I processi di controllo e comunicazione messi in atto dalla odierna società dell’informazione stanno modificando profondamente le regole fondamentali delle condizioni di vita e di lavoro, i codici di condotta degli esseri umani.
E’ il “capitalismo della sorveglianza”, retto sugli enormi profitti generati dall’estrazione di dati che riguardano la quotidianità di tutti voi: questa definizione ricorre in un crescente numero di opere, da ultima The Age of Surveillance Capitalism (2019), di Shoshana Zuboff, docente dell’Harvard University.
Ma per capire il senso di questa profonda trasformazione – e un po’ anche cominciare, con le armi della conoscenza individuale, a sviluppare gli anticorpi ai suoi aspetti più pericolosi e deteriori – , dovremo fare un piccolo viaggio. Nella storia del computing e degli effetti della sua evoluzione sull’antropologia della condizione umana.
Prima fermata, le (pre)visioni sul futuro fatte 70 anni fa da Norbert Wiener, matematico al MIT di Harvard, al New York Times fino al pensiero della suddetta Shoshana Zuboff, una delle personalità più critiche dell’info-sfera odierna.
Proveremo così a comprendere in che modo – partendo dall’informazione elaborata in forma simbolica dal PC– siamo arrivati a un modello attuale, in cui la vera ricchezza sono i dati generati da una massa enorme di persone e sfruttati da un numero limitato di aziende che vi hanno costruito sopra introiti stratosferici ed enorme potere.
(Pre)visioni sull’evoluzione futura della machine age
Tralasciamo alcuni passaggi cruciali della storia del computing nel corso degli anni ’50 e ’60 ed entriamo direttamente nel mondo realizzato in pratica presso il PARC (Palo Alto Research Center della Xeorx) alla fine degli anni ’80 da Mark Weiser e il suo team (Weiser, 1991). Essi, basandosi su studi di antropologia e filosofia (Weiser, 1993) pensano e realizzano un cambiamento di paradigma: dal desktop model, cioè informazione elaborata in forma simbolica dal PC, all’embodiment nel mondo fisico di dispositivi in grado di elaborare informazioni. E’ la nascita dell’Ubiquitous Computing.
Si tratta di un vero e proprio salto verso l’embodied virtuality, un mondo di informazioni generato dai contesti fisici in cui gli uomini vivono e operano. Com’è noto, all’Ubiquitous Computing si è poi unita l’Ubiquitous Connectivity, grazie a Internet e alla pervasività di dispositivi generatori di informazioni e comportamenti (sensori, regolatori, trasduttori, attuatori, ecc.) hanno creato un universo denominato in vari modi: Network Society (Castells, 1996), info-sfera (Hofkirchner, 2010; Floridi, 2014, Hardy, 2015), The Second Economy (Arthur, 2011).
Qualunque sia la definizione adottata, sembra legittimo sostenere che si stia concretamente realizzando lo scenario prefigurato nel 1949 da Norbert Wiener in uno scritto mai pubblicato. A Wiener, matematico al MIT di Harvard, il New York Times aveva chiesto un contributo in merito a “quale sarebbe stata l’evoluzione futura della machine age”. Dopo aver inviato una prima bozza, il direttore del NYT chiese una seconda, forse perché la prima era andata persa, ma Wiener rispose che considerava l’impresa ormai superata.
Il contributo iniziale, ritrovato pochi anni fa da uno studioso, contiene punti di grande interesse, che aiutano a comprendere l’era attuale, sorprendentemente simile a quanto scriveva 70 anni or sono l’autore di Cybernetics or Control and Comunication in the animals and the machines.
Il punto di partenza di Wiener è la rilevazione di una tendenza delle nuove computing machines a “sostituirsi a ogni cervello e giudizio umano” e non solo ad operazioni energetiche e meccaniche (Markoff, 2013). Nei brani riportati, Wiener sostanzialmente equipara dal punto di vista logico le computing machines all’Abaco, con l’unica differenza di essere molto più veloci, specialmente nel caso dell’ high-speed electronic computing machines.
