il rapporto USA

Censura, come funziona e quanto è estesa nel mercato digitale

Il rapporto dell’International Trade Commission Usa analizza le modalità con le quali i governi attuano pratiche censorie sui contenuti, per comprendere in che modo la censura opera nell’era digitale. I dettagli

Pubblicato il 14 Feb 2022

Marina Rita Carbone

Consulente privacy

Photo by Michael Dziedzic on Unsplash

Uno dei temi più caldi dell’ultimo decennio è quello della censura dei contenuti presenti online, e del suo bilanciamento con i diritti fondamentali come la libertà di parole e di espressione.

Sul punto, l’International Trade Commission statunitense ha elaborato un corposo rapporto che si occupa di analizzare, in particolare, le modalità con le quali i governi attuano pratiche censorie sui contenuti, per comprendere in che modo la censura opera nell’era digitale. L’analisi si concentra sui mercati chiave in 6 Paesi strategici, ossia Cina, Russia, Turchia, Vietnam, India e Indonesia; paesi, questi, che ricoprono un ruolo importanti all’interno del mercato (nel caso di specie, il mercato USA) e che hanno fatto uso di pratiche censorie a livello governativo.

Libertà d’espressione e controllo statale, quanta ambiguità dalle piattaforme

Il report dell’ITC

Come anticipato in premessa, il report stilato dall’ITC prende in considerazione le pratiche censorie attuate in molteplici paesi strategici per l’economia statunitense, realizzate da vari paesi, anche mediante la collaborazione con imprese private e aziende che operano all’interno di detti paesi.

I sei mercati chiave, previamente identificati, sono stati selezionati sulla base di due criteri generali:

  • In primo luogo, i governi di detti mercati hanno introdotto una vasta gamma di politiche e pratiche di censura, in particolare per quanto riguarda i contenuti digitali, che comportano una serie di restrizioni per le imprese che vi operano, ivi comprese le aziende statunitensi;
  • In secondo luogo, la domanda di servizi digitali e multimediali (maggiormente influenzati dalla censura) in ciascuno di questi mercati è abbastanza grande da rappresentare una significativa opportunità commerciale per le aziende statunitensi.

“La censura da parte di governi stranieri, o da parte di attori privati per volere di governi stranieri, dell’attività online – così come delle modalità più tradizionali di espressione artistica e comunicazione, come film, TV, libri, giornali e musica – sta avvenendo con crescente frequenza e intensità nei mercati di tutto il mondo”, si legge nelle premesse del report. “Poiché i servizi digitali hanno continuato a crescere di importanza nell’economia globale, diversi paesi hanno introdotto nuove politiche e pratiche che regolano la comunicazione online e il flusso di informazioni su Internet, comprese le restrizioni sui contenuti che possono essere pubblicati su piattaforme online e siti Web aziendali. Le conseguenze delle politiche e delle pratiche legate alla censura possono essere significative per le aziende statunitensi, in particolare i produttori di contenuti con sede negli Stati Uniti e le società di servizi digitali, in quanto possono limitare il commercio, impedire l’accesso al mercato, aumentare i costi operativi e i rischi reputazionali o scoraggiare gli investimenti diretti esteri”.

In tale contesto, dunque, appare di estrema rilevanza comprendere le diverse pratiche censorie, così da poterne prevenire, ove possibile, gli effetti lesivi sui mercati digitali, ed in particolare, sulle aziende che operano nei mercati dei media, digitali e non (come giornali, riviste e riviste); produttori e distributori di contenuti audiovisivi (come film e video online, televisione, libri e musica); social media e motori di ricerca su Internet; servizi informatici in genere.

La definizione di censura

Come indicato nel report, la definizione di censura non è univoca ma può assumere molteplici sfaccettature. Ai fini dell’indagine, la definizione scelta è quella di “divieto o soppressione della parola o di altre forme di comunicazione”. Sulla scorta di questa definizione, il report affronta, dunque, le politiche e le pratiche censorie poste in atto dai governi presi in esame, tramite leggi, regolamenti e altre misure che mirano ad ottenere in via diretta la soppressione della parola, o ne consentono/facilitano la soppressione.

