Un rapido processo di acquisizione della tecnologia blockchain e di creazione di piattaforme pubbliche, e dunque non di natura esclusivamente privatistica, sarà l’unico, e il migliore, sistema per scongiurare le possibili problematiche derivanti dal diffondersi di blockchain private, suscettibili di diventare ingombranti e pericolose per il sistema di governance, con effetti teoricamente non immaginabili.
Per comprendere meglio questo scenario, mi piacerebbe partire dall’adagio secondo cui «per l’uomo intelligente ciò che avviene conviene». Nello specifico, per “avviene” si intende l’imprevedibile. Il detto si riferisce infatti a quanto di inatteso, sorprendente e non aspettato può verificarsi a prescindere dalle nostre previsioni e prudenze. In tal caso, di necessità virtù, l’uomo capace ripartirà da lì; e da quel punto riafferrerà il timone della propria esistenza e ricomincerà a scrivere la propria storia trasformando e rileggendo l’imprevedibile in utile.
Rimanendo nella metafora del mare, gli indizi prodromici di una tempesta – segni di un vento che cambia, un abbassarsi del barometro – non possono però essere trascurati, perché non attengono all’imprevedibile e devono essere attentamente valutati. Sulla mappa che definisce la rotta è necessario, intersecando le varianti, fare previsioni che garantiscano una buona navigazione a capitano ed equipaggio.
Lo stesso vale per la blockchain, una tecnologia destinata ad apportare innovazioni nei servizi e nella connessione globale ancor più di quanto possibile fino ad oggi. Una delle caratteristiche della blockchain, di indubbia peculiarità, è la capacità di garantire sicurezza immutabile nel tempo e un sistema incrociato di certificazione, non più affidato a terzi, o a un ente regolatore, bensì all’interconnessione della rete che si fa autonoma e portante, un peer-to-peer elevato all’ennesima potenza.
Quali sono i mutamenti sociali già in atto nella nostra società e quali potrebbero essere gli effetti quando si incroceranno su larga scala con la nuova tecnologia?
Partiamo dalla diffusione dei social media, ormai virale e sempre più esondante nel pianeta. Il report di Global Digital 2018,[1] realizzato in collaborazione con We Are Social[2] e Hootsuite,[3] restituisce un fermo immagine molto interessante: un monitoraggio su ben 239 Paesi indica che il numero di persone connesse e interagenti tramite Internet ha raggiunto i 4 miliardi, il che significa che circa la metà della popolazione del globo è online.
Questa connessione offre – e in un prossimo futuro offrirà sempre più – una forza di aggregazione un tempo inimmaginabile, e la portanza che si genererà permetterà ad antiche minoranze di aggregarsi attorno a scopi comuni, di perdere il connotato di parte minoritaria e di fare davvero la differenza.
Decentralizzazione e dinamiche di governance
Focalizziamo allora l’attenzione sulla decentralizzazione e sulle possibili dinamiche di governance che ne potrebbero derivare. Internet ha trasformato non solo il mondo del lavoro ma ha fondato un sistema capillare di comunicazione planetaria capace di trasformare anche le interazioni fra gli esseri umani, con forti implicazioni di natura antropologica.
La possibilità di entrare in contatto con nostri “simili”, letteralmente simili, da un lato sconfigge la solitudine in quanto autorizza il nostro “stare ed essere soggettivo” perché esso diventa esperienza comune e non è più emarginazione; e d’altro canto, proprio in virtù dell’effetto indotto su nuovi grandi numeri, smussa una condizione di individualismo imperativo creando una sorta di “corporativismo”.
L’espressione “relazione interpersonale”, o “relazione sociale”, viene letta generalmente come il rapporto che intercorre tra due o individui; la condivisione può realizzarsi sia su base affettiva sia su passioni di altro tipo – come impegni sociali e/o professionali – ma, aggiungerei, anche su convergenze ideologiche e/o di scopo.