Queste macchine potrebbero essere intese come qualcosa di analogo al sistema nervoso umano, ma non all’”intero organismo umano”. Una strumentazione analoga al funzionamento di quest’ultimo è ben compresa e sul punto di essere realizzata. Wiener si riferisce a ultra-rapid computing machines, collegate ad un apparato capace di leggere misure, termometri, cellule fotoelettriche, trasformando le informazioni ottenute in input digitali, raggiungendo così un completo ciclo informativo con feedback ripetuti rispetto ai flussi informativi provenienti dall’esterno.
Al di là di limiti ingegneristici ed economici, che saranno a suo avviso superati, le nuove macchine avranno un potenziale in grado di rovesciare “l’attuale base dell’industria” e quindi di produrre “an industrial revolution of unmitigated cruelty”. Wiener fornisce infine spunti di riflessione estremamente attuali: “le macchine faranno ciò che chiederemo ad esse di fare e non ciò che dovremmo chiedere”.
Il rapporto tra gli umani e i potenti agenti da essi creati dovrebbe essere posti al centro dell’attenzione, alla luce anche del fatto che macchine in grado di apprendere e di modificare il proprio comportamento in base all’esperienza comportano un certo grado di indipendenza rispetto agli umani. Da qui deriva la possibilità che “il genio fuoriuscito dalla bottiglia” non rientri volentieri in essa e quindi possa contrastare fortemente le nostre aspirazioni. In breve, “solo un’umanità capace di stupirsi sarà in grado di controllare il potenziale che stiamo aprendo per noi stessi. Possiamo essere umili e vivere bene con l’aiuto delle macchine, oppure essere arroganti e morire”.
Le riflessioni inedite dell’autore di Cybernetics or Communication and Control sembrano di particolare rilievo, perché colgono aspetti cruciali, verso cui oggi studiosi e centri di ricerca mostrano un crescente interesse, anche in relazione a feedback ripetuti e cumulativi tra crescita esponenziale della potenza computazionale e creazione di sistemi di software, cioè agenti artificiali sempre più capaci di svolgere funzioni cognitive ritenute propriamente umane: Natural Language Processing, riconoscimento facciale, processi di apprendimento bayesiano, e così via.
Per non parlare poi della diffusione delle criptovalute e dell’incremento esponenziale dei server che i Tech-Giants (Google, Aamazon, Facebook, Apple, GAFA) impiegano per raccogliere ed elaborare gli imponenti flussi di informazione generati dalla connettività globale. Solo Google ha 2,5 miliardi di server in 4 continenti (Zuboff, 2019). Non è arbitrario pensare, quindi, che l’espansione inarrestabile delle ICT e delle criptovalute stia già producendo rischi globali, se solo si pensa al consumo energetico di queste ultime, stimato pari a quelli di intere Nazioni (si veda Krause e Tolaymat, 2018 per stime relative al 2016-2017, non del tutto condivise da Carter, 2018).
Come non associare questi semplici dati ad altre considerazioni svolte da Wiener (1986: 49) circa il fatto che “il periodo moderno è l’età dello sfruttamento organizzato, conseguente e illimitato”, con il rischio di andare incontro all’esaurimento delle risorse, contro il quale non basta riporre la fiducia in salvifiche invenzioni? “Facendo dipendere dalle future invenzioni la possibilità di districarsi dalla situazione in cui ci ha portato lo sperpero delle nostre risorse, noi dimostriamo la nostra predilezione per il gioco d’azzardo e per il giocatore, sebbene in circostanze in cui nessun giocatore intelligente oserebbe rischiare” (p. 54). L’umanità è preda di falsi miti, quali la fede nel progresso: “Purtroppo la maggior parte di noi vive troppo immersa nel mondo del progresso per rendersi conto che la fiducia nel progresso appartiene solo a un periodo limitato della storia documentata” (pp. 41-42). Il fatto è che viviamo in un mondo in cui “l’invenzione nel vecchio senso della parola è stata soppiantata dall’applicazione intelligente delle leggi di natura” (p. 187), con la conseguenza di modificare i “postulati fondamentali dell’industria”.
L’Ubiquitous computing e l’Ubiquitous connectivity evidentemente costituiscono una conferma delle tendenze generali delineate da Wiener a proposito della Cibernetica, scienza del controllo e della comunicazione, a cui ha dato contributi fondamentali e pionieristici anche Ashby (1954, 1971) estendendo il campo di applicazione ai sistemi sociali e ai sistemi complessi. L’obiettivo non è quello di valutare l’importanza, indiscutibile, di Wiener e Ashby, quanto di comprendere i meccanismi in formazione, attraverso i quali si sono poi sviluppati appieno processi di controllo e comunicazione.