“La censura”, così come definita dall’ITC, “può essere imposta o effettuata da una vasta gamma di attori governativi, inclusi funzionari, agenzie e partiti politici. Può anche essere effettuata da entità statali e attori privati (come fornitori di servizi Internet o società di telecomunicazioni) sotto la direzione di un governo, o per ottenere un vantaggio di mercato o evitare uno svantaggio da parte di un governo (come affrontare requisiti normativi o controlli selettivamente elevati). Le misure che abilitano la censura potrebbero non salire al livello di censura in sé e per sé, ma quando lavorano in combinazione con altre misure consentono o facilitano la censura. La censura può anche verificarsi extraterritorialmente o essere autoimposta (“autocensura”)”.

Allo stesso modo, la definizione di censura utilizzata nel rapporto copre un ampio spettro di azioni, che possono variare dalla regolamentazione, a livello normativo, del discorso ritenuto dannoso, alla soppressione illegittima del dissenso politico. Per capire se l’azione comporta una lesione dei diritti fondamentali, viene preso come quadro di riferimento il quadro normativo internazionale dei diritti umani.

Più nello specifico, l’International Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR), all’art. 19, L’articolo 19 dell’ICCPR, sancisce il diritto alla libertà di opinione e di espressione includendo, al suo interno, anche “la libertà di cercare, ricevere e impartire informazioni e idee di ogni tipo, indipendentemente dalle frontiere, sia oralmente, per iscritto o a stampa, sotto forma d’arte, o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”.

I risultati del report

Secondo le analisi condotte dai ricercatori, sia attori governativi che non governativi assumono un ruolo attivo nelle politiche e nelle pratiche relative alla censura all’interno dei mercati chiave. I governi, infatti, richiedono spesso la cooperazione da parte di soggetti non governativi, ed in particolare di società che operano nel web, alla luce della crescente rilevanza di Internet per la diffusione delle opinioni e della parola. Grazie alla cooperazione con le aziende private, i governi censurano contenuti molto differenti, tra i quali rientrano opinioni politiche, sociali e relative alla sicurezza nazionale, nonché informazioni sugli strumenti Internet che possono essere utilizzati per aggirare le politiche di censura applicate (come le VPN). “Negli ultimi anni”, si legge, “i governi di tutti i mercati chiave si sono impegnati in un filtraggio “pervasivo”, o limitando l’accesso ai contenuti di Internet, in una o più di queste categorie, secondo analisi empiriche”.

Nel dettaglio:

  • Cina, India, Indonesia e Vietnam hanno effettuate in un filtraggio pervasivo soprattutto dei contenuti politici (opposizione nei confronti del governo, notizie di critica o rapporti sui diritti umani, commenti di stampo religioso).
  • Cina, Russia e Turchia hanno effettuato un filtraggio pervasivo dei contenuti relativi ai conflitti e alla sicurezza nazionale (informazioni su conflitti con altri paesi, dispute di confine, violenza interna e movimenti separatisti).
  • Cina e Indonesia hanno effettuato un filtraggio pervasivo degli strumenti Internet per evitare il filtraggio e la sorveglianza del governo, comprese le informazioni relative alla crittografia.
  • Indonesia e Russia hanno effettuato filtraggio pervasivo dei contenuti social, anche in settori come la pornografia, il gioco d’azzardo, l’alcol, le droghe e le questioni relative ai gruppi LGBT+.

Fra i mercati presi in esame, “la Russia è stata responsabile della maggior parte delle richieste di rimozione dei contenuti inviate a Google (61%). Insieme, i mercati chiave sono stati responsabili del 75% di tutte le richieste a Google durante il 2016-20. Le principali giustificazioni per le richieste di rimozione sono state la sicurezza nazionale (41%) e la rappresentazione di beni e servizi soggetti a regolamentazione governativa, come droghe, alcol e gioco d’azzardo (21%)”.

