Se Internet è stata un’onda alta, ChatGPT e l’intelligenza artificiale potrebbero essere uno tsunami nel mondo del lavoro. Per capire quali lavori resisteranno all’innovazione digitale, in genere si dice che saranno quelli intellettuali, ad alto valore, legati al pensiero creativo.
Allora il mantra diventa una sorta di gramscismo 2.0: «Studiate, che (per “battere” i computer) avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza».
La formazione di alto livello, densa di conoscenza, continua, dovrebbe permettere ai lavoratori di mettersi al riparo dal rischio di essere “sostituiti” dalle macchine. Può essere. Eppure, dopo aver conosciuto ChatGPT, la convinzione vacilla. ChatGPT è un’intelligenza artificiale, tanto avanzata da obbligarci ad avere l’impressione che la macchina sia davvero intelligente. Ecco quali lavori resisteranno allo tsunami in arrivo e quali sono invece a rischio di estinzione.
ChatGPT, quello che conta nel lavoro è il risultato
Ci domandiamo se l’AI abbia coscienza o una personalità. Secondo la stragrande maggioranza degli esperti, assolutamente no. ChatGPT genera testo senza “conoscere” i concetti del testo ci trasmette. Produce sintassi senza avere idea del significato. Ma bisogna capire se ciò sia importante.
Un esperimento mentale può aiutarci l’AI di un robot militare inizia a sparare su ogni essere umano che gli capiti, senza che nessuno umano glielo abbia ordinato, scavalcando le note “leggi della robotica”. La domanda da porci è se ci interessi davvero che lo faccia con una coscienza oppure senza.
L’autonomia (il fare qualcosa al di fuori di un’istruzione precisa) non richiede necessariamente consapevolezza o intelligenza intesa in senso umano. I “filosofi primi” mi perdoneranno: circa le implicazioni dell’AI, le questioni “ontologiche” sono appassionanti, ma secondarie.
Quello che conta è il risultato: la potenza, la raffinatezza e l’elasticità dello strumento che abbiamo a disposizione, e con cui in un futuro ormai alle porte dovremo fare i conti.
Come riconoscere un testo scritto dall’IA? Le “contromisure” ci sono, ma la strada è lunga
ChatGPT: quale lavoro resisterà all’impatto dell’AI
Siamo abituati, da sempre, al fatto che le tecnologie sostituiscono soprattutto il lavoro manuale. Quello routinario. Con tanta fatica e poco valore aggiunto. L’aratro, l’aspirapolvere, il trattore, la gru, il treno, il vapore, la leva, le catene di montaggio, la ruota, la lavastoviglie, i camion.
Ma anche il personal computer, nella misura in cui permette di fare “copia e incolla” invece di battere a macchina. La storia è costellata da innovazioni tecniche che hanno sollevato l’essere umano dal fardello della fatica meccanica, operativa.
Tutto ciò ha ridotto molti lavori. I contadini, per esempio, sono pochissimi rispetto al passato, ma anche le lavandaie o i dattilografi. E ne ha creati di altri.
Soprattutto, il cambiamento era difficile da assorbire socialmente, ma era tutto sommato coerente con la nostra identità: l’uomo e la donna come esseri razionali. Aristotelicamente, dotati di logos. La corteccia frontale come parte più avanzata del nostro cervello. Quella che ci differenzia dagli animali, che ci ha fatti primeggiare nel nostro pianeta.
Il punto è che con l’IA veniamo spiazzati. Ci chiediamo se siamo abituati al fatto che le nostre macchine ci sollevino soprattutto dal lavoro fisico/operativo. Ora le nostre macchine ci solleveranno dal lavoro intellettuale, logico, simbolico.
L’automazione delle attività “tipicamente umane”
L’AI ha sicuramente dei limiti che potrebbero pesare nell’applicazione di questa nuova tecnologia. Inoltre, non è possibile prevedere esattamente quanto tempo ci vorrà per sviluppare AI in grado di sostituire, almeno parzialmente, molti lavori intellettuali. Tuttavia, è chiaro che l’innovazione sta avvenendo rapidamente e il futuro sembra indicare una crescente automazione di alcune attività che una volta erano considerate “tipicamente umane”.
Amazon ha anticipato i tempi
Alcuni segnali, per la verità, sono già ben presenti. Amazon ha segnato un precedente. Il libraio di fiducia ci aggiornava sulle novità editoriali, svolgendo un lavoro che richiede grande sensibilità culturale. Questo lavoro sulla piattaforma è svolto dall’AI che analizza tantissimi dati di navigazione e ci suggerisce i libri migliori per noi.