Il problema del controllo e l’universo fisico-cibernetico
Non vi sono dubbi che sul terreno della comunicazione la crescita enorme della potenza computazionale, la pervasività di dispositivi elaboratori di informazione e l’esplosione dei social network abbiano generato un universo informativo in continua evoluzione.
Cosa possiamo allora dire sul piano del controllo? Una serie di contributi forniscono utili spunti di riflessione. Quasi 50 anni or sono, Toffler (1970) avvertiva che negli ultimi trenta anni del XX secolo milioni di persone avrebbero dovuto fare i conti con un’”abrupt collision with the future”, che rischiava di schiacciare chi non era capace di adattarsi ai cambiamenti.
Lo “shock futuro” sarebbe stato qualcosa di paragonabile alla rivoluzione neolitica (invenzione dell’agricoltura), con la peculiarità di mettere al centro dell’attenzione due “forze gemelle”: l’accelerazione e la transitorietà, destinate a ingenerare nella popolazione non preparata agli eventi sconcerto, disorientamento, frustrazione, incapacità di affrontare razionalmente i contesti evolutivi in cui sarebbero vissuti.
Il rischio avrebbe potuto essere accresciuto dal fatto che, in un mondo caratterizzato da reti sociali, questi fattori di instabilità si sarebbero propagati rapidamente al mondo intero. Tra le cause fondamentali della dinamica prefigurata da Toffler era il progresso tecnologico, incentrato su computer, che non solo permettevano a nuove idee, incorporate nelle macchine, di generare a loro volta altre idee, ma anche e soprattutto alle nuove macchine di fare “molto più che suggerire o indurre cambiamenti in altre macchine – esse suggeriscono nuove soluzioni a problemi sociali, filosofici, anche personali” (Toffler, 1970: 28), perché “…alterano l’intero ambiente intellettuale dell’uomo”.
Nella nostra prospettiva ci stiamo avvicinando al cuore del problema del controllo, prefigurato da Wiener e Ashby. Un passo ulteriore possiamo farlo grazie ad un altro libro di Toffler (1980: 26), laddove egli indica il vero e proprio “salto quantico” nella storia dell’umanità; dopo la rivoluzione agricola, prima ondata di trasformazione della storia umana, e quella industriale, la terza è connessa all’ambiente intelligente e alla sua base, il distributed brainpower dei computer, le cui reti possono produrre e coordinare flussi informativi, rendendo così obsolete la massificazione prodotta dalla seconda ondata, che aveva al centro i mass-media, il post-lavoro e il telefono, destinati ad diventare “strumenti primitivi.
L’individualizzazione delle condizioni di vita e l’emergere delle “comunità elettroniche” creano una info-sfera comunicativa, che si aggiunge al sistema sociale vero e proprio, mentre reti di computer interagiscono tra loro. Toffler pone anche interrogativi di fondo: può un Grande Fratello controllare tutto? Sono le menti destinate all’atrofia?
E’ chiaro che siamo di fronte al problema cruciale del controllo, affrontato decisamente da Beniger (1986), il quale ripercorre la storia dell’umanità proprio alla luce del concetto di controllo, inteso come “influenza consapevole di altri agenti da parte di un agente al fine di raggiungere un determinato obiettivo (p. 7). Il tema in questione viene visto attraverso il filo conduttore delle rivoluzioni, ovvero delle brusche discontinuità –succedutesi nel corso della storia umana- nell’evoluzione della tecnologia, a sua volta definita in termini generali come “estensione intenzionale di un processo naturale, cioè dei processi di trasformazione di materia, energia e informazione, che caratterizzano tutti gli esseri viventi” (p. 9).
