Lo “speciale” di ForumPA diffuso alla vigilia delle festività di fine anno contiene molti e significativi contributi che, da diversi punti di vista, fanno il punto sulla PA digitale e sui risultati, fino ad ora, delle politiche pubbliche nei diversi comparti.
Credo che non sfugga a nessuno che questo primo bilancio è necessariamente assai differenziato a seconda dei diversi comparti della Pubblica Amministrazione.
In taluni comparti l’introduzione in modo generalizzato di procedure pressoché interamente digitalizzate è ormai molto avanti con un visibile miglioramento in termini di efficienza, rapidità ed efficacia delle procedure stesse. Si apre, in quei settori, il tema della messa a punto di un’architettura di sistema che consenta di mettere a frutto le potenzialità di strutture interamente digitalizzate. Una “fase 2” peraltro ormai avviata e i cui effetti potranno rappresentare una crescita concreta e verificabile della qualità delle prestazioni e dei servizi.
In altri comparti il cammino appare più lento o difficoltoso (e non hanno certo giovato le lunghe fasi di stallo che negli scorsi anni hanno preceduto e seguito veri e propri cambiamenti di indirizzo), ma complessivamente la direzione di marcia appare ormai individuata e adottata. Almeno questa è la mia opinione.
In questo quadro però vi è un comparto, il comparto istruzione, che fa storia a sé. Certamente assimilabile agli altri per quanto riguarda le funzioni amministrative e organizzative (rispetto alle quali tra l’altro vi è stata una grande accelerazione nell’utilizzo di strumentazioni innovative, piattaforme ben strutturate, applicazioni flessibili), il comparto scuola rappresenta un capitolo a parte per quanto riguarda l’uso del digitale in relazione ai processi di insegnamento/apprendimento. Le cause sono molteplici, a cominciare dal peso della nostra tradizione culturale che ha strutturato la funzione educativa come prevalentemente trasmissiva e che quindi ha pensato di ricondurre l’uso del digitale (dopo una fase di rifiuto in nome della libertà e autonomia delle scelte professionali del docente) a quello di un supporto “tecnico”.
Invece di prendere atto delle implicazioni epistemologiche del digitale e di misurarsi sul rapporto fra conoscenze e competenze in un mondo in continuo cambiamento, una parte grande del dibattito pubblico ha considerato l’introduzione del digitale e dei dispositivi elettronici come supporto all’azione didattica tradizionale, quasi nuovo libro di testo, accostandosi quindi alla rete come se fosse una sorta di moderna Biblioteca di Alessandria, gigantesco deposito di saperi, da cui prelevare delle “pillole” da somministrare all’occorrenza.
Questo è oggi lo snodo principale della discussione ed è su questo che si gioca la realizzazione di quanto previsto dalla legge di riforma e l’individuazione delle priorità di oggi. La struttura stessa del Piano Nazionale Scuola Digitale adottato dal MIUR spinge con forza nella direzione, indicata nello stesso PNSD, “di un’azione culturale, che parta da un’idea rinnovata di scuola, intesa come spazio aperto per l’apprendimento e non unicamente luogo fisico, e come piattaforma che metta gli studenti nelle condizioni di sviluppare le competenze per la vita. (…) In questo paradigma, le tecnologie diventano abilitanti, quotidiane, ordinarie, al servizio dell’attività scolastica. Gli obiettivi non cambiano, sono quelli del sistema educativo: le competenze degli studenti, i loro apprendimenti, i loro risultati, e l’impatto che avranno nella società come individui, cittadini e professionisti. L’educazione nell’era digitale non deve porre al centro la tecnologia, ma i nuovi modelli di interazione didattica che la utilizzano”. Costruire questi modelli è la priorità.
È molto positivo, quindi, che questa posizione sia stata ribadita nell’Atto di Indirizzo per il 2017 che la Ministra Valeria Fedeli ha emanato all’inizio del suo mandato. Uno dei punti discriminanti nella discussione di oggi è infatti riuscire ad argomentare la necessità di introdurre le tecnologie non per “essere al passo con i tempi” ma perché in caso contrario i percorsi educativi (tutti!!) saranno destinati all’inefficacia.