Istruzione

Chi sciopera contro la Buona Scuola ha dimenticato la riforma Gelmini

Sicuramente la “Buona Scuola” non è la migliore delle riforme possibili e non è neppure il meglio che questo Governo poteva fare. Ma è una riforma “sostenibile” e concreta che riavvia e può far uscire dall’autoreferenzialità la scuola in Italia. Anche grazie agli investimenti in innovazione tecnologica e formazione. Mentre i grossi tagli- ricordiamolo- li ha fatti il Centro-Destra

Pubblicato il 18 Mag 2015

Paolo Ferri

Professore Ordinario di Tecnologie della formazione, Università degli Studi Milano-Bicocca

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L’Italia è un paese davvero strano: la polemica sulla “Buona scuola” di Renzi, dopo lo sciopero generale, è al “calor bianco”. Unanimi insegnanti, personale ATA e sindacati arrivano a minacciare addirittura il blocco degli scrutini e degli esami. Strano davvero, 2 miliardi di euro di investimenti l’anno, 100.000 assunzioni subito e forse altrettante nei prossimi anni per Concorso, investimenti nella formazione e nell’innovazione tecnologica… e sono tutti contrari: uno sciopero generale! Gli insegnanti che scioperano e i sindacati hanno davvero la memoria corta. I governi del centro-destra hanno operato tagli per almeno 9 miliardi di euro tra il 2008 e il 2011. Si trattava della Contro-riforma Moratti-Gelmini, non della “Buona scuola” …. e se poi il governo del Cavaliere non fosse caduto i tagli complessivi avrebbero raggiunto l’astronomica cifra di 21 miliardi di euro. L’indagine OCSE Education at Glace 2014 certifica questi dati. Ad esempio, come dimostra il grafico qui sotto, nel 2011, la spesa per studente nella scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado era inferiore del 4% rispetto al 1995 e ha registrato una netta diminuzione tra il 2008 e il 2011 (-12%). Gli anni appunto dei tagli dovuti al Ministro Maria Stella Gelmini (anche di Letizia Moratti) nel corso del suo funesto periodo di permanenza al MIUR.

Ocse, Education at Glance, 2014 (Nota paese Italia) www.oecd.org/edu/Italy-EAG2014-Country-Note-Italian.pdf

Analizzando più in dettaglio il rapporto dell’OCSE si comprende poi come l’Italia mostra ancora uno dei profili più piatti nella spesa dedicata al percorso di studi di uno studente. La spesa per studente della scuola secondaria di primo grado è inferiore del 7% rispetto alla media dell’OCSE, la spesa pro capite per gli studenti della secondaria di secondo grado, la differenza è anche maggiore, inferiore del 28% rispetto all’OCSE. Tra i trentaquattro Paesi esaminati con dati disponibili, l’Italia è il solo paese che registra una diminuzione della spesa pubblica per le istituzioni scolastiche tra il 2000 e il 2011, ed è il Paese con la riduzione più marcata (5%) del volume degli investimenti pubblici tra il 2000 e il 2011. Le risorse dello stato investite nelle istituzioni scolastiche e nelle università erano inferiori del 3% nel 2011 rispetto al 2000. Comparativamente, durante lo stesso periodo, la spesa pubblica media dell’OCSE destinata al sistema d’istruzione è aumentata ben del 38%. Come ha ben notato Walter Moro: “Insomma i dati OCSE /PISA stanno ancora a dimostrare che abbiamo un sistema di istruzione e di formazione classista, diviso tra il nord, il sud e le isole, tra ricchi e poveri. La sfida del nostro sistema di istruzione è quella di diventare (a centocinquanta anni dall’unità di Italia) un fattore capace di unificare culturalmente e civicamente il nostro paese attorno ai valori di cittadinanza indicati nella costituzione”.

