Durante il recente World Economic Forum 2025 è stata annunciata una partnership molto interessante, tra Microsoft e la startup svizzera inait, guidata dal neuroscienziato Henry Markram, creata con l’obiettivo di sviluppare “cervelli digitali”: sistemi di IA modellati sul funzionamento del cervello umano.
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Come funzionano i cervelli digitali di inait
Questa collaborazione unisce le competenze neuroscientifiche di inait con le risorse tecnologiche di Microsoft per costruire un nuovo paradigma di IA ispirato dalla biologia.
Alla base dell’iniziativa c’è una tecnologia innovativa che emula i processi biologici della cognizione umana anziché affidarsi soltanto ad algoritmi tradizionali: l’azienda svizzera ha sviluppato una piattaforma di “cervello digitale”, provando a semplificare potremmo definirla una simulazione software del cervello, costruita grazie a decenni di ricerche in neuroscienza.
Questo approccio utilizza un vero e proprio “linguaggio di programmazione del cervello” per creare reti neurali artificiali che funzionano in modo simile a quelle biologiche. Ciò significa che il sistema non si limita a elaborare informazioni, ma impara dalle esperienze, crea collegamenti causali e adatta le proprie strategie di apprendimento nel tempo. In altre parole, l’IA non è vincolata a regole fisse: può modificare la propria “struttura mentale” in risposta a nuovi stimoli, proprio come fanno i neuroni nel nostro cervello.
Il processo di creazione di un cervello digitale
Henry Markram ha illustrato questo processo con un esempio in cinque fasi per “costruire” un cervello digitale:
- Innanzitutto, si costruisce una simulazione con neuroni artificiali;
- quindi, ciascun neurone si modifica proprio come in un cervello in sviluppo;
- in seguito, si formano le sinapsi, ovvero le connessioni tra neuroni, e si modella il comportamento elettrochimico di ciascun tipo di neurone e di sinapsi.
- Infine, una volta creato questo circuito virtuale molto “intricato”, lo si “accende”.
A questo punto, il cervello digitale viene attivato e inizia a funzionare, potendo così affinare autonomamente le proprie connessioni e risposte.
Questa accensione permette al sistema di simulare davvero le dinamiche biologiche – come l’aggiustamento delle connessioni sinaptiche con l’esperienza, in un meccanismo che simula quanto avviene nel cervello umano – avvicinando l’IA al modo in cui la nostra materia grigia apprende e si adatta nel corso del tempo.
Differenze tra cervelli digitali e IA tradizionale
Il paradigma di inait rappresenta un cambiamento interessante, quantomeno da studiare, rispetto alle IA tradizionali basate su correlazioni di dati. Nei sistemi di machine learning classici, come le reti neurali profonde, l’IA impara principalmente identificando schemi e correlazioni statistiche in grandi quantità di dati.
Per fare un esempio, semplificando, un modello tradizionale può riconoscere immagini o prevedere trend finanziari analizzando milioni di esempi e “aggiustando” matematicamente i propri parametri. Sebbene questi modelli ottengano risultati notevoli, la loro comprensione del mondo rimane per lo più correlativa: sanno che certi pattern di pixel indicano un volto o che certi segnali anticipano un rialzo di borsa, ma non “capiscono” il nesso causale dietro questi fenomeni.
L’approccio basato sul cervello digitale, invece, mira a dotare le macchine di una forma di ragionamento più simile a quello umano, come nel Deep Research, fondato su relazioni di causa-effetto. Grazie alla struttura ispirata al cervello, questa IA può formare rappresentazioni interne del mondo e aggiornare le proprie conoscenze man mano che interagisce con l’ambiente, anziché fare affidamento esclusivo su ciò che ha visto in fase di addestramento. Questo consente di superare i limiti dell’AI convenzionale, che si basa soprattutto su enormi dataset e metodi di correlazione.
Verso un’intelligenza artificiale basata sul ragionamento causale
L’approccio di inait si potrebbe definire come un’interessante evoluzione verso un’IA basata interamente sul ragionamento, proprio per il fatto che imitare l’intelligenza biologica (la nostra) possa segnare una svolta nei metodi di sviluppo dell’intelligenza artificiale.
In pratica, un cervello digitale potrebbe estrarre regole generali e capire perché certi eventi accadono, rendendo l’IA più generalizzabile a situazioni nuove. Al contrario, un algoritmo tradizionale spesso fa fatica fuori dallo scenario per cui è stato addestrato, perché non ha una vera comprensione oltre alle correlazioni apprese.