Modern love, il successo dell’amore gestito dall’algoritmo
La scorsa estate «The Economist» ha pubblicato un articolo, dal titolo Modern Love,[4] che ci offre alcuni spunti di riflessione su un aspetto attinente a tale prospettiva. Riconosciuto l’enorme successo che riscuotono le piattaforme online per singoli che cercano una compagnia, va specificato che in questo specifico caso non ci si riferisce alla compagnia estemporanea, bensì a qualcosa di più profondo e stabile, come il desiderio di trasformazione da single in coppia. I dati raccolti in questo settore ci rimandano l’immagine di un gigantesco laboratorio sociale in cui degli estranei tra loro, desiderosi di condivisione, intrecciano le informazioni più personali, i desiderata, le affinità, gli interessi, alla ricerca di una compatibilità con altri al fine di una connessione più intima e un percorso di vita insieme. Alle radici dell’operazione vi è un algoritmo che elabora e incrocia le informazioni tra gli iscritti, evidenziando i punti di simmetria e concordanza. Il dato significativo è, a quanto sembra, il successo del sistema.
A dispetto di obsoleti pregiudizi, pare che ben un terzo dei matrimoni in America abbia avuto origine da un incontro online; inoltre, altro dato interessante, sembra che tra gli effetti di tale procedura si annoveri il sensibile calo dei divorzi. Tali risultanze indicano che, ampliando il bacino di scelta, di fatto sia possibile essere maggiormente selettivi e si possano più facilmente individuare le persone a noi più affini. Ciò che desideriamo mettere di noi in condivisione con un terzo, e ciò che desideriamo di contro ricevere da un terzo, ha uno spazio relativamente esiguo di successo se la scelta si limita al campione dei colleghi di lavoro, o magari all’occasione di incontri fortuiti, cioè quello che fino a ieri era l’unica nostra possibilità.
L’homo sapiens, cioè noi, l’uomo così come si è evoluto, raggiunge di norma il maggior vantaggio interfacciandosi con gli affini, e ciò non investe solo la sfera del personale, visto che la regola mostra una certa universalità: sia che si tratti di compagni per un’esistenza oppure di amici o consociati di uno stesso club, le relazioni umane tendono alla condivisione dei medesimi orizzonti. Si cercano rassicurazione e certezze nella somiglianza, si instaura una corrispondenza empatica con chi è contiguo alla nostra morale, ci si associa volentieri a una corrente culturale di comune sentire oppure intorno a uno scopo concorde.
Corporativismo e blockchain
Il corporativismo, termine complesso e di lunga storia, si innesta su questo terreno.
Nel 1884, su richiesta di papa Leone XIII, una commissione istituita ad hoc ha descritto il corporativismo in questi termini: «Un sistema di organizzazione sociale che ha come fondamento il raggruppamento degli uomini in comunità fondate sui loro interessi e sulle loro funzioni sociali». Riprendendo tale concezione e tale definizione del corporativismo, credo che in futuro la blockchain potrà riportare alla ribalta questo tipo di aggregazione. La tecnologia dei blocchi permette infatti creazioni sempre più vaste e articolate di progetti o il sorgere di comunità che, condividendo e aderendo a un protocollo di azione, oppure a una mission, avranno l’opportunità di interagire e dotarsi di un’autonomia garantita dalla trasparenza e libera da intermediari. Questa tecnologia abiliterà inoltre un inedito sistema di raccolta denaro, informazioni e ricerca, dunque di business, in virtù della “Token Economy”.
Per quanto tale scenario sia ancora immaturo, non dobbiamo farci trovare impreparati all’avvento dell’età del mainstreaming. Le applicazioni, infatti, saranno infinite, riversabili in campo medico, nella tracciabilità dei prodotti – per esempio alimentari, al fine di una filiera efficiente e garantita – nella ricerca su base statistica, nella raccolta di dati genetici e così per molto altro ancora. Necessario sarebbe che anche a livello governativo si intervenisse per tempo nell’avvio di piattaforme pubbliche per gestioni libere e aperte del sistema, sulla falsa riga del recente esempio avanguardistico dell’Estonia.[5] D’altronde è ovvio che l’attuale governance metta in campo la propria resilienza perché, in certa misura, lo sviluppo di una società che opera tramite blockchain invade il campo del potere di certificazione, rendendo inutile i ruoli storici del certificatore e dell’intermediario.
Una nuova stagione del “corporativismo di scopo”
Ci si chiederà come quest’analisi possa avere attinenza con la digressione iniziale sulle piattaforme on line per singoli che cercano una compagnia.
In realtà credo che esse siano il punto iniziale, il primo avviso. La ricerca dell’anima gemella tramite l’eco nello spazio del web è un segnale inequivocabile di un profondissimo mutamento sociale. Se da una parte la nostra società si fa fluida e sempre più connessa, dall’altra nasce una sorta di maggiore fiducia intersoggettiva che in qualche modo trova la connessione tramite la rete e si fa portante: non era immaginabile fino a poco tempo fa che degli sconosciuti potessero dormire in casa di altrettanti sconosciuti per trascorrervi un weekend invece che prenotare un albergo, eppure il sistema di Airbnb ha sdoganato questa prassi. Stessa cosa dicasi per esempio dell’iniziativa Bla Bla Car.
