L’inquadramento tout court delle criptocurrency nella categorie delle monete, come proposto da una recente sentenza della corte d’appello di Brescia, solleva molteplici interrogativi, anche perché non tiene conto degli innumerevoli tentativi, perpetrati dalle maggiori autorità economico-finanziarie del mondo, di definire la natura giuridica delle monete virtuali.
Sembra quasi che il Collegio non abbia voluto addentrarsi in analisi troppo dettagliate della materia anche alla luce del fatto che non vi è ancora una normativa chiara e tanto meno una definita qualificazione giuridica delle criptovalute.
Il caso
L’Amministratore Unico di una S.r.l. si era visto rifiutare l’iscrizione al Registro Imprese di una delibera assembleare che prevedeva un aumento di capitale sociale a pagamento.
L’aumento nello specifico prevedeva un apporto per complessivi euro 1.400.00,00, mediante conferimento e liberazione di beni in natura, tra cui opere d’arte e diverse unità di una particolare criptovaluta. Come prescritto dall’art. 2465 c.c. a supporto della valutazione dei beni conferiti vi era un’apposita perizia di stima. Il caso nasce quando un notaio si rifiuta di iscrivere nel registro delle imprese tale aumento così deliberato, motivando il proprio diniego con l’asserzione che “le criptovalute, stante la loro volatilità, non consentono una valutazione concreta del quantum destinato alla liberazione dell’aumento di capitale sottoscritto”. Contro tale censura faceva ricorso la società, la quale al contrario sosteneva la sussistenza dei requisiti in questione, facendo leva su alcune caratteristiche specifiche dei beni oggetto del conferimento (diverse unità di una data criptovaluta) e più precisamente evidenziava:
- l’esistenza del requisito Quae unico actu perficiuntur, in quanto erano state immediatamente messe a disposizione della società le credenziali (password) da parte del socio conferente, e quindi il passaggio della titolarità della criptovaluta in questione sarebbe potuto avvenire in maniera immediata ed a seguito di una semplicissima attività della società conferitaria, senza più aver bisogno dell’assenzo del conferente;
- l’esistenza di una valutazione attuale, concreta, precisa ed attendibile in termini monetari della criptovaluta, risultante dalla perizia di stima che era stata debitamente prodotta ed allegata
- le risultanze secondo cui la moneta virtuale in oggetto era scambiata con discreta diffusione su una precisa piattaforma raggiungibile da un preciso indirizzo internet, e per cui era soggetta alla valutazione da parte di operatori specializzati:
- che l’iscrivibilità in bilancio era certa, potendo essere trattata come qualsiasi altro bene immateriale, al pari ad esempio dei diritti di proprietà industriale.
Il Tribunale di Brescia, adito per dirimire la controversia, faceva una precisazione di merito, e chiariva come la propria valutazione non avesse ad oggetto l’idoneità generale delle criptovalute a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una S.r.l, ma la decisione assunta riguardava solo la criptovaluta oggetto di causa, esprimendosi, nello specifico, con l’assunto che la stessa, e non altre, non potesse soddisfare il requisito relativo alla valutazione economica di cui all’articolo 2464 comma 2 c.c..
Con riguardo, quindi, a quella determinata criptovaluta (e non riferendosi a tutte le criptovalute in generale) il Tribunale rilevava che non risulatava idonea ad essere oggetto di valutazione, non aveva un mercato di riferimento (l’unico mercato nel quale concretamente operava era costituito da una piattaforma dedicata alla fornitura di beni e servizi riconducibili ai medesimi soggetti ideatori della criptovaluta, nel cui ambito era utilizzata come mezzo di pagamento accettato) e non era idonea ad essere potenzialmente oggetto di esecuzione forzata.
Sulla base di tali presupposti, il Tribunale di Brescia, ritenendo appunto che quella specifica criptovaluta non presentasse i requisiti minimi per poter essere assimilata ad un bene suscettibile in concreto di una valutazione economica attendibile, rigettava il ricorso della società attrice, confermando l’impossibilità del conferimento.
Non è conferibile in una società di capitali una criptovaluta in fase embrionale, in quanto non ancora oggetto di negoziazioni in alcuna piattaforma di scambio tra criptovalute ovvero tra criptovalute e monete aventi corso legale, circostanza ritenuta fondamentale al fine di individuare un attendibile valore della stessa.
Le valutazioni della Corte di Brescia
Il Collegio, attinto dal reclamo avverso la pronuncia del tribunale di prime cure conferma il rigetto del ricorso (non riconoscendo anch’esso la possibilità di conferire criptovaluta alle società di capitali) ma con motivazioni che ad avviso dello scrivente risultano alquanto semplicistiche.