Un fattorino in carne e ossa, almeno per ora, ci consegna del libro a casa. Carica i pacchi, sale sul furgone, guida nel traffico, fa cinque piani di scale per consegnare il pacco, e avanti così.
Nell’era di ChatGPT, la sostituzione del lavoro intellettuale
Ancora ci sono ristrette élite di lavoratori con un alto livello professionale (ingegneri, informatici e non solo). Ma sono relativamente pochi. E gran parte del lavoro intellettuale “classico” è stato mangiato.
Oltre alle raccomandazioni di prodotto personalizzate e al marketing,
l’AI si occupa di assistenza clienti automatizzata e di controllo della qualità, per non parlare della gestione della logistica e della catena di approvvigionamento.
In piattaforme come Deliveroo o Just Eat non va molto diversamente. L’AI è centrale per dirigere i rider. Per raccogliere le ordinazioni, organizzare le comunicazioni, mentre il maggior numero degli esseri umani impegnati nell’ambito largo dell’organizzazione stanno ai fornelli a cucinare. O pedalano sotto la pioggia e sotto il sole.
Sono pochi i lavori eccellenti nelle varie Silicon Valley, tanti i lavoretti ripetitivi. Spesso fisici, faticosi (e sottopagati) nel resto del mondo.
Ma nessuno può essere sicuro che i mestieri intellettuali e “alti” siano quelli più a riparo dalla rivoluzione digitale in atto. Con lo sviluppo dell’AI la “sostituzione intellettuale” rischia di diventare una valanga.
Se mio figlio avesse l’ambizione di diventare un traduttore linguistico, non ne sarei contento. Avrei paura per il suo futuro lavorativo fra venti, dieci, ma anche fra cinque anni.
Il lavoro del traduttore è ad alto rischio
DeepL, un recente servizio di traduzione automatica basata su reti neurali profonde, è sinceramente impressionante. L’AI è un modello di linguaggio avanzato: lavorare con testi scritti è il suo pane.
Le traduzioni non sono ancora perfette. Magari non vengono colte le sfumature culturali o le metafore. Ma testi descrittivi, non troppo complessi, vengono trasposti in maniera eccellente, in decimi di secondo, a costi praticamente nulli.
Ciò può aumentare il mercato, ma può anche ridurre di molto la domanda di traduttori umani. Se finora gli umani trovavano lavoro per tradurre, in futuro potrebbero soltanto dover controllare le traduzioni automatiche. E non è proprio la stessa cosa.
Ciò che in passato richiedeva 100 specialisti, nei prossimi anni potrebbe richiederne 10 o 20. Le traduzioni simultanee o consecutive resistono, per ora. Se o quando la comprensione vocale automatica verrà perfezionata, anche quel lavoro potrebbe essere sostituito dall’AI.
È concepibile che i nostri nipoti non abbiano più la necessità di imparare lingue straniere. Potrebbe essere sufficiente attivare la traduzione automatica e ascoltarla in cuffietta, mentre si è a un convegno all’estero, in viaggio. O, addirittura, seguirla attraverso un collegamento neurale. Conoscere una lingua straniera avrà ancora il suo valore culturale e sociale, ma non sarà più necessario. Centinaia di milioni di persone potranno abbandonare il loro sgangherato “globish”.
A rischio programmatori e social media manager
L’evoluzione di ChatGPT potrebbe addirittura erodere i lavori creati dalla stessa rivoluzione informatica: i programmatori o i social media manager.
Sarebbe un esito spiazzante. La trasformazione digitale ha falcidiato operatori di banca, fotografi di stampa, impiegati della segreteria. Ma aveva creato nuove figure professionali nella costruzione dei sistemi informatici o nella comunicazione digitale.
Questi ultimi, però, potrebbero essere delle “falene della trasformazione digitale”. L’AI è sempre più capace di generare codice autonomamente, abilitando qualcosa di simile all’evoluzione dal Web statico a quello dinamico. Ma più in grande: un passaggio da un’informatica statica, passiva, eterodiretta, a una dinamica, proattiva, con ampi margini di autonomia.
Immaginiamo ChatGPT unito a un software di programmazione di siti Web, a sua volta collegato a un’AI specializzata in grafica e design (come DallE2). In chat si potrebbe chiedere all’AI di proporre un layout del proprio sito Web, e poi si potrebbero chiedere delle modiche semplicemente interloquendo.