Se il sistema, inteso come “sistema umano”, accetta e autorizza il modus operandi dell’interconnessione dell’etere – come parrebbe – il diffondersi della blockchain eleverà all’ennesima potenza la capacità di raggruppamenti che nello spazio web possono incontrarsi in virtù della selezione e dell’elaborazione dei punti di affinità. Il tutto con una variante rivoluzionaria rispetto al sistema attuale, perché potrà avvenire liberamente e in assenza dell’intermediario, visto che il ruolo di garante sarà affidato alla tecnologia della blockchain. Questo, a mio parere, potrebbe significare la nascita di una nuova stagione del “corporativismo di scopo”, le cui implicazioni non sono banali.
Facendo un esempio qualsiasi, peraltro incredibilmente positivo, immagino la facilità con cui potrà nascere aggregazione tra persone che soffrono di una malattia relativamente rara. La loro condizione di esiguità numerica sul territorio rende difficile orientarsi in diagnostica e cure. D’altronde le sfere mediche e farmaceutiche sono restie ad approfondire studi specifici perché il numero molto limitato di chi potrebbe usufruire di cure ad hoc rende svantaggioso il percorso di ricerca e di commercializzazione. Ora immaginiamo che, tramite una piattaforma retta sul sistema della certificazione blockchain, possa essere creata una convergenza globale tra tutti coloro che, in un modo o nell’altro, sono coinvolti da quella patologia. Penso a malati, a ricercatori, a dottori, a familiari di pazienti, a istituti di ricerca farmaceutica di piccole dimensioni, a volontari. Ora immaginiamo che il gruppo che avvia la piattaforma decida di assegnare tramite un ICO una sorta di gettoni – token – a fronte di un finanziamento per una ricerca che pare promettente sulla base di riscontri scientifici mondiali ma che, per esiguità di fondi, è accantonata e non prosegue. E ora immaginiamo che gli stessi token raccolti, una volta raggiunto il successo dell’operazione e a conclusione dell’iter necessario per l’autorizzazione alla vendita, si possano trasformare in buoni d’acquisto spendibili per la cura stessa. Ebbene, a questo punto la convergenza messa in atto potrebbe creare una sorta di corporativismo di scopo di nuova generazione, ma in certo senso corrispondente alla definizione ottocentesca sopra citata: «Un sistema di organizzazione sociale che ha come fondamento il raggruppamento degli uomini in comunità fondate sui loro interessi e sulle loro funzioni sociali». Definizione corredata, peraltro, dalla seguente prescrizione: «Tali gruppi, in quanto veri e propri organi di Stato, dirigono e coordinano il lavoro e il capitale per quanto riguarda l’interesse collettivo».
Signoraggio, token e interesse collettivo
Parrebbe proprio attagliarsi al nostro caso: non stiamo parlando, ovviamente, di “Organi di Stato”, ma la possibilità di fare una sorta di signoraggio[6] tramite i token rende indipendente e autonomo l’interesse collettivo del gruppo.
Tuttavia, se accettiamo tale principio, dobbiamo comprendere appieno che la creazione di una sorta di corporativismo di “scopo”, resa possibile dalla blockchain e resa verosimile dalla fluidità del sistema e della società in mutamento, può e potrà comportare un offuscamento del limite geografico e della governance che oggi, almeno in parte, è affidata in modo esclusivo alle competenze di riferimento territoriale. Credo perciò che prudenza richieda un’urgente apertura di tavoli di discussione ai più alti livelli sui possibili scenari aperti dall’evoluzione tecnologica e conseguenti mutamenti sociali.
La corretta regulation risiederà quindi nella capacità di rafforzare quei fili sottili che tengono efficientemente in equilibrio il principio dell’auto-regulation.
- Cfr. https://www.slideshare.net/wearesocial/digital-in-2018-global-overview-86860338 ↑
- Cfr. https://wearesocial.com/it/ ↑
- Cfr. https://hootsuite.com/ ↑
- Cfr. https://www.economist.com/leaders/2018/08/18/modern-love ↑
- Cfr. https://e-estonia.com ↑
- Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Signoraggio ↑