha dato i frutti sperati, anche in ragione di una rapida obsolescenza tecnologica, ma anche perché le norme “cd eticizzanti” tendono spesso a sovrapporre le giuste esigenze di tutela con inibizioni che ottengono il risultato opposto.
I problemi
Le strategie basate sulle inibizioni tecnologiche e su possibili obblighi di sorveglianza preventiva presentano diversi ordini pratici di problemi: il primo riguarda la “cessione” di poteri inibitori e di investigazione in senso lato a società commerciali che fanno altro di mestiere, con il rischio che i divieti a carico delle piattaforme diventino occasioni per ottenere l’esatto opposto, ovvero una discriminazione non sorvegliata adeguatamente di fonti e contenuti.
Il secondo riguarda gli aspetti economici legati allo sviluppo di soluzioni tecnologiche di inibizione che finiscono per essere a carico degli intermediari della rete, spesso non a carico delle grandi piattaforme, ma del piccolo provider o fornitore di servizi digitali.
Un altro ordine di problemi riguarda la selezione dei contenuti ritenuti non appropriati, il cui confine è spesso labile in rete. Da questo punto di vista è utile ricordare che vi è una forte diversità tra le legislazioni europee e statunitensi in tema di libertà di espressione e di tutela dai contenuti inappropriati rappresentati negli USA dalla famosa section 230 del Communications decency act. Questa norma, che Donald Trump tentò di cambiare nel 2020 con un executive order, protegge la libera espressione e la libera circolazione delle idee anche a discapito, può sembrare un paradosso, della tutela del singolo, e ciò in virtù di un concetto molto ampio di tutela della libera scelta dei contenuti. La Corte Suprema degli Stati Uniti, in un caso molto famoso, annullò le disposizioni che prevedevano l’apposizione di filtri alla navigazione in internet nelle scuole, sul presupposto che i benefici della libera circolazione delle idee e del diritto di informarsi, prevalessero sui pericoli di accesso on line a contenuti inappropriati. Le disposizioni europee vanno in un’ottica diversa, maggiormente incentrate come sono sui pericoli legati alla disponibilità di contenuti inappropriati da parte dei minori, e c’è già di attendersi una battaglia sulle disposizioni attuative della strategia da parte delle organizzazioni di tutela dei diritti civili.