Videogame culture

Bloodborne PSX: quando il demake nei videogame funziona

Bloodborne PSX è un esempio di demake, un videogioco sviluppato con linguaggi visivi di decenni fa: l’esperienza di gioco, i contenuti, gli aspetti crossmediali, com’è nato il progetto, le ragioni del successo

Pubblicato il 21 Apr 2022

Daniele Ricciardi

Studente di Letteratura con la passione per la scrittura creativa, l'arte e l’intrattenimento videoludico. Autore del podcast

Federica Soriano

Studentessa di Letteratura con la passione per la scrittura creativa, l'arte e l’intrattenimento videoludico. Autore del podcast

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Bloodborne PSX è un fenomeno dell’ambiente indie videoludico che ha dimostrato come anche tecnologie oggi considerate obsolete hanno ancora molto da dire in un’era in cui sembra che la corsa al nuovo e all’avanguardia sia l’unica via possibile.

Che riguardi il mondo della letteratura, del cinema, dei videogiochi, il passato ha sempre molto da insegnarci. Ma questi insegnamenti non devono essere qualcosa di sterile, nozionistico, vuoto: anzi, anche se a primo approccio non sembra così evidente, il passato, con i suoi strumenti, modi, mezzi ed il suo enorme calderone di idee può rivelarsi spesso un fertile punto di partenza per nuove narrazioni e strade.

Dopo un anno di duro lavoro, il 9 febbraio 2022 Bloodborne PSX è diventato realtà: è possibile scaricarlo tramite itch.io, una popolare piattaforma di videogiochi indie.

Giocarlo è stato per noi un’esperienza unica, stimolante oltre che divertente, e ci ha fatto riflettere su molte cose interessanti.

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Bloodborne PSX: com’è nato il demake del videogioco

Partiamo dal principio: Bloodborne è un videogioco prodotto da From Software sotto la direzione artistica di Hidetaka Miyazaki.

È stato rilasciato nel 2015 come esclusiva Playstation, lasciando a bocca asciutta i fan dei lavori del game designer nipponico che non avevano accesso alla piattaforma Sony.

Questa esclusività è argomento da sempre discusso tra gli appassionati, che sognano da tempo una conversione PC del titolo, nella speranza che approdi su altre piattaforme sottoforma di remake.

Questo desiderio della community è stato il punto di partenza della sviluppatrice indipendente Lilith Walther nella realizzazione del proprio progetto: una versione PC di Bloodborne che, invece di sfruttare le tecnologie più recenti, vuole essere una risposta giocabile alla domanda “E se Bloodborne fosse stato rilasciato vent’anni fa?”.

Invece di creare una versione moderna del titolo di From Software, Walther ha quindi pensato di renderlo un videogioco di fine anni Novanta, epoca in cui accanto alla sigla PS di Playstation, c’era sottinteso il numero 1 e la tridimensionalità era un tripudio di sgraziati poligoni.

Lo sviluppo è stato intenso e ha suscitato sia stupore che ilarità nella stessa community, complice anche un video pubblicato lo scorso primo aprile con alcuni dei personaggi di Bloodborne che si sfidavano in gare… di gokart (altro meme partito dalla community, viste le poche speranze di giocare il loro gioco preferito su PC).

Bloodborne PSX: cronache dall’esperienza di gioco

Fin dai primi momenti di gioco, Bloodborne PSX riesce a catapultarci in uno spazio senza tempo: qualsiasi dettaglio estetico, dell’audio, dell’interfaccia richiama con forza il periodo della prima Playstation, colpendo il nervo scoperto della nostalgia dei più dei giocatori.

Eppure, pur riuscendo a reinterpretare le strade di Yharnam ed il suo gameplay frenetico ricorrendo a “rudimentali” strumenti di fine anni Novanta, Walther non si è limitata ad un omaggio a doppio taglio del titolo From e dell’epoca PSX, ma è riuscita addirittura a ritagliare uno spazio all’interno del gioco per raccontarci qualcosa di nuovo.

Infatti, all’interno delle aree ricreate (Yharnam Centrale con fogne annesse, per una durata media di completamento che varia dalle 3 alle 6 ore), sono presenti delle novità di level design che mostrano da una parte il carattere e l’originalità della sviluppatrice, rendendo più che onore alla sua fatica e al suo potenziale, dall’altra la voglia di cavalcare a tutti i costi l’onda della nostalgia.

Funziona tutto maledettamente bene: dalla visuale gestibile unicamente con i grilletti anteriori ai menu invasivi e talvolta macchinosi, alle texture ballerine e tremolanti, alle distorsioni di ogni tipo proprie di anni in cui il videogioco come medium stava ancora lentamente prendendo forma.

E c’è di più: sono stati aggiunti sia dei piccoli cut-content, tagliati nel Bloodborne originale, sia un’area completamente inedita, con tanto di boss creato da zero dalla sviluppatrice stessa.

Insomma, dal punto di vista contenutistico non ci si può lamentare per niente.

