L’approccio delle forze di polizie all’uso della biometria – più di recente il riconoscimento facciale, ma non solo – persegue due obiettivi, in ambiti differenti ma contigui (polizia amministrativa, in particolare la pubblica sicurezza, e polizia giudiziaria):
- l’identificazione del recidivo, ossia assumere quante più informazioni possibili sul soggetto che entra in contatto con le forze dell’ordine al fine di poterlo sempre riconoscere (anagrafica completa, impronte digitali/palmari, fotografia in più pose, connotati/contrassegni);
- utilizzare, quindi, quelle medesime informazioni per ricercare dei link con dei fatti reato che potrebbero essere stati commessi da quello stesso individuo.
Il SARI, riconoscimento facciale per le forze dell’ordine
In questi frangenti è evidente che il connubio tra operatori specializzati e software dedicati appaia sempre più rilevante e con essi anche l’interoperabilità tra gli stessi sistemi informativi. Anche il confronto del volto ha avuto delle “accelerazioni” importanti negli ultimi anni, grazie alle maggiori capacità Osint (ideali “repository” i vari social network, autonomamente alimentati) e all’impiego di algoritmi sempre più performanti.
Sorveglianza via riconoscimento facciale, Garante Privacy solo baluardo di diritti
In Italia, già dal 2018, è attivo il sistema S.A.R.I (sistema automatico riconoscimento immagini) che permette la ricerca di volti, altrimenti non conosciuti, attingendo, per il confronto, alle foto riprese durante i rilievi segnaletici (database AFIS), automatizzando le relative operazioni di ricerca. Quelle ricerche un tempo manuali, in funzione dei connotati/contrassegni della persona d’interesse investigativa e quindi incentrate sulle testimonianze acquisite, fermo restando, oggi, anche la possibilità di dare in pasto al software fotogrammi evidentemente acquisibili da fonti terze, come i sistemi di videosorveglianza, prima la telecamera era una “testimonianza silenziosa”, sicuramente poteva dare un valido apporto alla ricostruzione criminodinamica dell’accadimento oggi sicuramente “più partecipativa” per risalire all’autore di quell’evento.
Ancora, circa l’utilizzo del SARI, l’Autorità nazionale Garante per la Privacy ha dato parere favorevole verso l’utilizzo di questa applicazione in funzione di un trattamento già in essere di dati personali (versione enterprise del software) che però vengono gestiti con modalità differenti, automatizzandoli, stante una verifica finale (il matching) sempre realizzato da un operatore specializzato. Sul punto la citata Autorità non ha invero espresso analogo parere al Comune di Como, con provvedimento n. 54 del 26.02.2020, che avrebbe voluto attuare un “sistema intelligente” di controllo del territorio, mediante videosorveglianza con automatismo di riconoscimento biometrico, per mancanza di idoneo riscontro normativo a livello nazionale nell’ambito dell’ampio concetto di sicurezza urbana (aspetto protezione dati personali ex d.lgs. 51/2018). Vuoto normativo che viene richiamato anche in un secondo momento, allorquando viene valutato l’utilizzo del S.A.R.I. realtime.
Il Garante Privacy ha modo di esprimersi il 25 marzo 2021, non limitandosi al “solo” impatto in materia di tutela dei dati personali. Il Garante, “in linea con quanto stabilito dal Consiglio d’Europa, ritiene di estrema delicatezza l’utilizzo di tecnologie di riconoscimento facciale per finalità di prevenzione e repressione dei reati. Va considerato che Sari Real Time realizzerebbe un trattamento automatizzato su larga scala che può riguardare anche persone presenti a manifestazioni politiche e sociali, che non sono oggetto di “attenzione” da parte delle forze di Polizia. Ed anche se nella valutazione di impatto presentata il Ministero spiega che le immagini verrebbero immediatamente cancellate, l’identificazione di una persona sarebbe realizzata attraverso il trattamento dei dati biometrici di tutti coloro che sono presenti nello spazio monitorato, allo scopo di generare modelli confrontabili con quelli dei soggetti inclusi nella “watch-list”. Si determinerebbe così una evoluzione della natura stessa dell’attività di sorveglianza, che segnerebbe un passaggio dalla sorveglianza mirata di alcuni individui alla possibilità di sorveglianza universale”. Da ricordare come a seguire, il 21 aprile, sia stata pubblicata la Proposal for a Regulation on a European approach for artificial intelligence (comprensivo di ben 9 allegati) da parte della Commissione Europea, dove, per lo specifico contesto, uso in tempo reale dei sistemi di riconoscimento biometrico da remoto, lascia agli Stati membri potestà regolatoria stante il rischio, se utilizzato in spazi pubblici, di limitare i diritti fondamentali, con eccezione però dell’attività di contrasto per la ricerca mirata di potenziali vittime di reato, minori scomparsi, risposta a una minaccia imminente di attacco terroristico o individuazione e identificazione di autori di fatto reato.
