Archiviata l’inchiesta milanese per la morte di un ragazzo di 14 anni che aveva perso la vita eseguendo le pratiche della blackout challenge. Due persone erano indagate per i reati di istigazione al suicidio (articolo 580 Codice penale) e omicidio colposo (articolo 589 Codice penale). Esclusa anche la responsabilità amministrativa da reato di YouTube. Il caso è molto simile a quello della bimba palermitana che morì per una challenge su TikTok.
Il caso e il provvedimento
Un ragazzino di 14 anni aveva provato a seguire le pratiche della blackout challenge; perdeva, purtroppo, la vita. Il fatto risale al 2018.
La Polizia aveva sequestrato il telefono cellulare del ragazzo; in seguito a numerosi accertamenti, veniva verificato che il ragazzo aveva visitato, poche ore prima di morire, due pagine su YuoTube in cui si faceva riferimento alla sfida del blackout.
Venivano identificati gli autori del video e le pagine oscurate direttamente da YouTube, in seguito a notifica di decreto di sequestro.
Entrambi i soggetti indagati venivano ascoltati e affermavano chiaramente di non aver mai incitato né a provare la challenge né, tantomeno, al suicidio.
Il Gip di Milano, nella motivazione del decreto di archiviazione, dà atto di come, in entrambi i video, in più occasioni, gli autori avessero esplicitamente detto di non emulare in nessun caso i comportamenti descritti.
In un caso, peraltro, era stata inserita l’immagine di una persona finita all’ospedale provando la challenge, per scoraggiare l’emulazione.
Il Gip di Milano, quindi, ha escluso che le persone indagate avessero commesso il reato di istigazione al suicidio previsto dall’articolo 580 del Codice penale, per due ragioni.
In primo luogo, il Gip ha rilevato l’insussistenza dell’elemento materiale del reato: dagli elementi raccolti in sede di indagine, infatti, non risultava alcun elemento che potesse far ipotizzare un proposito di suicidio nel ragazzo morto tragicamente.
In secondo luogo, gli avvisi, ripetuti, nei video, finalizzati a scoraggiare l’emulazione, hanno portato il Gip a concludere per l’assoluto difetto del dolo richiesto dall’articolo 580 del Codice penale.
In altri termini. il ragazzo era morto tragicamente provando la challenge, e il suo intento era di “cimentarsi nella sfida” e non quello di suicidarsi.
Il Gip di Milano, a questo punto, ha verificato – correttamente – se vi potesse essere spazio per un’imputazione di omicidio colposo.
Il Gip ha escluso l’ipotesi, sempre per la presenza di avvisi espliciti relativi alla pericolosità delle pratiche rappresentate nei video.
Non solo: alcuni utenti avevano segnalato i video a YouTube che, però, in seguito alle verifiche usuali, non aveva registrato violazioni delle policy aziendali e delle regole di condotta per quel tipo di video (era prevista pubblicità a pagamento).
La tipologia di colpa teoricamente contestabile agli indagati era la “colpa con previsione”, ossia un sottotipo di colpa in cui si contesta ad un soggetto di aver agito ritenendo che un determinato evento non si sarebbe verificato ma che, per negligenza, imprudenza, imperizia o violazioni di legge, concretamente accade.
Nel caso milanese, tuttavia, l’unico evento è stato proprio la morte del quattordicenne, evento avvenuto anni dopo il momento in cui il video era stato caricato: secondo il Gip di Milano, infatti, «è possibile escludere con tranquillizzante certezza la sussistenza, in capo all’autore del video, di una colpa per omessa previsione dell’evento: in buona sostanza difetta la prova – che non potrebbe essere raggiunta nemmeno all’esito di un giudizio – di un nesso di prevedibilità, non essendo possibile affermare che chi ha consentito la pubblicazione e la mancata rimozione di quel video, usando l’ordinaria diligenza avrebbe potuto prevedere, dopo due anni dalla realizzazione e dalla divulgazione del video, la verificazione della tragica morte del giovane» (fonte: giurisprudenzapenale.com, nel commento a cura di Guido Stampanoni Bassi).
Da ultimo, il Gip milanese ha escluso la responsabilità amministrativa dell’ente in capo a YouTube, in seguito alle verifiche correttamente effettuate dal provider in seguito alle segnalazioni e per il fatto che mancava il necessario presupposto di un’ipotesi di reato.
Per il Gip di Milano, quindi, si è trattato di una tragica fatalità e non di un fatto di reato.
Conclusioni
Il decreto di archiviazione del Gip di Milano è un provvedimento da cui si coglie perfettamente che le indagini sono state effettuate in maniera rigorosa e che le valutazioni di fatto e di diritto non sono state fatte a cuor leggero.
D’altra parte, le valutazioni di diritto sono ben esposte e del tutto condivisibili: gli indagati, di fatto, hanno agito quasi come “giornalisti”, dando atto dell’esistenza di una pratica e sconsigliandola in modo forte, quasi come avviene per la vendita delle sigarette.
Questo decreto di archiviazione è destinato a essere preso come precedente, perché la casistica, purtroppo, è destinata ad aumentare e perché è molto puntuale nel valutare ogni elemento della questione.