Che aria che twitta

Attraverso i tweet si possono predire o causare eventi. Ci lavorano, tra gli altri, il Laboratorio di Ricerca sulla Comunicazione Avanzata di Urbino (Larica) e l’AviresLaB dell’Università di Udine

Pubblicato il 12 Giu 2015

Da tempo twitter, attraverso l’analisi dei big data, quantitativi e qualitativi (web sentiment) è diventato uno strumento predittivo del successo di candidati, serie televisivi, brand ed eventi.

Esempi di queste applicazioni sono, in Italia, l’algoritmo di Datalytics, le ricerche del Laboratorio di Ricerca sulla Comunicazione Avanzata di Urbino (Larica) e quelle dell’AviresLaB dell’Università di Udine.

Esistono inoltre diverse fonti che raccolgono pacchetti di tweet, ad esempio come tweetreach.com che li mette in vendita, oppure altri, come Fabio Giglietto, un ricercatore di Larica, che mette, gratuitamente, a disposizione della comunità dataset di tweet anonimizzati.

Non è un caso che “Twitter lancerà una timeline dedicata ai commenti dei programmi TV” (www.ninjamarketing.it/2015/03/20/twitter-lancera-una-timeline-programmi-tv/): questo potrebbe permettere di avere un canale dedicato a questa tipologia di flussi di big data, addirittura nella comparazione tra una serie e l’altra.

Così Twitter diventa una grande finestra sul mondo, su quali sono gli umori condivisi su un dato argomento, ma anche sulle notizie del mondo: l’85 % dei topic dei tweet sono titoli di notizie o notizie (Hong 2012), questo dato rende Twitter una delle applicazione web 2.0 più frequentemente usate per la condivisione di notizie. Questa particolarità fa sì che la stessa natura del mezzo sia messa in discussione e paragonato di più ad un canale broadcast (uno a molti) piuttosto che un semplice social network, tant’è che l’80 per cento delle relazioni sono unidirezionali e solamente il 20 % sono reciproche.

La portata dell’informazione (a una via) rispetto alla comunicazione (a due vie) è un aspetto che ricade anche sulla semplice fruizione della piattaforma di Twitter che avrebbe più visitatori che utenti: nei 32 paesi delle persone intervistate da GlobalWebIndex’s i visitatori sono 157 milioni in più degli utenti.

Esiste però anche un contro altare: i tweet, riproducono, prevedono oppure causano la realtà?

Partendo dalla seguenti considerazione, due ricercatrici italiane, Manuela Farinosi (Università di Udine) e Alessandra Micalizzi (IULM), hanno monitorato 1500 tweet per studiare la comunicazione online sulla decadenza da senatore a vita di Berlusconi (in un loro saggio in imminente uscita): la partecipazione sociale è una forma di azione collettiva «che si attua attraverso il coinvolgimento diretto delle persone che vi aderiscono, dove per azione si può intendere anche quella comunicativa […] Nel caso del suo concretizzarsi nel web sociale, “partecipazione” si traduce in primo luogo in “condivisione”, intendendo con essa il processo distributivo operato da […] una community di persone che decidono in completa autonomia di aumentare la circolazione di un contenuto grazie alle opportunità di condivisione rese possibili dalle nuove piattaforme tecnologiche».

E molto spesso, questa partecipazione-condivisione si accompagna a conseguenze concrete nel mondo reale.

Come per due casi che abbiamo analizzato assieme ai colleghi Mario Ianniello e Paolo Fedele dell’Università di Udine e discuteremo a Bledcom 2015, il ventiduesimo simposio Internazionale delle relazioni pubbliche che si svolge ogni anno nei primi di luglio a Bled (Slovenia).

Siamo partiti dalle stesse considerazioni riportate in un precedente articolo per agenda “E-democracy. Attivismo online: limiti e potenzialità di una speranza digitale” (Bernardinis, Strizzolo) e abbiamo applicato il modello di rappresentazione dei movimenti online contro governi di Sandoval-Almazan e Gil-Garcia (2014), ai casi di movimenti spontanei contro Barilla e Moncler.

Il modello si basa sull’identificazione di 4 fasi: 1. Evento scatenante; 2. Risposta dei media; 3. Organizzazione virale; 4. Risposta fisica.

L’evento scatenante, nel primo caso, ha riguardato le risposte in una serrata intervista radio del presidente della Barilla, Guido Barilla, nelle quali aveva dichiarato che, pur rispettando diritti e scelte dei gay, non avrebbe utilizzato per la comunicazione della pasta scene con famiglie gay; nel secondo, il trigger event è stato l’inchiesta di report sulla produzione estera di Moncler.

In entrambi i casi abbiamo analizzato, qualitativamente, dal tweet “0” (zero; il primo twitter sull’evento scatenante) di 10 in 10, per un massimo di 100 tweet al giorno, la comunicazione fino ad un secondo o terzo evento concreto dopo quello scatenante: in entrambi i casi la crisi non è durata più di 3-4 giorni, nelle quali di fatto, abbiamo riscontrato un andamento ciclico non dissimile da quello dei movimenti contro i governi e organizzazioni monetarie internazionali, ridimensionato però nei tempi, nelle conseguenze pratiche, nel coinvolgimento e nel fatto che la risposta è stata un’azione dell’azienda, non manifestazioni collettive negli spazi fisici da parte degli attivisti: di fatto l’azione che questi volevano produrre, era un non azione, il non acquisto, di un prodotto, rappresentato in maniera evidente dall’hashtag #boicottabarilla.

Da parte di Barilla, non quotata in borsa, abbiamo considerato come risposta i video di scuse (in inglese e in italiano) da parte del Presidente, nel quale con visibile sofferenza dichiara il suo errore, e abbiamo ritenuto opportuno anche sottolineare la successiva costituzione di un comitato per la diversità e l’inclusione guidata da un consulente gay noto e apprezzato opinionista a livello internazionale.

Nel caso di Moncler, che ha invece subito un picco negativo nelle borse italiane, la risposta che abbiamo considerato è stata l’annuncio della decisione di tutelarsi nelle sedi opportune per stabilire che non v’è alcun legame con le immagini forti riportate da report.

Oltre alla applicabilità dello stesso modello (seppur in scala ridotta) è emerso anche, così come per i governi e le organizzazioni internazionali, sotto attacco dai movimenti, in un certo momento c’è stata una crisi della loro legittimità, anche i brand sotto attacco hanno sofferto una crisi di reputazione, correlata alla comunicazione nel social media preso in considerazione ed empiricamente, nel caso di Moncler, è stato evidenziato come la reputazione, in questo caso media reputation (tradizionale e web reputation) abbia un legame stretto, causale, immediato con il valore del marchio.

Strizzolo N., Ianniello M., Fedele P. (2015), “Online Activism vs Corporations: New Enemies, Old Challenges”, 22nd International Public Relations Research Symposium
BLEDCOM 2015 – July 3 – 4, 2015

Farinosi M., Micalizzi A. (2015), “#Decadenza su twitter: un caso di naming e shaming online” «Sociologia della comunicazione», 48, 2015,

Sandoval-Almazan R., Gil-Garcia J.R., “Towards cyberactivism 2.0? Understanding the use of social media and other information technologies for political activism and social movements”. «Government Information Quarterly», V. 31, 2014, pp 365–378

Bernardinis V., Strizzolo n. (2015) “E-democracy. Attivismo online: limiti e potenzialità di una speranza digitale”, www.agendadigitale.eu/smart-cities-communities/1294_attivismo-online-limiti-e-potenzialita-di-una-speranza-digitale.htm

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