Scenari d’impiego per la facial recognition, attività laboratoriale
Al fine di rendere maggiormente fruibile un approccio alla facial recognition, riferendosi anche a tematiche oggetto di sicura tutela, appunto richiamate nel paragrafo precedente, verranno simulati degli scenari d’impiego con riconoscimento facciale, utilizzando librerie Open Source Dlib – OpenCv – Face_recognition e Python quale linguaggio di programmazione.
Tecnicamente il riconoscimento viene avviato con l’individuazione del volto, o dei volti, all’interno dell’immagine che li ospita. I punti d’interesse saranno georeferenziati sul relativo piano cartesiano dell’immagine stessa, il quadratino del viso sarà poi oggetto di una normalizzazione, a causa di una differente risoluzione con l’immagine a confronto, cui seguirà l’individuazione dei punti di ancoraggio: i key point o face landmarks. Grazie al deep learning, gli ancoraggi saranno sottoposti a vari livelli di misurazione per arrivare a una sorta di “impronta” del quadratino oggetto di raffronto, l’embeding. La comparazione tra queste impronte, sempre riferite su un piano cartesiano, possono essere pari a 0 ovvero 1, nel primo caso si avrà verosimiglianza nel secondo, invece, le due immagini in esame saranno differenti, questi due valori, qui espressi in termini assoluti, saranno espressi in termini percentuali.
A scopo esemplificativo vengono qui riprodotte due immagini a confronto, raffiguranti uno degli autori, i key point vengono messi meglio in risalto per comprendere quanto fin qui descritto
Le applicazioni concrete potrebbero spaziare dalla ricerca di latitanti, grazie all’apporto fornito dall’Osint, andando ad affiancare le tradizionali tecniche investigative che inevitabilmente si sono ora proiettate sul web
Le ricerche, cui possono essere investite le forze di polizia, potrebbero anche riguardare le persone scomparse: tra le ipotesi in cui la recognition potrebbe essere maggiormente utilizzata vi è la ricerca dei dispersi in ambienti non urbano, boschivo o realtà difficilmente accessibile in modo tradizionale, anche notturno. Attraverso l’attività di ricerca sviluppata con l’Associazione LAB4INT (lab4int.org), si è avuto modo di utilizzare tale tecnica in abbinamento al drone. Grazie al riconoscimento di “objects”, nella fattispecie di “persons”, si è arrivato all’individuazione del target, il quale, successivamente, è stato anche oggetto di conferma, sempre a distanza, attraverso positivo matching sul volto. Ovviamente questa modalità di ricerca potrebbe essere più pervasiva dell’abbinamento infrarosso con camera termica, infatti la fonte di colore potrebbe provenire anche da un animale e non dal soggetto d’interesse.
Gli algoritmi potrebbero anche supportare attivamente una indagine tradizionale, con tanto di ritrattista. Nel caso di specie il confronto è stato eseguito, a carico di una persona nota che si è prestata per l’occasione, tra un’immagine precaricata ed uno schizzo a matita.
Conclusioni
Giungendo al termine, la computer vision, unitamente alle ricerche di tipo osint e la facial recognition sono dei validi strumenti investigativi, ottimo input quello dato dalle autorità sovranazionali al fine di regolamentare il particolare ambito, parimenti interessanti sono gli interventi sul tema avanzati dal Garante della Privacy. Assolutamente comprensibili sono i timori che vengono ingenerati dalla tecnologia, quindi iniziative come reclam your face devono essere considerate come degli stimoli positivi offerti dalla società civile laddove i vuoti normativi avanzano e i rischi collegati al dual-use è elevato.
Si consideri che, in ottemperanza al GDPR, e dato il particolare momento storico, idoneo hardware potrebbe essere equipaggiato di software che sfruttando tali tecnologie potrebbe permettere di misurare le distanze interpersonali in spazi ristretti e verificare il corretto vestire di una mascherina, senza necessariamente salvare alcun dato nel suo storage.
Nel contempo, le interoperabilità di polizia sono garantite dal rispetto delle norme in vigore, compresa, grazie all’adesione del Trattato di Prum, l’avere una base giuridica per lo scambio transfrontaliero di dati, anche biometrici, finalizzati al contrasto di gravi reati, stante, tali rapporti di collaborazione, siano rientranti tra quelle “buone prassi di polizia” in essere fin dalla fondazione di Interpol.
