La notizia che prima Fedez e poi Gigi D’Alessio, nello spazio di una manciata di settimane, abbiano annunciato l’intenzione di lasciare SIAE e di passare con la piccola – se confrontata alla mastodontica società italiana autori ed editori – Soundreef ha acceso un dibattito, mai così vivace, sul futuro del diritto d’autore e, in particolare, dell’intermediazione dei diritti d’autore nel nostro Paese.
Si tratta – a prescindere dal merito delle idee di ciascuno – di un fatto positivo e da salutare con favore perché, per decenni il tema è rimasto appannaggio esclusivo degli addetti ai lavori ed al riparo da ogni anelito di cambiamento benché il mondo della musica, quello del cinema e di tutte le altre opere dell’ingegno abbia formato oggetto di un’autentica trasformazione di portata epocale.
Vale dunque la pena – a prescindere dalla specifica vicenda che oggi vede contrapposto Davide [Soundreef] contro Golia [SIAE] – cogliere l’occasione per una riflessione sul futuro della circolazione dei diritti d’autore nel nostro Paese e, naturalmente, nel resto d’Europa.
Il punto di partenza di questa riflessione deve, probabilmente, essere una constatazione ovvia eppure spesso dimenticata: le nuove tecnologie – che, per inciso, non sono ormai più neppure tanto nuove – abilitano forme nuove e diverse di distribuzione dei contenuti creativi in digitale e dei relativi diritti.
Autori ed editori, tanto per cominciare, oggi possono far da soli nella distribuzione dei propri contenuti e diritti in tante direzioni diverse attraverso le ormai celeberrime licenze creative commons ma, anche, semplicemente disponendo dei loro diritti attraverso piattaforme di distribuzione nuove e tecnologicamente evolute alle quali possono interfacciarsi senza bisogno di alcun intermediario.
Si è, dunque, aperto uno spazio importante per restituire all’autore ed all’editore la centralità che meritano in relazione allo sfruttamento commerciale delle proprie opere.
E’ un’opportunità che va colta, supportata e promossa.
E’ ovvio, peraltro, che residuano – e, probabilmente, residueranno ancora a lungo – una serie di ambiti di mercato nei quali, al contrario, autori ed editori è bene che arrivino avvalendosi dei servizi di un intermediario specializzato capace di promuovere e tutelare i loro diritti in modo più efficace e proficuo.
Ma anche in questo caso le nuove tecnologie possono fare la differenza perché oggi abilitano a tracciare le utilizzazioni delle opere bit per bit e, di conseguenza, consentono di dare poi a ciascun titolare dei diritti ciò che merita sul serio: a Gigi [D’Alessio] ciò che è di Gigi [D’Alessio], a Fedez ciò che è di Fedez e così via.
Sistemi di monitoraggio e riconoscimento digitale delle opere diffuse online e trasmesse dai grandi broadcaster e scatole nere da installarsi nelle grandi discoteche e locali da ballo, costituiscono, nel 2016, tecnologie ormai solide, diffuse ed utilizzabili che consentirebbero di bandire, per sempre – o, almeno di relegare ad ipotesi eccezionali – pratiche, pure così tanto diffuse, di riparto forfettario e/o statistico dei diritti d’autore per effetto delle quali non è affatto detto che ogni titolare dei diritti abbia effettivamente ciò che gli compete.
E non sembra un caso, d’altra parte, se sia Gigi D’Alessio che Fedez, ciascuno a modo suo, nel lasciare SIAE abbiano individuato proprio nella scarsa trasparenza del meccanismo di riparto dei diritti d’autore una delle principali ragioni della scelta.
La ripartizione analitica attraverso strumenti digitali dei diritti d’autore dovrebbe, dunque, essere uno dei perni portanti della rivoluzione delle regole del mercato.
E si tratterebbe di un perno, facendo leva sul quale, si aprirebbero sconfinate praterie soprattutto per quelli tra i più giovani ed emergenti che meriterebbero di emergere ma che, al contrario, per farcela si ritrovano costretti a sperare di sfondare, un giorno, quasi per caso, capitando in un talent show televisivo che gli garantisca più la fama che l’apprezzamento della loro musica.
