L’identità digitale deve entrare definitivamente in Costituzione. Nella settimana in cui il Governo approva la legge delega sulla semplificazione PA dobbiamo ribadire questo principio.
L’articolo 2 della nostra Carta è l’alveo naturale: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
L’importanza dell’identità digitale
Il passaggio che sottolinea “ove si svolge la sua personalità” ha straordinariamente anticipato il futuro. Oggi nella nostra identità digitale c’è tutto.
E molti degli interventi delle authority deputate, in primis Agcom e Privacy, confermano la priorità della tutela della identità personale in rete (protezione dei minori, rimozione di contenuti diffamatori o lesivi, contrasto al furto di dati) e della certezza della identificazione del soggetto a mezzo di strumenti informatici (a partire dalla age verification su cui le due autorità citate hanno avviato un tavolo di lavoro congiunto).
Non è un caso se, già nel 2019, il deputato Igor Iezzi presentò un progetto di legge di un solo articolo per inserire l’identità digitale in Costituzione. Tema su cui, negli anni, a favore, si sono sprecati quintali di inchiostro (digitale).
Il tema è talmente cruciale che, il prossimo 23 maggio, in occasione del convegno promosso presso la Camera dall’Associazione Cittadinanza digitale (qui le informazioni sull’evento), si confronteranno trasversalmente realtà come DGConnect, Poste, Agid, PagoPA, Zecca dello Stato, Agenzia delle entrate, Asstel e, naturalmente, il sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti.
Oggi l’Italia è uno degli stati europei più maturo nella diffusione dell’identità digitale tra i propri cittadini e un ulteriore impulso sarà dato dalle misure attivate dal Governo all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) per la transizione digitale della pubblica amministrazione (misura 1.4.4 “Adozione identità digitale” in primis).
La legge delega sulla semplificazione
Giovedì 11 maggio, non a caso, il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge di delega al Governo per la semplificazione dei procedimenti amministrativi e misure in materia farmaceutica e sanitaria.
Tra gli elementi già emersi ai media, la legge delega rende permanenti le ricette mediche in formato elettronico (una novità lanciata nel covid) e la ricetta annuale per i pazienti cronici. Ma la portata della legge delega è più ampia.
La delega – come si legge nella nota stampa – ha l’obiettivo di migliorare la qualità e l’efficienza dell’azione amministrativa, ridurre gli oneri regolatori e gli adempimenti amministrativi gravanti su cittadini e imprese e accrescere la competitività del Paese.
Il disegno di legge rientra tra i provvedimenti funzionali al conseguimento, previsto per il 31 dicembre 2024, della Missione M1C1-60 del Piano nazionale di ripresa e resilienza, con particolare riguardo alla Riforma 1.9, relativa della pubblica amministrazione, che richiede l’attuazione della semplificazione e digitalizzazione di 200 procedure critiche, che interessano direttamente cittadini e imprese.
- Il provvedimento detta, quali criteri generali l’aggiornamento e la semplificazione dei procedimenti amministrativi attraverso la loro digitalizzazione, per renderli maggiormente aderenti alle esigenze di celerità, certezza dei tempi e trasparenza nei confronti dei cittadini e delle imprese;
- l’accorpamento dei procedimenti che si riferiscono alla medesima attività, la riduzione del numero delle fasi dei procedimenti e delle amministrazioni interessate e l’unificazione degli atti di autorizzazione e degli altri titoli abilitativi;
- l’uniformità delle modalità di presentazione delle comunicazioni, delle dichiarazioni e delle istanze degli interessati e delle modalità di svolgimento delle procedure in ambiti omogenei;
- l’unicità, la contestualità, la completezza, la chiarezza e la semplicità della disciplina relativa a ogni attività o gruppo di attività;
- la riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti e l’uniformazione dei tempi di conclusione di procedimenti tra loro analoghi o connessi;
- il monitoraggio e il controllo telematico a consuntivo del rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi;
- l’eliminazione di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l’adeguamento alla normativa dell’Unione europea; l’organizzazione delle disposizioni per settori omogenei o per specifiche attività o gruppi di attività.
La disputa tra Cie e Spid
In questa partita sarà dirimente la disputa, a volte approssimativa, tra Spid e CIE. E’ lapalissiano che l’identità digitale debba essere una e non trina, o bina, come in questo caso. Ma il dibattito e la decisione, ormai non più rimandabile, non potrà prescindere dallo status quo, da fattori contingenti (la carenza di chip, su tutti) e dalle best practices già attivate.
L’Italia del resto rappresenta un modello per l’applicazione delle normative europee (Regolamento eIDAS) che garantiscono il riconoscimento e l’identificazione elettronica da parte di qualunque cittadino comunitario all’interno di tutti gli Stati membri dell’Unione europea.
Le istituzioni nazionali stanno affrontando da protagoniste anche l’importante percorso che ci porterà verso l’European Digital Identity Wallet (EUDI), che integrerà in un’unica applicazione i documenti ufficiali, gli attributi anagrafici e tutto ciò che definisce l’identità digitale di un cittadino europeo.
Sarebbe paradossale, dunque, se un Paese che ha deciso di inserire nelle linee guida per l’educazione civica (Legge Capitanio 92/2019) l’educazione alla cittadinanza digitale, non rafforzasse queste prospettive con una certificazione costituzionale.