Le odierne tecnologie dell’informazione costituiscono allora, dopo la rivoluzione neolitica, quella commerciale delle grandi esplorazioni e quella industriale, la discontinuità nel controllo del livello fondamentale della tecnologia, ovvero l’elaborazione delle informazioni. La rivoluzione/discontinuità nell’uso della materia e dell’energia hanno prodotto esigenze e necessità tali da indurre all’innovazione sul terreno dell’information processing per rispondere a specifiche esigenze connesse ad una crisi del controllo, ovvero al problema di come influenzare e orientare i processi in determinate direzioni, nel tentativo di rispondere a necessità umane. In questa ottica Beniger utilizza il contributo di Durkheim (1984) per illustrare come il crollo delle barriere commerciali e di trasporto della società industriale abbia portato alla rottura di equilibri consolidati, all’anomia individuale e quindi alla necessità di pensare a nuovi sistemi di governo della società e di integrazione/coordinamento di funzioni a livello sovranazionale.
Esigenze teoriche ed operative di questa natura sono alla base della visione di Weber (Economia e Società, 2005, Donzelli) del controllo in termini di razionalizzazione e burocratizzazione, dove le procedure standardizzate servono proprio a ridurre processi e carichi informativi, quindi la proliferazione incontrollata di flussi. Come documenta con un’ampia analisi storica e tecnica Beniger (1986, Capp, 9-10) la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione avviene in risposta alla crisi del controllo delle società industriale di massa. Una serie di problemi, quali la crescente ampiezza, complessità e velocità dell’information processing connesso a flussi di produzione, trasporto e comunicazione, ha indotto ad innovazioni organizzative (anni ’20 e ’30 del secolo scorso) e alla ricerca di nuovi strumenti di organizzazione dinamica delle informazioni: è del 1934 la prima progettazione di un dispositivo calcolatore universale, ad opera di Zuse, studente tedesco di ingegneria (Beniger, 1986: 403).
Gli sviluppi alla fine del XX secolo e quelli dei primi due decenni del XXI mostrano come la Scienza del controllo e della comunicazione di Wiener abbia ormai creato un vero e proprio universo fisico-cibernetico: la info-sfera è così ricca, estesa e in continuo ampliamento in forza di flussi informativi a scala globale, originati da una estrema varietà di agenti e di comportamenti, mentre interazioni multi-scala e processi trasversali di influenza comunicativa producono un intreccio inestricabile tra processi reali e realtà virtuale.
Asimmetrie di ricchezza e di potere
Cerchiamo di spiegare le peculiarità dell’universo fisico-cibernetico partendo da due termini basilari: cambiano radicalmente l’antropologia e l’ontologia degli agenti.
Con il primo termine assumiamo come riferimenti le grandi trasformazioni che hanno caratterizzato l’uomo, che “non può vivere un universo puramente fisico, l’uomo vive in un universo simbolico” (Cassirer, 1944: 43). Il sistema simbolico trasforma la vita umana perché, a differenza di altri animali “l’uomo non vive puramente in una più ampia realtà; egli vive, per così dire in una nuova dimensione della realtà” (ivi).
La visione dell’uomo come animale simbolico non significa negare o sminuire il suo essere razionale, bensì semplicemente mettere in rilievo “la sua specifica differenza, così possiamo comprendere la nuova via aperta all’uomo – la via della civilizzazione” (p. 44). L’universo fisico-cibernetico odierno incide, quindi, profondamente sulle modalità con cui evolve il sistema simbolico umano, dal momento che modifica le caratteristiche basilari dei processi rappresentazione della realtà e dei comportamenti. Per inciso, un motivo ricorrente nei contributi degli autori citati è il fatto che i processi di controllo e comunicazione modificano profondamente le regole fondamentali delle condizioni di vita e di lavoro, i codici di condotta degli esseri umani.
La caratterizzazione dell’uomo come animale simbolico induce a vedere come stia cambiando l’antropologia della condizione umana in conseguenza dell’universo fisico-cibernetico. Lo facciamo con l’aiuto di Donald (1996), che vede l’evoluzione della mente umana con le lenti della struttura rappresentativa creata dal cervello nel corso della dinamica evolutiva.
Egli identifica tre transizioni fondamentali:
- la prima è costituita dal passaggio dalla mente episodica, tipica delle antropomorfe, in grado di analizzare situazioni e richiamarle alla memoria, ma non di riflettere su di esse individualmente o collettivamente (pp. 190-192), alla cultura mimica, che si fonda “sull’abilità di produrre di propria iniziativa azioni rappresentative consce, intenzionali e non linguistiche”. (p. 200). Il salto richiede una struttura rappresentativa astratta e quindi molto evolute capacità comunicative e di interazione sociale.
