Ai e occupazione

ChatGPT in azienda: ecco gli impatti sul mondo del lavoro

L’introduzione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro può essere una sfida significativa per i lavoratori, ma anche un’opportunità per la riqualificazione o lo sviluppo professionale. Sarà importante individuare i giusti “correttivi” per rendere efficiente il lavoro, piuttosto che battersi per lo status quo

Pubblicato il 14 Apr 2023

Luca De Menech

partner dello studio legale Dentons

Martino Ruggiero

trainee dello studio legale Dentons

chatgpt

La realtà sembrava lontana ed invece eccoci qui, l’avanzata di ChatGPT e, da ultimo, l’accelerazione dovuta all’imminente lancio di ChatGPT 4, hanno catapultato il mondo del lavoro – probabilmente in tempi più rapidi di quanto si potesse ipotizzare – di fronte al tema dell’intelligenza artificiale.

ChatGPT in azienda? Ecco i benefici e i rischi da valutare

I potenziali impatti dell’intelligenza artificiale sull’occupazione 

Se da un lato, infatti, si raggiungono importanti livelli di entusiasmo circa le potenzialità e possibilità di utilizzo della intelligenza artificiale, dall’altro lato avanza, in parallelo, la preoccupazione che la stessa possa sostituire o modificare alcune professioni, con potenziali impatti sull’occupazione.

Proviamo a fare un esempio pratico. Una delle principali aree di impatto di ChatGPT potrebbe essere il settore della traduzione, avendo lo stesso un livello di gran lunga superiore rispetto agli altri traduttori automatici facilmente consultabili in rete. Grazie alla sua capacità di comprendere e generare linguaggio naturale, infatti, ChatGPT può tradurre testi in maniera di gran lunga più accurata e veloce. Ciò significa che i traduttori umani potrebbero, ipoteticamente, nel breve termine, essere sostituiti da ChatGPT. Ma date le sue potenzialità, l’utilizzo di tale strumento può ben estendersi a settori ampi e trasversali come quello legale, contabile, gestionale, etc., ed è ragionevole ritenere che analoghi impatti possano esserci anche per ulteriori tipologie di attività.

Ad oggi, non vi sono ancora elementi tali da consentirci di comprendere con un buon grado di probabilità il possibile impatto positivo o negativo dell’intelligenza artificiale sui livelli occupazionali. Certo è che sulla base di quanto emerso da alcune ricerche, tale rischio è tutt’altro che da escludersi. Già nel 2013, i ricercatori Frey e Osborne avevano stimato che nell’arco di 20 anni, circa il 47% dell’occupazione totale negli USA sarebbe stato a rischio di sostituzione. Ed in particolare, maggiormente a rischio risulterebbero coloro che svolgono mansioni cosiddette «routinarie» che, però, riguardano i lavori che richiedono una specializzazione media (Marcolin et al., 2016, 23).

Quanto all’Italia, secondo i dati raccolti dall’OECD – Organization for Economics Cooperation and Development, pur essendo uno tra i Paesi con le economie più sviluppate del mondo, presenta un numero superiore alla media di lavoratori con mansioni fortemente routinarie, a fronte di investimenti tra i più bassi per i progetti di riqualificazione professionale. Ciò comporta il probabile rischio per il nostro paese di un impatto significativo dello sviluppo dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro.

E forse proprio alla luce di tale preoccupazione si pone la bozza di Direttiva sulle piattaforme digitali in corso di analisi presso il Parlamento Europeo (sin dal 2020 e con una previsione di pubblicazione ed efficacia a partire dal 2024), meglio nota come Digital Services Act (DSA) in cui sarebbe in fase di inserimento la previsione circa l’obbligatoria presenza dell’operatore nello svolgimento dell’attività lavorativa che richieda l’uso di piattaforme digitali (Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo a un mercato unico dei servizi digitali e che modifica la direttiva 2000/31/CE).

I potenziali impatti dell’intelligenza artificiale sulle mansioni dei dipendenti

Se non è facile ad oggi stimare gli impatti dell’intelligenza artificiale sull’occupazione, è forse più agevole capire che la stessa avrà impatti sulla attività lavorativa quotidiana dei dipendenti delle società che intendessero farne uso.

In termini di contenuto delle mansioni, ad esempio, per alcuni dipendenti potrebbero subire una rilevante modifica. Difatti, il focus dell’attività richiesta loro potrebbe spostarsi dal “fare” un prodotto o un servizio al “verificare” un prodotto o un servizio creato dall’intelligenza artificiale; o, ancora, potrebbe essere loro richiesto di concentrarsi altresì sul “migliorare”, attraverso l’inserimento di input, le capacità e quindi i futuri prodotti del software di intelligenza artificiale. Il tutto, peraltro, probabilmente con un impegno da parte loro, ancor maggiore rispetto a quello richiesto oggi, circa la riservatezza e confidenzialità dei dati sensibili e dei dati strategici aziendali per evitare che gli stessi, ove indebitamente inseriti nel software, potrebbero poi, in caso di assenza di ambienti digitali protetti, essere visibili anche a terzi.