Le censure, come già anticipato nel precedente paragrafo, avvengono principalmente mediante due categorie di misure:

  • quelle che prendono direttamente di mira il contenuto ritenuto lesivo. Online, le politiche di censura diretta mirano a impedire l’accesso a Internet, a interi siti web, o prevedono delle limitazioni di accesso ai siti;
  • quelle che possono consentire o facilitare la censura governativa. Fra queste rientrano, ad esempio, le “regole di intermediazione di Internet, la localizzazione dei dati o i requisiti di presenza locale e le restrizioni agli investimenti esteri e all’accesso al mercato”.

Al fine di identificare i contenuti lesivi online, spesso sono adottate, da parte dei governi esaminati, persino tecnologie di intelligenza artificiale.

“Le leggi recenti spesso adottano un approccio su più fronti includendo misure di censura diretta e misure potenzialmente abilitanti la censura nella stessa legge o pacchetto di leggi. Stabiliscono ampie categorie di argomenti proibiti; richiedono alle società di Internet di rimuovere i discorsi relativi a questi argomenti in tempi ristretti; richiedono l’archiviazione locale dei dati e del personale locale, e comprendono sanzioni civili e/o penali sostanziali”.

La censura, inoltre, avviene spesso al di fuori dei confini territoriali: in alcuni casi, come rilevato all’interno del report, una legge o una politica può affermare espressamente che il suo divieto sulla pubblicazione di determinati contenuti si applichi al di fuori della sua giurisdizione territoriale; in altri casi, la pressione governativa o la coercizione economica vengono utilizzate per forzare il rispetto delle regole di censura di un paese al di fuori dei suoi confini, anche quando non vi è alcun elemento sul quale poter fondare una rivendicazione di tal genere.

Censura online: il caso Rahul Gandhi/Twitter

Relativamente a quanto sinora affermato appare di particolare rilevanza, per meglio comprendere quanto affermato dall’ITC, citare quanto avvenuto recentemente in India.

Rahul Gandhi, infatti, esponente dell’opposizione in India, ha riportato al CEO di Twitter di essere vittima di una campagna messa in atto dal governo indiano per “limitare la sua influenza sulla piattaforma social”, producendo, a sostegno di quanto affermato, un’accurata analisi del suo profilo Twitter, dalla quale poteva evincersi la scarsa crescita dei followers a seguito della sospensione del profilo stesso in agosto.

Nella lettera, Gandhi affermava anche di aver interloquito con dei dipendenti di Twitter India, che avrebbero confermato l’esistenza di pressioni sul personale, da parte del governo, per “silenziare la sua voce”.

Stando a quanto riportato dal Wall Street Journal, l’effetto sarebbe stato ottenuto mediante la pratica del c.d. shadow banning, che pone delle limitazioni alla visibilità del profilo per limitarne la diffusione. Twitter, tuttavia, ha negato espressamente di aver attuato qualsiasi tecnica di questo tipo, specialmente per motivi politici o ideologici, e che le oscillazioni del profilo possono dipendere semplicemente da revisioni degli algoritmi che limitano lo spam e i bot.

Tuttavia, le politiche di censura portate avanti dal governo indiano sembrano sempre più pervasive: un rapporto sulla trasparenza pubblicato da Twitter, mostra come l’India abbia presentato il maggior numero di richieste legali di rimozione di contenuti ritenuti lesivi, dalle pagine di media e giornalisti.

All’interno di simili contesti, dunque, comprendere e studiare le politiche e le pratiche censorie rappresenta uno strumento essenziale, anche per le aziende che devono regolare gli algoritmi di filtraggio del contenuto, per comprendere ove si colloca il sottile confine tra libertà di parola e di espressione, e illegittima censura del contenuto a scopi differenti da quelli della prevenzione della diffusione di fake news o del controllo della salubrità del dialogo online.

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