- La seconda transizione è contraddistinta dal passaggio alla cultura mitica, che richiede l’invenzione del linguaggio e di strutture rappresentative extra-linguistiche. In questa visione della dinamica evolutiva “il pensiero mitico può essere considerato un “sistema unitario e collettivo di metafore utili come fonti di spiegazioni e di ordine” (p. 253). L’universo simbolico e l’integrazione onoscitiva fornita dai miti sono importanti step evolutivi e comunicativi.
- La terza transizione consiste nell’enorme espansione delle capacità “visiografiche”, quindi nello sviluppo dei sistemi di immagazzinamento di simboli e della memoria, effetti congiunti dell’invenzione simbolica e dell’hardware tecnologico. Il punto di arrivo di Donald è affascinante “La mente attuale è un ibrido” (pp. 42-43). Di qui deriva la sua tesi: “Nessuna spiegazione della capacità umana di pensare, che ignori la simbiosi tra memoria biologica e memoria esterna, può essere considerata soddisfacente” (p. 414).
Questi mutamenti antropologici della mente umana devono essere tenuti presenti quando analizziamo l’universo fisico-cibernetico, soprattutto sul terreno del controllo, la cui comprensione richiede, però, anche la caratterizzazione della sua ontologia. Adottiamo qui la definizione di ontologia quale individuazione di uno spazio concettuale, rappresentativo dell’esistente, e delle entità che lo popolano, agendo al suo interno.
Lo spazio concettuale è definito in termini di controllo e comunicazione, connettività globale e computazione ubiquitaria, oltre che le attività reali generatrici di segnali e informazioni. Restano da definire le entità e le strutture interattive che lo connotano. Ci avvarremo a tale scopo di spunti tratti da lavori di Shoshana Zuboff, una delle personalità più critiche dell’info-sfera odierna, insieme a Morozov e altri, che qui non trattiamo per esigenze di brevità
Non è ovviamente possibile, entro i limiti di questo contributo, effettuare un’esposizione esauriente di numerosi concetti proposti dalla studiosa di Harvard, pertanto esporremo solo alcuni degli elementi cruciali. Il primo è che l’enorme espansione dell’info-sfera, insieme alla peculiare strutturazione delle relazioni economico-sociali al suo interno, segna una discontinuità forte rispetto al capitalismo industriale del XX secolo, basato sulla necessità di rispondere ad esigenze collettive: consumo di massa, benessere, contratto sociale inclusivo, sistemi di welfare.
Emerge infatti una nuova logica dell’accumulazione della ricchezza, meno incentrata sulla produzione di beni materiali e parossisticamente ancorata alla raccolta ed elaborazione di volumi imponenti di informazioni, aggregate mediante strumenti sempre più potenti di hardware e intelligenza artificiale.
Nello spazio collettivo globale gli umani tendono a esprimere in misura sempre più accentuata riflessioni, stati d’animo, aspirazioni, comportamenti e attitudini, ecc., rendendolo di fatto una miniera da cui estrarre dati che, elaborati in forma aggregata e complessa, determinano un effetto paradossale: una grande asimmetria di conoscenza e di potere tra chi controlla i flussi informativi e coloro che li producono a livello individuale e in forma associata (communities).
Conoscenza di pochi vs ignoranza di molti
In altri termini, l’ontologia dell’universo fisico-cibernetico individua alcuni agenti “privilegiati”, i GAFA su tutti, ma entità simili sono presenti in quasi tutte le attività economico-produttive.
Si pensi all’industria farmaceutica, ai servizi energetici, alle attività finanziarie, e così via. Per contro esiste una massa enorme di agenti più o meno autonomi, ma soprattutto “individualizzati”, che con le loro semplice esistenza e la vita quotidiana, generano la “materia prima” (raw material), cioè i dati, che sono input basilari per le attività dei primi, generando così grandi asimmetrie di conoscenza e di ricchezza.