L’idea è quella di aprire la strada a una possibile IA generale che nasca da un vera comprensione causale, invece che da training basati sui dati.
In altre parole, l’aspettativa è che un’IA ispirata al cervello possa un giorno pensare e adattarsi in autonomia, più in linea a come farebbe un essere umano rispetto al “comportamento” di software e algoritmi.
Applicazioni dei cervelli digitali nei settori finanziari e robotica industriale
Una delle prime aree in cui Microsoft e inait intendono applicare questi cervelli digitali è il settore finanziario. L’obiettivo è sviluppare algoritmi di trading e strumenti di gestione del rischio molto più adattivi di quelli attuali.
Proviamo a fare un esempio: un sistema di intelligenza artificiale ispirato al cervello potrebbe monitorare i mercati in tempo reale e apprendere continuamente dalle fluttuazioni, riconoscendo segnali deboli di cambiamento e reagendo in modo dinamico. Questo permetterebbe di adattare strategie di investimento al volo, dove i modelli tradizionali magari fallirebbero perché (spesso) tarati su schemi del passato. Inoltre, grazie a una comprensione più “umana”, tali sistemi potrebbero offrire consulenza finanziaria personalizzata, valutando il profilo di un investitore e i trend di mercato non solo con statistiche, ma anche con una sorta di intuizione artificiale sviluppata dall’esperienza.
Un altro campo chiave è quello della robotica, in particolar modo la robotica industriale. Inserire un cervello digitale all’interno di un robot significa renderlo capace di percepire e comprendere l’ambiente in cui opera, anziché seguire solo istruzioni prefissate.
Si punta a creare robot per le fabbriche dotati di abilità cognitive: il robot potrà muoversi in un ambiente complesso e dinamico (come un impianto di produzione affollato di macchinari e persone) adattando il proprio comportamento in tempo reale. Ad esempio, un braccio robotico potrebbe imparare a ottimizzare il proprio percorso di assemblaggio man mano che “osserva” la catena di montaggio, oppure un robot mobile di magazzino potrebbe trovare soluzioni nuove per navigare tra ostacoli imprevisti. Questo livello di flessibilità e adattabilità promette di aumentare drasticamente l’efficienza: macchine che si ri-programmano da sole per migliorare la produttività e che reagiscono con agilità a variazioni nella domanda o a problemi imprevisti, riducendo i tempi di fermo e gli sprechi.
Potenziali applicazioni dei cervelli digitali in altri settori industriali
Le potenziali applicazioni di un’IA con capacità cognitive non si fermano qui. Gli stessi principi potrebbero essere estesi a molti altri settori.
Potremmo pensare al campo sanitario, ad esempio, dove si immaginano sistemi diagnostici che apprendono continuamente dai nuovi dati clinici e dalla letteratura medica, offrendo decisioni terapeutiche personalizzate per ogni paziente.
Oppure nei trasporti, dove veicoli autonomi dotati di “cervello” potrebbero gestire situazioni di traffico impreviste con creatività, migliorando sicurezza e flusso stradale.
In generale, credo che ogni industria basata su dati e valutazioni complesse potrebbe trarre beneficio da un’IA che ragiona sui problemi anziché limitarsi a calcolare output. Gli esperti coinvolti nel progetto sottolineano che mantenendo il focus su processi cognitivi (e non solo su dati grezzi) si potranno ottenere progressi significativi in campi che spaziano dalla sanità ai trasporti, man mano che queste tecnologie matureranno.
Vantaggi dei cervelli digitali in termini di efficienza energetica
Oltre a nuove funzionalità, l’IA ispirata al cervello promette anche importanti vantaggi pratici. Uno dei più citati è la maggiore efficienza energetica. Il cervello umano è un organo sorprendentemente “parsimonioso”: si stima che utilizzi circa 20 watt di potenza – all’incirca l’energia consumata da una singola lampadina – per far funzionare 80-100 miliardi di neuroni interconnessi.
Con questo ridottissimo consumo, il nostro cervello compie ogni secondo un numero di operazioni (in termini di segnali neurali, integrazione di informazioni sensoriali, ecc.) che, se fossero simulate da un computer tradizionale, richiederebbero la potenza di un intero impianto idroelettrico.
Le attuali piattaforme di AI, specialmente quelle basate su deep learning con milioni di parametri, richiedono invece server farm e GPU che consumano kilowatt o addirittura megawatt di energia, evidenziando un enorme divario in termini di costo energetico.