La comunicazione dei dati identificativi dei “malfattori internazionali” è sempre stata al centro della condivisione info-operativa tra le forze di polizia, si pensi al Jorgensen Classification System, per una comunicazione ante-litteram delle impronte digitali dei sospettati, e sicuramente sono incrementate, specie per il vecchio continente, all’indomani del trattato di Schengen ed al venir meno di frontiere fisiche. Circa l’impiego di sistemi di comparazione, siano essi da volto o da impronte, per citare gli argomenti oggetto di questa rapida disamina, essi permettono una prima ricerca da uno verso molti, quindi dal target verso l’insieme di dati immagazzinati, la fase successiva, considerando la presenza di un elenco di candidati, accompagnati da uno score oppure da una percentuale di compatibilità, sarà devoluta al confronto tra i singoli termini e solo quest’ultimo potrà essere utilizzato in giudizio, quindi un analisi manuale (morfologica o dattiloscopica) che interesserà un operatore specializzato.
Biometria, sempre più importante per le nostre vite e società
L’importanza assunta dalla biometria nel quotidiano è assolutamente evidente: il suo utilizzo può trovarsi a spaziare dall’ambiente consumer, basti considerare le applicazioni che permettono un più rapido e agevole accesso ai contenuti dei devices in uso (smartphone, per esempio, ma anche supporti removibili) al fornire utili indicazioni, circa le eventuali preferenze che il dato utente può avere, verso un certo prodotto.
Se nel primo caso si ha un esempio concreto di biometria fisica, in genere associata all’utilizzo delle impronte digitali, ovvero del volto, del possessore di quel device, nel secondo, facendo riferimento alle impressioni che possono essere suscitate dai prodotti osservati da un potenziale acquirente, si è passati a sfruttare indicatori differenti, evidentemente di natura comportamentale, legati quindi alla postura assunta oppure dalle particolari espressioni del volto nel frattempo palesate. L’argomento, specie relativamente al riconoscimento emotivo, ben si presta a polemiche generalizzate dettate per lo più dal timore ingenerato da una tecnologia particolarmente spinta, a tratti sicuramente invasiva, anche in funzione di un paradigma che rappresenta un ossimoro di fatto: algoritmi che dovrebbero essere in grado di riconoscere le emozioni umane.
Andando per ordine, lo studio delle emozioni, al pari di quanto avviene per la biometria fisica, viene incentrato su dei template che vengono dato in pasto ai software, sulla base dei possibili match rispetto a una nuova “cattura” segue la realizzazione di indagini statistiche circa l’impatto, per esempio, di una campagna pubblicitaria. Quindi alla base di tutto vi è un confronto tra immagini precaricate, evidentemente incentrate su reazioni già “note”, e nuovi inserimenti, quindi fotogrammi, a titolo esemplificativo, estemporanei che descrivono, appunto, le reazioni del momento. Il viso rimane quindi un contenitore di informazioni uniche che permetterebbero una identificazione continua, per forza di cosa, in funzione della continua ostensione, una sorta di unicum rispetto agli altri indicatori biometrici. Come spiegato in quest’articolo, lo studio del volto dell’individuo ha anche degli utili risvolti in campo forense, significandone sia un aspetto prettamente investigativo che uno volto a preservare la sicurezza della comunità.
L’abituale utilizzo delle impronte digitali e palmari per l’identificazione del recidivo è argomento noto, verrebbe da pensare quasi al pari della rilevanza dell’osteobiografia di un soggetto, utilissima quest’ultima, per esempio, per dare indicazione circa l’instaurazione di un procedimento penale. Si pensi al caso di un potenziale minore reo e alla differenza, notevole ai fini della rieducazione e alla tutela di una personalità in formazione, che intercorre tra l’avvio di un iter processual-penalistico ordinario, dedicato ai soggetti di età maggiore ai 18 anni, ovvero un istituto che riferisca ad un organo giurisdizionale specializzato, qual è il Tribunale dei minorenni.
Ancora sul punto, Annita Larissa Sciacovelli, intervenendo al Convegno sull’accertamento dell’età cronologica dei minori stranieri non accompagnati (maggio 2021, Università di Torino) ricorda come “la CEDU e la Convenzione per i Diritti dell’Uomo si pongono come garanti per l’effettività del diritto dei migranti. L’accertamento dell’età è un momento fondamentale per riconoscere un minore essendoci il divieto di respingimento e di espulsione. Senza sottovalutare anche quelle situazioni in cui il minore…si dichiara maggiorenne perché sottoposto a minaccia. La tutela dovrebbe, quindi, essere garantita proprio attraverso questo primo aspetto dell’accertamento dell’età, essendo funzionale e podromico a tutti gli altri aspetti di tutela.”
Si ringrazia Fabio La Cava