La creazione di condizioni favorevoli e innovative per lo sviluppo delle competenze è un’urgenza da cui il Paese non può più prescindere.
I dati parlano chiaro (Confindustria Digitale): “Nel triennio 2018-2020 nel nostro Paese si creeranno almeno 300mila posti di lavoro solo per i professionisti digitali (esperti di IoT, cybersecurity manager, data scientist, cloud specialist, solo per citare alcuni dei più richiesti), il 50% dei quali è mediamente considerato dalle aziende di “difficile reperimento” perché l’offerta formativa non è in grado di preparare lavoratori con le competenze digitali richieste dal mercato”.
Nuove competenze per l’Intelligenza artificiale
Soprattutto bisogna pensare alle nuove competenze che occorrerà creare per competere nella corsa determinata dalla diffusione dell’intelligenza artificiale.
Basti pensare che (Affari e Finanza, 11 giugno 2018), “sotto la spinta dell’IA, nel 2025 l’economia 4.0 potrebbe valere qualcosa come 23 mila miliardi, quasi il doppio dei 13 mila stimati per il 2017”.
Per raggiungere questi risultati dobbiamo riuscire a creare nuove competenze e nuove professionalità.
L’IA, infatti, creerà una nuova domanda di professionisti (secondo uno studio pubblicato a Davos) e il livello di occupazione nelle aziende potrebbe crescere del 10% (e i fatturati del 38%), per effetto della diffusione dell’IA.
Sono cifre e scenari che non possiamo non cogliere.
Occorre evidentemente avvicinare l’offerta formativa alla domanda del mondo del lavoro creando maggiori flussi informativi sul mercato delle professioni ICT, maggiore partecipazione e coinvolgimento delle aziende, più offerte di apprendistato, più incentivi per lo sviluppo delle competenze digitali in azienda, più network collaborativi di filiera.
Meccanismi favorevoli all’innovazione di sistema
Il secondo punto che desidero affrontare è la necessità di creare meccanismi favorevoli alla innovazione di sistema.
Dobbiamo facilitare la cooperazione e l’innovazione di imprese e comparti aiutando le PMI e le nostre filiere produttive ad essere più efficienti e competitive.
L’Istat, nel suo “Rapporto sulla conoscenza”, pubblicato il 22 febbraio di quest’anno, sottolineava che solo il 19,8% delle imprese innovatrici avrebbe attivato forme di cooperazione con altri soggetti, contro circa un terzo per l’Ue.
Questo è un problema che dobbiamo riuscire a rimuovere favorendo processi di trasformazione che integrino tutte le componenti del sistema industriale, favorendo “contaminazione” tra grandi, picccole e start up.
Favorire lo sviluppo di start-up innovative sui temi dell’IA
Infine evidenzierei l’importanza di favorire lo sviluppo di start-up innovative sui temi più avanzati della IA.
L’Intelligenza artificiale, purtroppo, è ancora poco sfruttata dalle imprese italiane, anche se il 56% ha avviato progetti ad hoc, mentre a livello internazionale sono stati individuati 469 casi di utilizzo di intelligenza artificiale. In Italia le soluzioni più utilizzate sono quelle di Intelligent Data Processing (35%) e i Virtual Assistant/Chatbot (25%); i settori più avanti nell’adozione di progetti di Intelligenza Artificiale sono Banking-Finance-Insurance e Automotive, Energia, Logistica e Telco. (fonte: sito del Web Marketing Festival, Rimini, 21, 22 e 23 giugno)
Parlando di startup che sviluppano tecnologia IA, a livello internazionale sono 460 e hanno raccolto 2,2 miliardi di dollari, con un finanziamento medio in crescita nell’ultimo anno da 5,5 a 8,8 milioni di dollari.
In Italia, secondo i dati presentati al recente seminario del Clusit (Roma, 6-7 giugno 2018), la media dei finanziamenti in IA ricevuti da aziende italiane è molto più bassa, pari a 0,74 milioni di dollari a startup.
Venture capital, punto debole dell’economia italiana
Si sa, il tema Venture Capital in Italia è ahimè un punto dolente nella nostra economia; come ho evidenziato nel commento al DEF mi stupisco che in Germania vengano investiti più di 2 miliardi di euro all’anno per lo più di provenienza estera, in Francia più di 2 miliardi di euro, in Spagna 600 milioni e in Italia solo 200 milioni. Sembra la lista di Leporello nel Don Giovanni di Mozart, eppure non è divertente allo stesso modo. E questo significa che parole come start- up innovative per i precedenti Governi sono stati dei concetti tradotti in buzzwords o slogan che dir si voglia, e non in valore, a causa di politiche di incentivazione mal disegnate e spesso distorsive.
Il futuro del Paese si gioca anche sulla capacità di creare le condizioni ottimali affinché le scelte delle start-up e i flussi di investimento si incanalino sempre più su queste applicazioni innovative che rappresentano il futuro e possono inaugurare (cito ancora da Affari e Finanza) “un nuovo ciclo di crescita di nuovi modelli di business, prodotti, processi e servizi”.
L’Italia non può restare indietro, su queste nuove tecnologie. In Europa ad esempio è stato recentemente lanciato il Piano Europeo per l’Intelligenza Artificiale, una riflessione in tal senso va fatta anche per il nostro Paese.
Pur non volendo essere romantico in questa sede, non posso non affermare che il digitale mi ha accompagnato nel corso di tutta la mia vita.
Credo di essere uno dei pochi della classe 1979 (sì, l’anno che è anche il titolo della favolosa canzone degli Smashing Pumpkins) a potermi considerare un nativo digitale, o quasi…
Mio padre, ora ultra settantenne in pensione, lavorò nella Big Blue per oltre 30 anni e ricordo ancora quando il 25 dicembre del 1985, mi regalò un manuale sulla programmazione in Basic e mi disse: “dopo pranzo vieni in studio e cominciamo a programmare”.
L’estate successiva i miei genitori mi mandarono a una summer school di informatica per bambini dove produssi un semplicissimo cartone animato coi colori ammessi dallo standard grafico EGA. Ancora ne vado orgoglioso.
Nel corso della mia vita ho poi intrapreso strade diverse dall’informatica dedicandomi a una carriera più economica. Questo mi ha portato a capire come economia e digitalizzazione debbano andare di pari passo, soprattutto per la prosperità del Paese.