Grazie alle informazioni “estratte” da quello che dicono e fanno i secondi, la prima tipologia di agenti –che chiamiamo “estrattori”- può ottenere enormi profitti. Essi sono di conseguenza impegnati in una sorta di “corsa all’oro” (The Economist, 2010,a,b), mentre miliardi di persone svolgono normali attività quotidiane ed esprimono proprie opinioni, giudizi, pensieri sparsi.
Si crea in tal modo un divario tra la conoscenza degli umani e quella accumulata dagli estrattori attraverso la profilazione sistematica dei navigatori dell’universo fisico-cibernetico e l’utilizzo intelligente di una specie di “microscopio” (Kuboff, 2019) in grado di individuare gratis e liberamente micro-comportamenti e segnali che, aggregati diventano fonti di introiti stratosferici.
Conoscenza di pochi versus ignoranza dei tanti che non hanno la percezione di quale tesoro di dati e informazioni essi producono, poi utilizzati dagli estrattori per personalizzare non solo l’offerta di prodotti e servizi, ma anche per suggerire, indirizzare abitudini, propensioni, stili di vita, tendenze di voto politico.
Siamo in sostanza di fronte a una “non-market form of production” (Benkler, 2006: 89), che automaticamente converte la quotidianità degli esseri umani (eveydayness di Costantinou e Kallinikos, 2014; Zuboff, 2015), il funzionamento di imprese e città, in dati comportamentali e strategie di commercializzazione individualizzate.
Tutto ciò peraltro si sviluppa su scala globale, mentre le Tech Companies divengono progressivamente hyperscale infrastructures, che Zuboff chiama The Big Other, soppiantando così definitivamente il capitalismo industriale del XX secolo. Con un’immagine suggestiva Zuboff (2015) ripresenta temi proposti da Polanyi (1974: 168-169; edizione italiana 137-138), cioè che le economie di mercato del XIX secolo dipendevano fondamentalmente dall’invenzione di prodotti finti (commodity fictioni), ottenute trasformando la vita in lavoro, la natura in proprietà immobiliare, lo scambio in moneta.
I rischi del nuovo capitalismo (ma non tutto è perduto)
Il capitalismo odierno ha generato una nuova fiction commodity: i processi reali dipendono dalla rielaborazione dei dati comportamentali. Per tale via la logica basilare del mercato viene modificata, lasciando ovviamente invariata la logica del profitto, ma che può portare al “surveillance capitalism”, basato non più sulla divisione del lavoro, bensì sulla “divisione della conoscenza” prima illustrata. Queste e altre suggestioni di Zuboff saranno discusse in modo più analitico in altra sede.
Non vorremmo però indurre il lettore ad un cupo pessimismo, del tutto estraneo al pensiero della studiosa, che anzi ipotizza una traiettoria di uscita (Zuboff, 2014), soprattutto partendo dall’assunzione che non esiste l’inevitabile e l’evoluzione della tecnologia non segue una legge di natura, ma è la conseguenza di scelte e strategie operate da esseri umani in contesti dati, come mostra la stessa analisi di Zuboff (2019) della vicenda di Google.
Nella nostra prospettiva resta la conferma di due importanti acquisizioni:
- il tema del controllo, al centro del pensiero di Beniger, dovrebbe essere al centro del lavoro degli studiosi di molte discipline.
- Riprendendo le transizioni nell’evoluzione della mente umana in termini di cambiamenti delle strutture rappresentative, pochi dubbi sussistono che nello scenario odierno sono elevati i rischi sia di modelli rappresentativi e modelli mentali indotti dagli estrattori che di una riduzione dalla multidimensionalità, evoluta peculiarità della mente umana, alla unidimensionalità, analizzata decenni or sono ha Herbert Marcuse (1969).
I rischi sono elevati, ma forse c’è un esiguo spazio per la speranza, se pensiamo che l’uomo è dotato di coscienza, la quale –secondo il neuroscienziato e premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina Gerald Edelman- “è più grande del cielo”. Nel titolo del suo libro Edelman riprende uno straordinario passo sul cervello della poetessa Emily Dickinson, per poi ispirarsi ad esso più volte nella stesura delle sue riflessioni.
Finché gli esseri umani avranno scienziati in grado di spiegare fenomeni e processi naturali ricorrendo a poeti, e viceversa, poeti capaci di rappresentare spazi concettuali delle scienze, il destino dell’umanità non è segnato.
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