Di fronte ad un potenziale impatto di tale tipo, non è poi escluso che ciò possa far sorgere rivendicazioni da parte di lavoratori coinvolti in termini di possibili richieste o rivendicazioni di demansionamenti (ove l’attività venga sostanzialmente sottratta in favore del software) o, al contrario, di qualifica superiore (ove, ad esempio, venga assegnato al dipendente la verifica di lavori/prodotti generati dal software di contenuto superiore rispetto a quello generalmente gestito o l’assegnazione di ulteriori attività a fronte di una riduzione di tempo, grazie all’utilizzo del software, nella gestione di quelle attuali). Esistono tuttavia già oggi potenziali strumenti per gestire o meglio ancora prevenire tali eventuali rischi come, ad esempio, il ricorso agli accordi prossimità previsti dall’art. 8 del Decreto-legge n. 138/2011 con i quali è possibile declinare inquadramenti contrattuali, anche in deroga a quelli previsti dal CCNL, per renderli maggiormente consoni alle mansioni modificate o impattate dalla intelligenza artificiale; o ancora, l’avvio di corsi di formazione o riqualificazione professionale volti rispettivamente ad insegnare al lavoratore mansioni diverse (reskilling) o colmare il gap di competenze e skills del lavoratore per la mansione dal medesimo svolta (upskilling) In tal senso, il processo di riqualificazione può richiedere ingenti investimenti in termini di tempo e risorse, tuttavia, in un’ottica di lungo termine, è in grado di offrire numerosi vantaggi, tanto ai lavoratori quanto alle imprese. Ad esempio, la riqualificazione in positivo, accompagnata da apposite attività di formazione e di upskilling può consentire ai lavoratori di acquisire competenze più specializzate e di alto livello, che potrebbero portare a migliori opportunità di carriera, nonché al riconoscimento di una maggiore retribuzione. Allo stesso tempo, le imprese possono beneficiare di una forza lavoro altamente qualificata e motivata, che potrebbe migliorare l’efficienza e la produttività e soprattutto, essere in grado di gestire e sfruttare al meglio le potenzialità fornite dalla intelligenza artificiale.

I potenziali impatti dell’IA sul sistema di valutazione dei lavoratori

Una probabile modifica delle mansioni potrebbe altresì comportare la necessità del datore di lavoro di modificare e allineare anche gli strumenti di valutazione delle performance dei lavoratori.

Ad esempio, i KPI di bonus e altre forme di retribuzione variabile potrebbero dover essere focalizzati su parametri e fattori differenti rispetto a quelli oggi utilizzati. Di fatti, le valutazioni potrebbero dover essere parametrate su maggiori quantitativi e volumi di prodotti/attività/servizi realizzati, grazie al fatto che l’ausilio del software potrebbe accelerare la gestione di tale attività e l’intero processo produttivo; o ancora, potrebbero dover tenere conto della qualità e puntualità delle verifiche circa la correttezza del prodotto/attività/servizio generati dal software; o ancora, potrebbero dover considerare anche la valutazione dell’operato in merito all’inserimento degli input per il miglioramento in futuro del prodotto/attività/servizio del software; e non da ultimo, valutazioni circa la regolare partecipazione e frequenza ad eventuali corsi di reskilling e upskilling.

Alcuni (primi) suggerimenti giuslavoristici in merito all’utilizzo di tale strumento

Ove la Società decidesse di far uso dell’intelligenza artificiale, alla luce della normativa attuale, potrebbe essere utile innanzitutto qualificare tale strumento come “strumento di lavoro” ai sensi dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, anche al fine di escludere con certezza lo stesso dal campo di applicazione degli strumenti di videosorveglianza, per i quali è possibile l’utilizzo solo a fronte di determinati requisiti.

Inoltre, potrebbe essere certamente suggeribile predisporre apposite policies per disciplinare l’utilizzo di tale strumento e le relative modalità di controllo al fine sia di definire regole chiare per l’utilizzo e la gestione da parte dei dipendenti dello stesso sia per poter agire disciplinarmente nei confronti dei dipendenti stessi ove gli stessi non si attenessero a tali policies.

Conclusioni

In definitiva, l’introduzione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro può rappresentare una sfida significativa per i lavoratori, ma anche un’opportunità per la riqualificazione o lo sviluppo professionale degli stessi. Con la formazione adeguata e un approccio incentrato sulle persone, l’intelligenza artificiale può rappresentare un passo in avanti nella creazione di un futuro del lavoro più efficiente, produttivo e soddisfacente sia per l’impresa stessa che per i lavoratori. Ogni giorno diventa sempre più evidente come, puntando ad una situazione nella quale tutti gli attori del mondo del lavoro giovano della tecnologia, l’intelligenza artificiale ed il lavoro umano devono trovare equilibrio ed armonia, cooperando insieme per il miglioramento della produttività e della qualità del lavoro stesso e, perché no, per un miglioramento altresì della qualità di vita e del wellness dei lavoratori stessi, il tutto peraltro nell’ottica della strada avviata dai principi ESG.

Sarà quindi importante focalizzarsi sull’individuare i giusti “correttivi” al fine di rendere efficiente il lavoro con l’ausilio di tale strumento, piuttosto che cercare di mantenere lo status quo, lottando contro un’innovazione che pare inevitabile e, per di più, potente e imminente.

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