Infatti il sentore è che il Tribunale di secondo grado si sia avventurato in un pindarico volo concettuale, assimilando sic et simpliciter, la criptovaluta al denaro (visto il suo utilizzo alternativo rispetto alle monete a corso legale) per poi determinare, in funzione di ciò, la sua non appartenenza a nessuna delle categorie di beni idonei ad essere economicamente oggetto di valutazione tecnica mediante perizia di stima e per tanto non valutabile in base al combinato disposto degli artt. 2464 e 2465 del c.c. (che consentono la stima, mediante perizia, dei soli beni, servizi ed utilità diversi dal denaro).
Per cui, definendo le criptomonete una forma alternativa di denaro o di moneta la Corte deduce che non è possibile attribuire valore di scambio ad una entità essa stessa costituente elemento di scambio in una transazione, decretando così l’inidoneita di tutte le criptomenete (non solo della criptomoneta oggetto di causa). ad assolvere alla funzione liberatoria in una sottoscrizione di capitale.
La riprova del fatto che la pronuncia di secondo grado non si riferisce solo alla criptovaluta esaminata nel caso di specie (come aveva fatto il primo tribunale adito) ma determina l’impossibilità di conferire potere liberatorio nella sottoscrizione del capitale a qualsiasi criptovaluta la si rinviene nel prendere atto che la Corte d’appello di Brescia fa propria la valutazione reclamata del notaio denegante, secondo cui “ le criptovalute, attesa la loro volatilità, non consentono una valutazione concreta del quantum destinato alla liberazione dell’aumento del capitale sottoscritto”.
Orbene, alla luce del dibattito mondiale in merito alla natura della criptovalute, riterrei opportuno spiegare perché tale decisione è stata definita dallo scrivente “semplicistica”.
L’equiparazione al “denaro” o alla “moneta” fatta dall’illustre Corte D’Appello di Brescia non tiene conto degli innumerevoli tentativi, perpetrati dalle maggiori autorità economico-finanziarie del mondo, di definire la natura giuridica delle monete virtuali.
I riferimenti internazionali
La Statunitense Sec (Securities and Exchange Commission) definisce la criptovaluta come una rappresentazione digitale di valore, scambiata digitalmente che a seconda dell’utilizzo può essere considerata mezzo di scambio, unità di conto o riserva di valore ed in alcuni casi anche strumento finanziario.
La tedesca BaFin (Federal Financial Supervisory Authority) identifica le criptovalute sostanzialmente come strumenti finanziari.
L’ European Bannking Auithority (EBA) e l’ European Central Bank (BCE) sono concordi nel definire le criptovalute come rappresentazioni digitali di valore non emesse da banche centrali o da autorità pubbliche che possono essere accettate da persone fisiche o giuridiche come mezzo di pagamento.
La Banca D’Italia, come le precedenti autorità europee, identifica le criptovalute come rappresentazioni digitali di “valore”, utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento e tanti altri sono i tentativi di definire la natura giuridica delle criptomonete, ad esempio classificandole come prodotti finanziari o strumenti finanziari, o ancora, provando ad annoverarle nel più ampio genus di servizi finanziari, visto il palese scopo di investimento in alcuni casi, ma nessuna di queste definizioni sin ora è risultata essere vincente sulle altre.
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Gli interrogativi
Orbene, alla luce di quanto appena esposto appare chiaro come l’inquadramento tout court delle criptocurrency nella categorie delle monete, proposto dalla corte d’appello di Brescia, solleva molteplici interrogativi giacche non trova fondamento in nessun percorso logico motivazionale da parte del tribunale adito. Infatti, ad avviso dello scrivente, sembra che la Corte, comunque chiamata a decidere su una questione così complessa, sia giunta troppo frettolosamente alla conclusione che le criptomonete, per via della loro funzione, rientrano nella sola categoria delle monete alternative.
La sensazione, in realtà, è che il Collegio non abbia voluto addentrarsi in analisi troppo dettagliate della materia anche alla luce del fatto che non vi è ancora una normativa chiara e tanto meno una definita qualificazione giuridica delle criptovalute, nonostante i lodevoli sforzi perpetrati dalle tutte le più importanti istituzioni, che però tutt’ora non sembrano aver centrato l’obiettivo.
Ad oggi appare più logico considerare la criptomoneta come uno strumento polimorfo, eterogeneo ed anarchico, in attesa di un auspicato intervento normativo da parte del legislatore, che pare però inseguire con notevole ritardo una realtà in continuo divenire.
In conclusione è plausibile sostenere che la corte d’Appello di Brescia probabilmente verrà smentita dalla Corte Suprema, qualora adita, o da altre sentenze che cercheranno di definire meglio, magari attraverso un percorso logico-giuridico più approfondito, articolato e ragionato la natura delle criptomonete determinando se e quando potranno essere oggetto di conferimenti ed idonee a liberare il capitale sottoscritto.