L’AI potrebbe sottoporre all’umano cinque proposte di logo per il nuovo sito, noi potremmo sceglierne una e anche offrire dei suggerimenti migliorativi. L’AI potrebbe creare contenuti per il sito, magari in un contesto di realtà aumentata o virtuale, generando testo, immagini e video automaticamente in base alle nostre indicazioni.
L’AI presenta ancora grandi errori nella scrittura del codice, ma sta migliorando. E forse non è un caso se le grandi compagnie del digitale, da Amazon a Facebook, stanno licenziando lavoratori qualificati nei settori del marketing o del supporto tecnico. Quanto dipende da una “normalizzazione” rispetto al periodo di exploit del Covid 19, e quanto dal fatto che quei lavoratori non sono più così essenziali? Presto lo sapremo.
A rischio anche romanzieri e poeti
In futuro potrebbero essere toccati anche i “santa sanctorum” del lavoro spirituale umano: gli scrittori, i romanzieri, addirittura i poeti.
Un mio maestro ama sostenere, a ragione, che “per scrivere bene bisogna leggere molto”. E chi può leggere di più di un’AI alimentata dai big data? Un’AI può elaborare una quantità di testi che un essere umano non potrebbe consultare nemmeno in mille vite.
Potrebbe dominare, nella sua capacità di elaborazione, i testi dei più
grandi, da Shakespeare a Cervantes, da Dante a Virginia Woolf, da Dostoevskij a Dickens, da Victor Hugo a Hemingway. Perché, a un certo punto, un’AI non potrebbe scrivere un romanzo apprendendo dallo stile e dal contenuto dei grandi romanzi della storia umana. Già oggi l’AI riesce a profilare gli utenti e a personalizzare i contenuti dei post sui social network, per attività commerciali e propaganda politica.
Perché l’AI non potrebbe essere programmata per analizzare il pubblico di destinazione del romanzo, tenendo conto delle preferenze e dei gusti dei lettori, anzi del singolo lettore? Il pubblico adora il Commissario Montalbano. Purtroppo, Camilleri è scomparso. Ma ci ha lasciato migliaia di pagine, da cui un AI potrebbe dedurre le scene, il linguaggio, i personaggi, la struttura, i temi principali, variando il racconto in base ai gusti del singolo lettore. Potrebbe aggiungere più azione oppure più romanticismo, potrebbe rendere il testo in italiano oppure aumentare le battute in siciliano. Il romanzo sarebbe in linea con l’originale e, al tempo stesso, customizzato sul singolo lettore.
Potrebbe essere scritto in pochi decimi di secondi, e a costi bassissimi. L’AI potrebbe rendere disponibili milioni di romanzi con Montalbano protagonista.
Mestieri nel mirino dell’innovazione
Pare fantascienza. Ma nessuno ha la sfera di cristallo per sapere quanto siamo lontani da questo scenario. Eppure, utilizzando ChatGPT, non sembra un’altra era. Forse il salto discreto è già stato fatto, e si tratta “solo” di implementarlo.
La “sostituzione intellettuale” sarà soltanto parziale. Sarà un’erosione dei mestieri del nostro presente. Inoltre, gli umani dovranno gestire l’AI sia in entrata (dovremo essere esperti nel dare i comandi e gli spunti giusti) sia in uscita. Gli output vanno controllati, in quanto a seconda degli argomenti chiesti a ChatGPT, la base da cui l’algoritmo “pesca” i “mattoni” coi quali edifica le proprie costruzioni contiene una diversa percentuale di errori, inesattezze, addirittura discriminazioni.
Ciò non toglie che, nel mirino dell’innovazione, per la prima volta in maniera così diretta e radicale, ci sono i mestieri intellettuali.
Anche se i robot della Boston Dynamics sono sempre più evoluti, di anno in anno, ci sono attività in cui l’AI è ancora in grande difficoltà. Non riesce ad allacciarsi le scarpe. O a sistemare i prodotti negli scaffali di un supermercato. Attività fisiche, manuali, in un ambiente complesso.
Nella prospettiva umana, si tratta di attività banali. Ma il nostro è un punto di vista relativo: abbiamo, in fondo, un sistema cognitivo che si è evoluto per cercare cibo, per raccoglierlo, per spostarsi, per essere nomade.
Queste funzioni coinvolgono ampie aree del nostro cervello, mentre le facoltà razionali, in realtà, sono piuttosto “superficiali”, sono soltanto l’ultimo, sottile strato neuronale. Ecco che a noi risultano semplici compiti di movimento in un ambiente naturale: questa impressione deriva da una specializzazione evolutiva di centinaia di migliaia di anni.