Bloodborne PSX: viaggio nel retrofuturo ludico

Ma non è sui contenuti o sulla loro indubbiamente alta qualità, aspetti più che evidenti, che abbiamo intenzione di soffermarci. Quello che ci affascina, piuttosto, è il concetto di “demake”, la scelta deliberata di realizzare un’opera attraverso un linguaggio considerato obsoleto, antico, “roba da museo”.

Bloodborne PSX non è il primo esempio di questa tendenza: di demake di videogiochi moderni negli anni se ne sono visti eccome.

Alcuni solo sottoforma di immagini e/o video, come il “Dark Souls” isometrico a 16 bit, altri completi di gameplay e link per il download, come il caso appunto di Bloodborne PSX, “Bayonetta” a 16 bits o “Skyrim” ripensato per un pc degli anni ’90.

Mai come ora, però, sono state evidenti le potenzialità di questa “semplice” e stramba operazione.

Partiamo da un presupposto molto importante: Bloodborne PSX non sarebbe mai potuto esistere nell’epoca a cui fa riferimento.

Non solo perché, pur sfruttando una grafica a basso numero di poligoni e dei comandi obsoleti, presenta una pulizia grafica irraggiungibile per una macchina come la prima Playstation.

Ma soprattutto per le meccaniche di gioco che sfrutta – quelle dei souls –, impensabili alla fine degli anni Novanta.

Stiamo quindi parlando di una sorta di opera del “retrofuturo” videoludico: è come se Martin e Doc della celebre trilogia “Ritorno al Futuro” avessero portato con sé nel loro viaggio dal futuro le idee di gameplay di “Dark Souls”.

Lilith Walther ha deliberatamente usato un linguaggio ormai caduto in disuso per esprimere concetti più che attuali.

Queste parole potranno sembrare una ripetizione, ma ci permettono di spiegare perché l’”effetto nostalgia” funziona così bene in questo demake: mentre l’impatto visivo, uditivo e l’interazione ci riportano al passato, il contenuto, il messaggio è qualcosa a modo suo nuovo, originale, appunto attuale.

Questo mix genera sensazioni contrastanti in chi ha vissuto l’epoca della prima Playstation, riportandolo nel passato, ma allo stesso tempo offrendogli un’esperienza nuova ed inedita.

Ed è qui che parte la saudade e ci sembra di essere stati catapultati a più di vent’anni fa: è una giornata del 1998, e siamo appena tornati a casa con un nuovo gioco, di cui non sappiamo nulla e non vediamo l’ora di inserirlo nella console e veder comparire il menù pixellato sullo schermo del nostro televisore a tubo catodico.

Bloodborne PSX ci fa tornare a quello spirito di ignoto, quello della “prima volta” che non si scorda mai, che l’eccesso di informazioni, la quantità di recensioni, opinioni, gruppi, notizie sembra averci strappato via.

Oltre Bloodborne PSX: i demake in film e libri

Oltre ad essere un’eccellente interpretazione di tutte queste cose – ed un’ottima entry nel curriculum della sviluppatrice, che può vantarsi di aver fatto un lavoro originale oltre che impeccabile –, Bloodborne PSX ci ha fatto riflettere sulla questione anche dal punto di vista crossmediale: esistono altre opere contemporanee che utilizzano volutamente un linguaggio arcaico? E se sì, perché? Hanno qualcosa in comune?

La risposta ovviamente è sì: nell’episodio del podcast di Arcadia Cafè dedicato a questo demake abbiamo trovato dei “corrispettivi” sia per quanto riguarda il mondo del cinema, sia quello della letteratura.

Nel primo caso ci piace citare “The Lighthouse”, horror del 2019, regia di Robert Eggers (lo stesso regista dell’acclamato “The VVitch”, del 2015) che sfrutta un rapporto visivo, un “aspect ratio” quasi quadrato (1.19:1) ed una fotografia in bianco e nero per riportarci alla fine dell’Ottocento, alle radici, alle origini del cinema stesso.

Nel caso dei libri abbiamo pensato all’opera satirica di Feudalesimo e Libertà “La Divina Commedia: quasi mille anni dopo”, in cui gli autori creano un impasto linguistico molto vicino al fiorentino del Duecento, ispirandosi direttamente alla pietra miliare dantesca, per fare satira e scottante ironia sul mondo della politica e dello spettacolo odierni.

Conclusioni

E qui torniamo da dove siamo partiti, ma con qualcosa di nuovo (cosa che succede anche giocando Bloodborne PSX!): guardare al passato, studiarlo, approfondire può essere una fonte inesauribile di nuove idee e può fornirci spunti per trovare modi paradossalmente più moderni, più attuali e soprattutto vivi per esprimere la contemporaneità.

Speriamo che il lavoro fatto da Lilith Walther per Bloodborne PSX sia d’ispirazione per altri sviluppatori e creativi, e che convinca sempre più persone che il passato non è tutto da buttare, perché… a volte ritornano.

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