I ricercatori ritengono che ispirarsi al cervello possa aiutare a colmare questo divario, rendendo l’AI più sostenibile.
Per questo sono in sviluppo approcci neuromorfici – hardware e algoritmi che imitano l’architettura cerebrale – in cui i neuroni artificiali si attivano solo quando necessario (tramite segnali detti spike), invece di calcolare continuamente come avviene nei circuiti classici. Sistemi del genere consumano molta meno energia e mantengono un’elevata reattività, e potrebbero essere fondamentali in applicazioni come robot autonomi, dispositivi portatili o sensori IoT, dove l’energia disponibile è limitata.
L’IA di inait, girando su cervelli digitali, potenzialmente potrebbe ereditare l’efficienza del cervello biologico, riducendo il bisogno di potenza di calcolo massiccia. In prospettiva, ciò significherebbe AI più “green”, con minori costi operativi e impatto ambientale, senza – per questo – sacrificare qualità del risultato e prestazioni.
Vantaggi dell’apprendimento continuo nei sistemi neuromorfi
Un secondo vantaggio chiave atteso da questo approccio è la capacità di apprendimento continuo. Gli esseri umani apprendono lungo tutto l’arco della vita: ogni giorno integriamo nuove conoscenze mantenendo (in buona parte) ciò che abbiamo già imparato in passato. I sistemi di IA tradizionali, invece, hanno tipicamente un ciclo di vita suddiviso in una fase di addestramento (il training) e una di utilizzo.
Una volta addestrata su un certo dataset, una rete neurale classica applica quanto “imparato” ma non aggiorna più i propri parametri, a meno di essere riaddestrata da capo con nuovi dati (operazione che sappiamo essere costosa e che spesso richiede di includere sia i vecchi che i nuovi dati). Questo significa che le IA odierne faticano ad adattarsi a cambiamenti o informazioni nuove in tempo reale.
Per essere chiari, provare ad aggiornare incrementalmente un modello tradizionale può portare al problema del catastrophic forgetting, in cui imparare concetti nuovi fa dimenticare quelli precedenti.
Un’IA con architettura ispirata al cervello promette di superare questo limite grazie a una sorta di plasticità artificiale. I cervelli digitali, per costruzione, possono formare nuove connessioni e rafforzare o indebolire quelle esistenti durante il funzionamento, analogamente a quanto avviene nel nostro cervello biologico durante l’apprendimento.
L’IA diventa auto-migliorante come gli umani
In teoria, ciò permette un continuo aggiornamento: il sistema impara in maniera incrementale senza dover ripartire da zero e senza perdere le abilità acquisite in precedenza. In altre parole, l’IA diventa auto-migliorante (self-improving, come noi umani) e capace di apprendere dall’esperienza sul campo. Questo è fondamentale, ad esempio, per un robot domestico che deve adattarsi alle abitudini di una famiglia nel corso degli anni, o per un assistente vocale che deve capire nuovi termini man mano che entrano nell’uso comune. Dove un modello statico avrebbe bisogno di un aggiornamento software programmato dagli sviluppatori, un modello a cervello digitale si aggiorna da sé, in modo più simile a un organismo vivente. Naturalmente, realizzare pienamente l’apprendimento continuo nell’IA non è banale – è uno degli obiettivi più ambiziosi nel campo – ma l’architettura brain-inspired fornisce gli strumenti per avvicinarsi a questo traguardo.
Il futuro dell’intelligenza artificiale ispirata al cervello
In definitiva, potremmo essere di fronte a un potenziale punto di svolta nell’evoluzione dell’IA, dove mondo dell’high-tech si unisce con quello della neuroscienza.
Se questa visione avrà successo, nei prossimi anni, potremmo vedere emergere una nuova generazione di sistemi intelligenti capaci di pensare e imparare in modo continuo ed efficiente, avvicinandosi sempre di più alle facoltà cognitive umane.
Gli stessi promotori la definiscono una trasformazione destinata a ridefinire ciò che l’IA può fare nel mondo reale, aprendo la strada a macchine molto più adattive, autonome e in grado di interagire con l’ambiente in maniera profondamente innovativa.
Un’IA che “imita il cervello” non sarà più solo una macchina che esegue calcoli, ma un sistema che comprende, apprende e si adatta: un passo ulteriore verso il sogno dell’intelligenza artificiale generale, guidato dalla conoscenza di come funziona il nostro cervello.