Il caso di #UberPOP spinge la politica a fare delle riflessioni serie in materia di Sharing Economy. A mio avviso si ha sharing economy quando si genera l’allocazione ottimizzata delle risorse disponibili, mediante la condivisione delle stesse nonché delle informazioni a esse pertinenti. Ciò può avvenire con o senza l’apporto di nuove tecnologie, anche se in determinati casi non se ne può fare a meno per rendere più rapidi e meno burocratici gli scambi.
Spesso si confonde la sharing economy con l’utilizzo di una tecnologia che permette di effettuare una attività in modo rapido e veloce. Altrettanto spesso si confonde la sharing economy con la diffusione di un’attività illecita, operata tramite nuove tecnologie. Ma una attività illegale tale rimane anche se svolta con strumenti innovativi. Spesso queste attività rappresentano un mercato sommerso rilevante oppure nuove opportunità di lavoro, non c’è dubbio a riguardo, ma per farle emergere occorre prima creare un tessuto normativo che le contenga, semplificare le norme e abrogare eventuali burocrazie ormai inutili e ostative, che i tempi moderni difficilmente comprendono.
Io propongo una visione che sia complementare all’economia tradizionale, che spinga la società a risparmiare risorse e materie prime, usando la condivisione dei dati e delle esperienze delle persone, mediante le facilitazioni e gli automatismi che la tecnologia può offrire.
Esistono sistemi di transizione economiche non monetarie che ben si configurano per tale economia, come ad esempio lo scambio di ore, la compensazione multilaterale di crediti e debiti e lo scambio di beni e servizi.
A breve ci saranno novità.