Una delle cose più difficili da affrontare in questo inizio di XXI secolo è una riflessione critica sull’impatto delle tecnologie digitali, tanto siamo immersi in questo spazio che è contemporaneamente sociale e tecnologico. Un po’ come i pesci del celebre apologo raccontato da David Foster Wallace nel celebre discorso al Kenyon College, quando veniva chiesto loro com’era l’acqua, non avevano idea di cosa l’acqua fosse.
Allo stesso modo, noi membri di una società in cui i telefonini si comportano come una vera e propria scatola nera delle nostre emozioni, in cui i governi stanno cominciando a confrontarsi duramente con quel capitalismo delle piattaforme rappresentato da Uber, Airbnb oppure da Foodora, in cui i social network trasudano odio e intolleranza in certi contesti politici, chiedersi cosa sia la tecnologia e come ci abbia cambiati è un problema che riguarda la nostra identità e la nostra condizione umana. Oltre alla ricerca scientifica, l’unico modo che abbiamo per porre una distanza sufficientemente ampia fra noi e la contemporaneità, è usare l’immaginario come strumento per comprendere il mondo in cui viviamo. È l’immaginario con la sua capacità di traslazione può aiutare a porre delle domande al nostro tempo, domande che toccano la tecnologia solo apparentemente mentre in realtà ci interrogano sulla dimensione antropologica contemporanea.
Black Mirror e le idiosincrasie della società tecnologica
Per questo motivo vale la pena guardare Black Mirror e interrogarsi sulle problematiche che solleva, perché è un ottimo sistema per comprendere alcune idiosincrasie della società tecnologica odierna.
Quando mi si è presentata l’opportunità di scrivere un libro su Black Mirror, sulle prime mi sono tirato indietro: nonostante fossi un appassionato della serie, non ero sicuro di avere gli strumenti per farne uno studio scientifico, non essendo uno studioso di serie televisive. Ma due sono state le cose che mi hanno convinto. La prima è stato chiedere aiuto a degli amici a decodificare attraverso le loro competenze le caratteristiche di Black Mirror: Alessandro De Filippo usando la lente dell’analisi cinematografica, Andrea Cerase mediante il filtro della risk communication. La seconda è stata un’idea tanto semplice quanto interessante: non avrei scritto un saggio sugli episodi di Black Mirror, ma un libro che analizzasse le reazioni dell’audience di Black Mirror, cercando di comprendere quali temi avessero colpito il pubblico. La metodologia che avrei adottato è una di quelle che uso di solito: andare a cercare le tracce digitali che le persone lasciavano relativamente a Black Mirror in tutti gli spazi web in cui si era affrontato l’argomento. Questo approccio mi ha portato ad un viaggio dentro i temi dei diversi episodi delle prime tre stagioni (la quarta era in preparazione), ma declinati secondo le sensibilità del pubblico e delle community che la serie di Charlie Brooker ha saputo creare.
Un’analisi delle reazioni del pubblico
Consideriamo ad esempio la popolarità. Se andiamo a valutare la popolarità di Black Mirror facendoci aiutare da community come IMDB oppure Rotten Tomatoes, scopriamo che la serie ha un rating piuttosto alto, 8.9/10 grazie anche a puntate ormai considerate classiche come White Christmas (Bianco Natale) e San Junipero. Anche le reazioni del pubblico alle singole puntate sono interessanti. Per esempio, grazie ad una analisi compiuta da Brandwatch sui tweet relativi alla terza stagione, scopriamo come la puntata considerata più ansiogena è Playtest (Giochi pericolosi). Probabilmente la storia del ragazzo in viaggio, alla ricerca di avventure e di un allontanamento dalla famiglia, che subisce le terribili conseguenze psicologiche di un videogioco immersivo, colpisce la fantasia di moltissimi spettatori, forse perché rievoca l’esperienza del videogame considerata piuttosto quotidiana. Se andiamo a studiare le classifiche delle puntate preferite stilate dalla community del subReddit Black Mirror, scopriamo che White Christmas e Fifteen Millions Merit (Quindici milioni di celebrità) sono stati collocati quasi tutti nella stessa posizione in classifica (rispettivamente tra il terzo e il quarto posto), mentre se andiamo a vedere su quali puntate la community non concorda nella collocazione in classifica le puntate controverse sono San Junipero, The National Anthem (Messaggio al primo Ministro) e Playtest.
La loro natura controversa è relativamente facile da spiegare: il finale di San Junipero non è chiaro se sia positivo o negativo, la sfida lanciata al Primo Ministro resta piuttosto disgustosa e il videogioco della SaitoGemu rimane sempre inquietante per quanto affascinante. La capacità che ha Black Mirror di descrivere la realtà socio-tecnologica circostante, ha fatto si che la serie uscisse dagli schermi di Channel 4 e Netflix e diventasse una buzzword per taggare la realtà circostante come distopica. Non è un caso che uno dei meme più celebri di Black Mirror immortala un ragazzo che durante una manifestazione politica regge un cartello con la scritta “This episode of Black Mirror sucks” (Questo episodio di Black Mirror fa schifo) oppure l’account Twitter ufficiale della serie la notte dell’elezione di Donald Trump twittò: “This isn’t an episode. This isn’t marketing. This is reality” (Non è un episodio. Non è marketing. Questa è la realtà).
La tecnologia non ha colpa
Questi sono solo alcuni degli elementi che rendono Black Mirror un ottimo strumento per chiedersi cosa stiamo diventando nel momento in cui diventiamo simbiotici con le nostre tecnologie digitali e i nostri spazi social.
Sbaglierebbe però chi giudicasse Black Mirror una serie luddista. Se c’è un protagonista della serie che non ha colpa è proprio la tecnologia. Non è colpa della tecnologia se la possibilità di rivedere i propri ricordi porta un uomo – novello Otello – a reagire violentemente verso sua moglie (The Entire History of You – Ricordi Pericolosi). Non è colpa della tecnologia se intelligenza artificiale e ossessione dei social illude un’innamorata a riportare dagli inferi il proprio amato come già fece Orfeo con Euridice (Be right back – Torna da me). Non è colpa della tecnologia se il senso di risentimento verso la politica e la rabbia sociale porta un pupazzo sarcastico animato in 3D a diventare un personaggio politico (The Waldo moment – Vota Waldo!).
La colpa di tutto questo è nostra: è di noi che non siamo ancora riusciti ad adattarci a questo mondo tecnologico che ci mette a disposizione un potere che non siamo in grado di gestire.
Le passioni umane sono sempre state foriere di conseguenze nefaste, ma nella società tecnologica in grado di potenziarle in un modo fuori scala, le passioni possono essere molto deleterie. Soprattutto se prendono forma nello specchio nero dei nostri dispositivi digitali.