Se l’introduzione del digitale nella pubblica amministrazione non è accompagnata da adeguati livelli di formazione del personale, l’innovazione è condannata a fermarsi a metà.
Mettere il cittadino al centro dell’azione di rinnovamento della PA viene spesso considerato un elemento strategico. E lo è senz’altro, se si considerano i risultati di alcune buone pratiche. Recuperare e mantenere un rapporto di fiducia tra il cittadino e la PA è fondamentale: è l’espressione più alta del servizio pubblico. Saper dare risposte semplici e veloci aiutando le persone a superare gli ostacoli della burocrazia è il risultato che un ente può raggiungere con una progettazione attenta. Tuttavia, nelle condizioni della PA così come la conosciamo oggi, questo non è sufficiente. Non basta mettere il cittadino in condizione di usufruire del proprio servizio con pochi click. La soddisfazione del cittadino non dovrebbe essere svincolata dalla motivazione del dipendente pubblico nei casi in cui questi rappresenti l’interfaccia necessaria per il completamento del processo. È il senso di appartenenza alla stessa amministrazione che va recuperato e rinsaldato per evitare che si vada a rafforzare un doppio divario di fiducia: da una parte quello, spesso stereotipato, tra il cittadino e la PA, e dall’altra, quello tra l’amministrazione e i suoi lavoratori.
Se manca una corretta conoscenza delle opportunità che il digitale offre, ogni innovazione sarà vista come un’ulteriore complicazione e non come un reale vantaggio. Parliamo ad esempio di competenze digitali, di vera e propria alfabetizzazione. Se mancano poche e semplici nozioni di base, è difficile che qualsiasi novità che richieda anche soltanto l’accensione del computer non sia percepita come una barriera calata dall’alto. Un digital divide che separa e che allontana. Allontana il cittadino se non ha gli strumenti giusti, allontana l’impiegato pubblico se non ha la conoscenza per saper gestire la fasi richieste dal proprio lavoro.
In una piccola esperienza personale, ho potuto percepire questa sensazione di abbandono a se stessi da parte dei lavoratori di un ufficio comunale. Messi di fronte a strumenti tecnologici senza averne i mezzi per saperli padroneggiare, non solo a livello pratico ma anche a livello di una cultura digitale che è ancora lontana. Elementi che portano inevitabilmente ad una innovazione a due velocità.
L’occasione è stata una semplice richiesta di carta di identità elettronica. La prenotazione dell’appuntamento effettuata tramite una app su smartphone, pochi e semplici passaggi, nessuna fila allo sportello e inizio della pratica in perfetto orario. Tutto ottimo. Fino alla richiesta della foto. Così come da indicazione su sito web presento una chiave usb su cui è salvata la foto. Gli occhi e la voce dell’impiegata comunale sono emblematici del terrore di non sapere come andare avanti. La sorpresa per non essere pronti ad usare un dispositivo che non è certo una novità del mercato e una serie di preoccupazioni in ordine alla sicurezza (“e se ci fosse un virus?” “qui i nostri computer si bloccano spesso e vanno sempre lentissimi…”) hanno seriamente rischiato di far interrompere la pratica.
Dopo una breve consultazione tra gli altri dipendenti comunali, tutti ugualmente privi di competenze necessarie, si interpella il responsabile che opta per accettare la penna usb. All’interno dell’ufficio nessuno sembra conoscere il funzionamento del sistema di acquisizione e l’operazione va avanti per tentativi. Guardando sul monitor riesco a dare qualche suggerimento, in fondo la procedura sembra abbastanza intuitiva ma forse solo per chi abbia un minimo di pratica con il computer.
La foto viene finalmente acquisita, ma non è a 400 dpi come richiesto dal sistema nazionale. Ho scoperto solo dopo che fosse un requisito necessario, ma non ve n’era traccia nella descrizione del servizio sul sito del Comune. A questo punto, quando ormai sembra che non ci sia speranza di completare l’operazione, trova spazio l’ingegno del dipendente che stampa la foto e la acquisisce con lo scanner ad una risoluzione sufficiente. Ovviamente la qualità della foto è peggiorata, ma per il sistema va bene e siamo tutti contenti.
L’esperienza finale dal punto di vista del cittadino tutto sommato è accettabile ed è stata apprezzabile l’ampia disponibilità dei dipendenti, ma sarebbe bastato pochissimo per concludersi con un nulla di fatto.
La constatazione amara è stata vedere persone in difficoltà, dispiaciute per quanto accaduto e ardentemente desiderose di una formazione specifica, oltre che di un ricambio generazionale. In tali condizioni è “il digitale” tout court ad essere rifiutato. Proprio perché non si conosce. Senza la consapevolezza delle reali opportunità e dei reali rischi, il processo di trasformazione si interrompe. La paura e il senso di inadeguatezza prevalgono.
Sul tema delle competenze digitali, della loro importanza, tanto si è scritto. Probabilmente molto è stato anche fatto, ma sempre in ordine sparso. Ognuno con una propria iniziativa. Sarebbe, invece, il caso di armonizzare le migliori pratiche e sfruttare quanto di buono è stato già realizzato. Perché le risorse economiche sono importanti ma lo è molto di più avere una visione sistemica che sappia ottimizzarle. Nel mondo della scuola, il PNSD probabilmente ha fornito un quadro entro il quale attivare interventi su larga scala, ma negli altri settori non c’è traccia di un simile programma. La Coalizione Nazionale per le Competenze digitali, avviata due anni fa da AgID, aveva senz’altro delle ottime intenzioni, in linea con la logica del riuso delle best practice e con l’obiettivo di creare un catalogo aperto e condiviso di esperienze, tuttavia non è riuscita a dare continuità alla sua azione e sembra aver esaurito la sua spinta.
È auspicabile dunque che, insieme alle buone intenzioni e agli obiettivi programmatici anche a livello europeo, si riesca davvero ad incidere profondamente per poter far scendere sensibilmente quel valore del 56% di popolazione italiana che non possiede ancora le competenze digitali di base così come è stato rilevato nel 2017 dall’indice DESI e che rispetto all’anno precedente è migliorato solo di un punto percentuale.
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*L’autore scrive a titolo personale