Disintermediazione, riparto analitico per via digitale e, naturalmente – ed è d’altra parte la ragione centrale nel dibattito di questi giorni – libera concorrenza tra i soggetti che si candidano a promuovere, tutelare ed intermediare i diritti degli autori e degli editori.
Autori ed editori devono poter scegliere – e l’ormai famosa Direttiva Barnier lo dice senza esitazioni – a chi affidarsi per l’intermediazione dei propri diritti d’autore e devono poter tornare, in ogni momento, sui loro passi, rivedere la scelta, ripensarci, modularla in maniera diversa.
Le facoltà e libertà che le nuove tecnologie abilitano ad esercitare devono, tutte, essere effettive.
E, in un contesto di questo genere è fondamentale che le società di intermediazione dei diritti – pubbliche e private, costituite da autori ed editori o, piuttosto, da investitori finanziari – possano farsi concorrenza tra loro per conquistarsi il maggior numero di “clienti”, curando nel modo più efficace ed economico possibile i loro diritti ed interessi.
Qualcuna lavorerà meglio e resterà sul mercato magari persino in una posizione di monopolio assoluto o relativo ad un determinato segmento e qualcuna non ce la farà e sarà costretta a gettare la spugna come, peraltro, da decenni accade in tutta Europa.
Ogni preconcetto, sul punto, è egualmente sbagliato.
E’ sbagliato ritenere che il monopolio sia il male assoluto come è sbagliato pensare che la liberalizzazione del mercato dell’intermediazione dei diritti sia la panacea di tutte le piccole e grandi inefficienze che oggi si registrano nel mondo dei diritti d’autore.
E’ una questione di regole e, soprattutto, di rispetto delle regole.
Ciò che è davvero auspicabile – o almeno sembra esserlo – è un mercato libero nel quale, tuttavia, lo Stato sia arbitro severo e capace di garantire, anche e soprattutto attraverso il ricorso alle nuove tecnologie, dinamiche di circolazione dei diritti trasparenti, efficaci ed economiche.
Ma nella pratica, cosa significa? Cosa dovrebbe accadere, ad esempio, nel nostro Paese?
Ci sarebbe bisogno di un soggetto pubblico che raccogliesse e pubblicasse, dotandosi di apposite tecnologie, una sorta di anagrafe generale dei diritti d’autore, completa dei riferimenti ai soggetti che ogni titolare dei diritti ha, eventualmente, scelto per la loro intermediazione, di un link alle condizioni di licenza ed ad una piattaforma attraverso la quale gli utilizzatori possano garantirsi, on line, i diritti di cui hanno bisogno.
Niente più carta, niente più ricerche spasmodiche e defatiganti dei titolari dei diritti, niente più denari, raccolti in giro per bar, locali da ballo e saloni da feste matrimoniali, calcolati utilizzando calcolatrici o pallottolieri.
E, poi, naturalmente un soggetto pubblico – auspicabilmente lo stesso – che, magari attraverso apposite convenzioni con la Guardia di Finanza e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, faccia vigilanza sul territorio, online e nell’etere delle trasmissioni dei broadcaster, reprimendo le violazioni dei diritti d’autore in maniera ferma, ragionevole ed equa.
Un altro diritto d’autore o, almeno, un altro mercato dell’intermediazione dei diritti d’autore sembra per davvero possibile nel segno della libertà di concorrenza ma, soprattutto, della tecnologia e della restituzione a Cesare di ciò che è di Cesare: autori ed editori di nuovo al centro, padroni incontrastati di diritti che sono loro perché a loro appartengono – ed è giusto appartengano – le opere che hanno creato e pubblicato.
NOTA DI TRASPARENZA: assisto professionalmente la Soundreef e, nonostante ogni sforzo di obiettività, è corretto che i lettori ne siano informati.