Ora di tutto questo insegnanti in sciopero e sindacati non paiono accorgersi e quando va in votazione una Riforma che ricomincia a investire, dopo quindici, sulla scuola ecco che si levano gli scudi: “dittatura dei dirigenti”, “scuola autocratica”, “Giannini come Gelmini”. L’Italia è proprio un paese “anomalo” il Disegno di Legge sulla “Buona scuola”, avvia un percorso di finanziamenti, progetti, e – cosa non banale – assunzioni a tempo indeterminato. Soprattutto rimette al centro dell’agenda politica italiana e del dibattito pubblico il tema della formazione e della ricerca. Non si ricordano i sindacati e gli insegnanti che scioperano di quel Ministro dell’economia che sosteneva “con la cultura non si mangia … ” il suo nome era Giulio Tremonti, non Pier Carlo Padoan. Io stesso ho più volte messo in rilievo anche su queste pagine le “timidezze” e i problemi di scarsa copertura finanziaria della Buona Scuola (Ferri, P., La scuola digitale di Mattero Renzi è un libro dei sogni) Ma ora le poste di bilancio ci sono, anche se un po’ magre, e la “Buona scuola” non è più solo un libro dei sogni … . Sicuramente poteva essere migliore, gli investimenti, soprattutto per l’innovazione digitale, potevano essere più alti. Ho già analizzato in questa sede pro e contro del Disegno di legge non ancora emendato (a questo articolo rimando per un’analisi più puntuale dell’articolato, Ferri, P. La buona scuola è davvero buona. Pro e contro la riforma Renzi. Tuttavia non mi sembra davvero che assumere 100.000 precari, dare più autonomia ai dirigenti e alle scuole nel loro complesso, puntare sul merito, sulla sburocratizzazione e sulla didattica digitale e laboratoriale sia cosà così conservatore e retrivo. Allo stesso modo mi sembra che nella “Buona scuola” venga dato molto rilevo alla formazione e all’aggiornamento professionale degli insegnanti, all’alternanza scuola lavoro e a ridare fiato all’edilizia scolastica … tutti obiettivi condivisibili. Rispetto al passato, poi, c’è anche un cambio di passo radicale e una rinnovata consapevolezza del ruolo centrale che la formazione riveste nelle nostre contemporanee “società informazionali”. Un ragionamento politico molto importante che restituisce alla scuola e alla ricerca in Italia il loro ruolo strategico: sociale, economico e “civile”.

E’ una riforma che prova a ridare dignità a un’istituzione per anni colpevolmente e scelleratamente umiliata e offesa dai governi del centro-destra. E’ ben presente, infatti, nel “testo” l’idea tutto il sistema paese non riuscirà a ripartire davvero senza un sistema scolastico efficiente, senza insegnati e studenti competenti e preparati all’innovazione. Perché perciò accanirsi contro la “Buona scuola”? Perché tanto livore contro una riforma che va, tra mille difficoltà, nella giusta direzione? Non si possono certo imputare al Governo Renzi le incurie e le politiche sbagliate del centro-destra e non si può nemmeno rinchiudersi corporativamente nella difesa di un passato indifendibile.

Gli insegnanti che scioperano e il sindacato devono comprendere che meritocrazia e valutazione sono sinonimi di equità non di “elitismo”. L’alternativa è mantenere lo status quo dell’oggi. Siamo davvero convinti che sia utile e gratificante mantenere la nostra “scalcinata” scuola post-Gelmini. E’ la meno “inclusiva” d’Europa, quella con il maggior divario negli apprendimenti tra gli studenti più avvantaggiati e quelli meno avvantaggiati, quella con il solo il 9% delle classi connesse, quella con un divario insostenibile tra regioni ricche e regioni povere, quella dei soffitti che cadono… . E’ questo che vogliono i fautori dell’opposizione al disegno di legge? E’ questa la scuola che vogliono per i loro figli? Se fosse così chi sciopera e i sindacati hanno davvero la memoria corta. Mi permetto di ricordare loro, come hanno giustamente segnalato Anna Ascani e Francesca Puglisi, che si sta levando contro la “Buona scuola” lo stesso muro che in passato: “Si era alzato – sono parole di Puglisi – nelle scuole contro un’altra riforma, quella di Luigi Berlinguer, una riforma a lungo rimpianta, il cui blocco aprì la strada nella scuola alla Moratti e ai tagli di Tremonti, chiudendo il dibattito sulle vere necessità formative dei ragazzi”. Sicuramente la “Buona Scuola” non è la migliore delle riforme possibili e non è neppure il meglio che questo governo poteva fare. Ma è una riforma “sostenibile” e concreta che riavvia può far uscire dall’autoreferenzialità la scuola in Italia… . Do you remember Letizia e Maria Stella?

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