È invece coerente che un’AI sganciata da un corpo, che non si deve
necessariamente spostare, operante in contesti fisici architettati ad hoc, sia specializzata su compiti di ragionamento logico, di elaborazione di dati. Il suo mondo è fatto di bit, reti e statistica.
Il punto è che la razionalità, il logos, il linguaggio, ciò che abbiamo ritenuto essere la nostra forza lo è rispetto a un altro animale, a una giraffa, un cavallo o un leone, ma forse non rispetto a un’AI.
È possibile che, in futuro, le potenzialità di calcolo artificiali riescano a espandersi talmente tanto da superare gli attuali limiti anche nei compiti manuali complessi, in un ambiente non progettato appositamente per loro (come nel caso dei robot industriali). Il settore militare potrebbe unire efficacemente AI e attività cinetiche. Intanto, è probabile che l’occupazione dei traduttori linguistici vada in crisi prima di quella degli autisti di autobus. O che i posti di lavoro degli assistenti alla clientela vengano falcidiati prima dei corrieri o dei fattorini.
Uno scenario possibile per l’impatto di ChatGPT nel lavoro
La “sostituzione intellettuale” non è un destino, ma uno scenario possibile. Potrebbe portare, come reazione, al ritorno dell’emotività e della fisicità nel modo di intendere l’identità umana.
Sarebbe quello che rimane alla nostra identità dopo la sottrazione compiuta da un’AI avanzata. I giornalisti, che negli ultimi decenni si sono appartati sempre più nelle redazioni, a organizzare davanti un computer le notizie che provengono dai social, dai cittadini, dalle loro fonti, potrebbero tornare di nuovo in strada. A camminare per le città. Ad “annusare gli umori”, dal momento in cui raccogliere informazioni sul territorio è quello che un’AI senza gambe ha più difficoltà a fare.
I medici potrebbero trovarsi costretti ad ammettere che l’AI realizzerà diagnosi (facile) o operazioni chirurgiche (più difficile) meglio di loro. Ma potrebbero avvicinarsi empaticamente al paziente. Se la “sostituzione intellettuale” diventerà uno tsunami, all’identità umana resteranno (almeno nel breve e medio termine) le emozioni, le sensazioni connesse alla nostra fisicità.
Resterebbe un’umanità libera dalla fatica del corpo, ma anche dalle costrizioni di un lavoro obbligato a istruire continuamente un’“informatica statica”. Noi dirigiamo quotidianamente, e pedissequamente, i sistemi informatici attuali, e proprio per questo ne siamo anche schiavi.
Masse di lavoratori oggigiorno sono alienate, non a causa di una catena di montaggio, ma per le migliaia di ore all’anno passate davanti a un personal computer che deve essere continuamente “imbeccato” per scrivere, elaborare, produrre.
Non è un caso se i più benestanti o i più potenti fra noi rifuggono un utilizzo di questo tipo dell’informatica, lo delegano ad altri.
Conclusioni
La “sostituzione intellettuale” potrebbe essere uno scenario apocalittico se i nuovi equilibri di potere favorissero solo alcuni, lasciando senza lavoro, o con “bullshit jobs”, molti altri.
Soltanto una dimensione del lavoro ha un significato economico e produttivo. Poi c’è un significato di senso personale, ma anche un significato di potere: il lavoro è una forma di ordine e costrizione sociale, forse la più pervasiva.
Per questo motivo, i “bullshit jobs” potrebbero sopravvivere anche se perfettamente inutili da un punto di vista dell’efficienza economica. Con uno sguardo ampio, invece, potrebbe essere l’esatto contrario di uno scenario apocalittico.
Il maggiore economista del ‘900, John Maynard Keynes, aveva sognato per i suoi nipoti la liberazione dai lavori più duri, faticosi e ripetitivi. Un secolo dopo, possiamo sognare la liberazione dallo stress mentale, dai lavori sedentari, dalla solitudine della scrittura, dalla frustrazione delle attività amministrative.
Magari queste attività le potremo fare ancora, ma solo se ci piaceranno. Un po’ come oggi: non dobbiamo per forza spaccarci la schiena nei campi e che ci iscriviamo in palestra. Se la “sostituzione” si realizzerà anche nelle attività che sentiamo più “nostre”, come quelle intellettuali, dovremo ricordarci che gli esseri umani non sono nati per servire a qualcosa, ma per essere felici.