L’innovazione della PA credo sia un punto fondamentale per la crescita del Paese, ma deve essere portata avanti su alcune chiare direttrici:
· la presenza di un quadro di riferimento, di una visione strategica dell’amministrazione che vogliamo costruire, in rapporto alle politiche di crescita sociale ed economica;
· la revisione profonda del modello organizzativo, che deve essere chiaramente per processi, in modo da poter definire delle responsabilità sul processo, che è trasversale alle diverse amministrazioni, e quindi tali da permettere un reale governo delle attività, fino al risultato finale, senza frammentarsi tra le diverse competenze. La tecnologia deve essere abilitante di questo modello;
· la scelta del switch-off, del passaggio totale dall’analogico al digitale.
Quest’ultimo punto, che è l’unico modo per arrivare finalmente alla totale digitalizzazione delle comunicazioni interne alla PA, e tra queste e i cittadini e le imprese, è la chiave anche per spingere il nostro Paese a sviluppi rapidi sul digitale. Certamente, il switch-off deve essere “accompagnato”, consapevoli delle difficoltà che possono derivare dal passaggio, assicurando la presenza delle condizioni infrastrutturali e di quelle culturali.
Sul fronte della banda larga sono fiduciosa: il piano che sta seguendo Infratel porterà già nel 2015 anche regioni in forte ritardo, come la Calabria, a tassi di infrastrutturazione simili alle più avanzate, come Lazio e Lombardia.
Sul fronte culturale dobbiamo agire sapendo che questa è una priorità da affrontare con interventi articolati, con il coinvolgimento di attori che già hanno in carico l’erogazione di servizi universali e hanno sedi anche capillari, come Poste, ma anche spingendo sulla formazione e lo sviluppo delle competenze della nuova classe dirigente. I dirigenti, i manager, nel settore pubblico come nel privato, devono essere coloro che portano l’innovazione nelle loro organizzazioni, i primi che ragionano per processi, nella logica dell’e-leadership, che è uno dei perni del Programma Nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali, promosso da AgID.
Un’innovazione così profonda si deve accompagnare naturalmente ad una politica industriale che riesca a focalizzare gli investimenti anche sul fronte delle imprese, valorizzando le esperienze degli ecosistemi di innovazione che si stanno sviluppando anche in Italia e che connettono start-up, acceleratori, università e ricerca, venture capitalist, imprese che vogliono innovarsi.
Forse, quando per questi interventi facciamo riferimento all’Agenda Digitale, come è anche corretto, la percezione prevalente è che stiamo trattando di un tema di nicchia. Invece queste sono politiche che riguardano l’intero sistema Italia. Il cambiamento culturale del nostro Paese passa anche da qui.