Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia assoluta” perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”. Dopo oltre cento missioni troviamo gli agenti della Memory Squad 11 in un savana. Ora intercettano delle memorie ancora attive in Arib, compagno di Esta. Che fuggono, dalla savana, dentro il centro antico di una metropoli.
Nello sgabuzzino delle pulizie l’uomo Arib si chinava. La donna Esta si doglieva.
Là, oltre le stecche da bigliardo, spoglie di memorie, insanguinate dal bar insanguinato, splendeva una nascita.
Gli agenti annusavano. Gli agenti segugiavano. Gli agenti cercavano il neonato. Ordini superiori. Gli agenti sapevano che non c’era nascita certa nella galassia senza almeno una memoria connessa.
“Agenti sono istruzioni precise! È sicuramente un bimbo… se ha una memoria connessa va rimossa, staccata… nessun collegamento deve funzionare fra questo pupo e i venti miliardi di abitanti della galassia!” istruiva Sama Hargo, agente analista del linguaggio e delle memorie nella Memory Squad 11.
“Nonostante il Grande Ictus Mnemonico, mi sembra che sia nato pieno di memorie… improvvise… strano, molto strano… non… non c’è stata traccia di memorie durante la gestazione… Le rilevazioni dicono che ora sono vicinissime a noi!” silenziava Sama Hargo.
“In questo bar!” Squarciò la comandante Khaspros. “Il bambino è in questo bar! Agenti intercettarlo all’istante!” Scorribandarono i bigliardi avverditi. Le panchette ibbirrate. Le tovaglie insugate. I banconi bicchierati.
Arib coglieva i comandi. Attraverso la porta di legno antico. Esta stringeva il piccolo. Uscire dallo sgabuzzino delle scope. Entrare nel vano rifiuti. Cercare il cassonetto più grande. Dei metalli. Entrare. Prima Arib. Esta gli passa il fagottino. Esta issata da Arib. Chiudere il coperchio sulle loro teste. Senza pregiudizi sui rottami rifiutati. Chi getta giudica. Emette sentenze di morte. Di fine vita. Ha il pregiudizio dell’inutilità. Mentre tutto. Torna. Utile.
“Ci siamo buttati via…” soffiava Arib. “I rifiuti ci salveranno…” calmava Esta. Siamo tutti rottami.
“In questo bar!” di nuovo sguarciava la comandante Khaspros. “Non abbiamo rilevatori diretti ma la rete di rimbalzo dice che il pacchetto di memorie è ancora qui dentro! In questo benedetto bar!” rabbiava schiumava guatava saettava. Gli agenti si avventavano sulle porte dei retri. La cucina. Il guardaroba. L’amministrazione. La direzione. I gabinetti. La sala energia. Gli sgabuzzini delle scope. Il penultimo con la porta al vano rifiuti. Rimbombavano i passi. I comandi. Gli scatti. Le rabbie. Rimbombavano le paure dentro il cassonetto dei rifiuti di metallo. I respiri di metallo. La nuova vita respirava. Piccola. Gli agenti la braccavano. Aprono i coperchi. Uno a uno. Il cassonetto dei rifiuti di metallo.
“Le memorie sono qui! Sono tutte qui agenti! Ma sono rifiuti… Noi cerchiamo quelle vive… qui è tutta roba morta o in agonia…”
Gli agenti rumorano. Gli agenti escono. La neve è un muro. La neve cancella ogni memoria. La neve ti assaggia un paradiso. Te lo assapora. Te lo immerge. Te lo ammanta. Te lo agguanta. Te lo regala. Gli agenti si sperdono.
Arib. Esta. Il neonato. Fuggono dai metalli. Scoperchiano la vita. Le impronte nella neve. Indicano la loro pretesa. Gli agenti si destano dal torpore dei fiocchi. “Impronte, comandante! Impronte! Sono in fuga!…”
Sbandano sui selciati gelati. Sbandano le volontà sommesse di Arib e Esta. Arrancano le volontà sottomesse degli agenti della Memory Squad 11. La discesa al mare. La salita nella sabbia. La scomparsa dietro la duna. La polvere sollevata del vento. Che li localizza incurante.
“Sono là!” stragolano gli agenti.
“Come fanno a correre così?”
“Pedalare agenti! Pedalare!… niente scuse!”
Arib. Esta. Il neonato. Raggiugono i prati verdissimi. All’ombra delle piramidi.
Ogni-ora-era-per-Esta un nuovo capodanno.
(103-continua)