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Blockchain, perché le cripto-valute di Stato saranno un flop

Alcuni paesi si sono lanciati nella creazione di monete completamente digitali in competizione con Bitcoin. Progetti che non avranno lunga vita e che nascono dall’intenzione di alcuni politici di cavalcare il successo di questo mercato o dalla volontà di qualche azienda di consulenza che spera di ricavarne cospicui guadagni

Pubblicato il 18 Ott 2017

Franco Cimatti

presidente Bitcoin Foundation

Startup - criptovalute - Fintech - blockchain - regolamento MiCa

Pare che vari paesi si stiano lanciando nella creazione di monete completamente digitali: Svezia, Cina, Estonia, Giappone e Dubai.

Queste monete vengono poi indicate come “crittomonete”, in competizione con Bitcoin o altre già sul mercato.

Questi progetti è improbabile che possano funzionare, per vari motivi, per lo più economici. Le crittomonete sono incompatibili con l’idea attuale di Stato. Le due cose non possono coesistere sul lungo termine.

Qual è l’obiettivo di uno Stato quando ha una sua moneta?

  • Mantenere una certa inflazione (farne calare il valore nel tempo), per spingere che tale moneta venga poi spesa in prodotti/servizi dove sempre lo Stato può tassare gli stessi cittadini.
  • Inflazionare (farne calare il valore) la moneta per rendere più appetibile l’acquisto di merci locali dall’estero.
  • Come scritto sopra, tassare i cittadini. E chi non paga? Chiusura e sequestro conti, poter inseguire i pagamenti per stanare chi non paga la tasse.
  • Altro obiettivo è anche solo poter limitare certe spese, o proprio impedirle, sia in uscita che in entrata, ad esempio nella speranza di danneggiare mercati concorrenti fuori dallo Stato.
  • Creare altra moneta (inflazione) per pagare prestiti da parte di altri Stati.
  • Creare altra moneta (inflazione) per finanziare attività che altrimenti il libero mercato non sarebbe interessato a sviluppare perché prive di un reale vantaggio economico (con l’obiettivo anche di raccogliere voti per future elezioni).

Tutte queste attività vanno a limitare o proprio a impedire il controllo degli utenti sui loro soldi guadagnati, a limitare la loro privacy e fanno calare il valore di tale moneta in confronto alle altre.

Il Bitcoin è stato inventato proprio per evitare tutto questo e per impedire che potesse essere facilmente fermato.

Cercherò, quindi, di spiegare in modo abbastanza “semplice” come funziona il Bitcoin e in generale tutte le crittomonete. Il Bitcoin è nato come rete P2P, cioè dove non vi è un server centrale e che quindi non sia facilmente attaccabile.

Dev’esserci comunque un modo per controllare che le transazioni siano corrette, che siano rispettate le varie regole, prima di tutte quella che impedisce di poter spendere due volte la stessa moneta digitale (come cercare di impedire di creare una seconda copia di un file).

Questo controllo viene quindi distribuito, in modo da evitare che sia appunto possibile trovare un bersaglio facilmente attaccabile.

Come si fa, però, a scegliere dei controllori, senza che ci sia un controllore centrale iniziale? Non può esserci, quindi, una selezione all’entrata.

La soluzione trovata da Satoshi, è stata quella di mettere degli incentivi per spingere i controllori a comportarsi bene, nell’interesse di garantire il loro stesso investimento.

Non troppo diverso dal fatto che quando entrate in un ristorante, non c’è alcuna certezza fisica o matematica che quello che vi metteranno nel piatto non sia avvelenato, ma loro sapranno che se non forniscono un buon servizio, il loro ristorante chiuderà.

Chi fa i controlli sulla rete, detti minatori, vengono premiati con un token, chiamato appunto Bitcoin.

Tale token, se non soddisfacesse le richieste e fiducia sul mercato, perderebbe presto valore, quindi il lavoro dei minatori non sarebbe ripagato, e il loro investimenti per effettuare i controlli sulla rete, finirebbero persi.

Sempre focalizzandosi su questo aspetto della fiducia da parte del mercato, e riprendendo l’esempio del ristorante, sul Bitcoin non c’è nessuna funzione che impedisca i minatori dal:

  • Mettersi d’accordo, fare cartello e bloccare tutte le transazioni, e chiedere una percentuale di riscatto agli utenti.
  • Bloccare certe transazioni, per motivi politici o altro, magari sempre richiedendo un pagamento di riscatto.

Ma nessuna di queste cose è mai successa, perché?

Bitcoin, e in generale le crittovalute, sono però tutte monete volontarie (come dovrebbe giustamente essere per tutte le monete), cioè non c’è nessun entità che costringe gli utenti ad utilizzarle.

Se gli utenti avessero il timore che qualcosa potesse funzionare male, come problemi a fare trasferimenti/conti bloccati ecc … smetterebbero subito di usarla e passerebbero ad altro.

La domanda sul mercato per tale moneta svanirebbe, e così il suo valore.

A questo si aggiunge che Bitcoin è una moneta con una quantità fissa (21 milioni, 8 decimali) e quindi, fintantoché si mantiene alta la domanda sul mercato, perché alta la fiducia sul suo “funzionare bene”, il valore di tale moneta è tendenzialmente deflattivo, cioè aumenta nel tempo (l’opposto dell’inflazione delle monete statali).

Per evitare che vengano create monete dal nulla, false, si è pensato di creare una banca dati condivisa su tutta la rete, che contenga tutte le transazioni effettuate dal primo giorno della sua creazione ad oggi.

Questa banca dati viene chiamata appunto Blockchain, perché strutturata da “blocchi” concatenati fra loro in ordine cronologico.

In questo modo, se qualcuno cercasse di creare una transazione di Bitcoin fasulli, di monete che non possiede, lo si vedrebbe immediatamente confrontandola con la Blockchain locale, dove verrebbero poi a mancare le transazioni precedenti che dimostrerebbero la loro precedente esistenza/ricezione.

Ripeto che è, quindi, in questo lavoro continuo fatto dai minatori, di controllo della Blockchain, dove si ricevono in premio i Bitcoin.

Sempre per questo motivo, quando si legge che la vera novità tecnologia è la Blockchain ma non il Bitcoin, spesso chi lo scrive non sa di cosa parla, perché creare network  p2p decentralizzati, con alla loro base una Blockchain, richiede sempre la presenza di un token come incentivo per mantenerla sicura.

Senza token, niente Blockchain sicura.

Ci sono in corso studi su eventuali metodi per avere soluzioni alternative, ma si tratta di cose ancora altamente sperimentali.

Quindi, quand’anche l’utente venga costretto ad usare una nuova moneta statale con la forza, come avviene tutt’ora, comunque ogni volta che potrà, preferirà salvaguardare i propri soldi convertendoli in un’altra.

Preferirà una moneta dove è sicuro di averne ancora il pieno controllo, e dove sa che non ci saranno sorprese sulla sua emissione (evitare quindi un’inflazione a sorpresa).

Tale moneta magari è proprio il Bitcoin.

A mio parere, questi progetti di “crittomonete” statali (che in realtà secondo me appunto non saranno tali) vengono portati avanti da politici che poco comprendono cosa siano realmente, come funzionino, e stiano giusto cercando di stare sull’onda di questo argomento.

Oppure l’idea gli è stata venduta da qualche promotore di qualche azienda di consulenza che spera di ricavarne un cospicuo guadagno, al di là che poi possa realmente funzionare sul lungo termine.

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