Si è appena conclusa l’edizione 2015 del Forum PA nella quale si è discusso di trasparenza, di competenze, d’innovazione nella Pubblica Amministrazione evidenziando esempi di buone pratiche, ma anche mettendo in luce quanto le innovazioni in corso non abbiamo ancora la forza per fare sistema e trasformare davvero i processi organizzativi e la relazione con i cittadini. Contemporaneamente alla riforma della Pubblica Amministrazione si discute ora in Parlamento anche la riforma della Scuola. Le due norme non sono indipendenti, le scuole sono pubbliche amministrazioni autonome e gli aspetti rilevanti del disegno di legge sulla scuola non possono che essere in linea con quanto si prospetta per tutta la Pubblica Amministrazione. Ciò anche, non secondariamente, per le questioni riguardanti la trasformazione digitale e l’innovazione. Anzi, a ben considerare, è evidente che è proprio tramite un cambiamento profondo della Scuola che si può avere l’opportunità di avviare in modo stabile un cambiamento, che prima ancora che di strutture e di organizzazione, deve essere un profondo cambiamento culturale e di affermazione di un rinnovato sistema di valori nel Paese. Con questa prospettiva, intervengo sul dibattito in corso con alcune considerazioni relative a quegli aspetti del disegno di legge sulla scuola che riguardano l’innovazione didattica, organizzativa, tecnologica connesse alla trasformazione digitale.
Va detto, purtroppo, che il provvedimento nel suo iter ha subito profonde modificazioni, che ne hanno diminuita l’incisività e aumentato l’ambiguità di alcuni aspetti, sacrificando la chiarezza e l’efficacia dell’azione conseguente. La finalità dichiarata in apertura del provvedimento è l’innalzamento dei livelli d’istruzione e di competenza degli studenti, attraverso la piena attuazione dell’autonomia scolastica. Tra gli obiettivi prioritari è correttamente indicato in modo esplicito lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, insieme al potenziamento delle metodologie laboratoriali nelle classi. Andando avanti nella lettura ricerchiamo, quindi, mezzi e strumenti attraverso i quali il risultato è perseguito.
La prima novità è l’introduzione di un Piano dell’Offerta Formativa triennale e non più annuale, tale quindi da consentire una pianificazione di più ampio respiro finalizzata a obiettivi più ambiziosi. Tale Piano, tuttavia, rischia di essere depotenziato dal meccanismo previsto per la sua definizione che, affidato alla responsabilità del dirigente nella stesura iniziale del disegno di legge governativo, sarebbe ora approvato al termine di un iter procedurale tortuoso, chiamando in campo organi collegiali che risalgono agli anni ’70 e che si rinuncia a ridefinire, pur essendo evidente quanto siano ormai inadeguati a supportare l’autonomia. La versione originale prevedeva l’autonomia statutaria delle istituzioni scolastiche e la separazione chiara tra potere di indirizzo, potere di gestione e potere tecnico-professionale, di cui nella versione attuale non c’è più traccia. Sarà dunque impegno arduo per i dirigenti il raggiungimento di obiettivi irrinunciabili di innovazione, dei quali dovranno poi rispondere.
All’innovazione digitale a alla didattica laboratoriale si dedica un apposito articolo, nel quale le competenze digitali sono individuate come fondamentali e l’uso delle tecnologie come strategico per lo sviluppo di tutte le competenze in generale. Si prevede, per questo, un piano nazionale di investimenti nella formazione di tutto il personale e anche di adozione di strumenti organizzativi e tecnologici. Il nostro sistema ha già conosciuto piani nazionali per la scuola digitale, che hanno fallito gli obiettivi. C’è da augurarsi che stavolta gli investimenti siano adeguati, ma soprattutto che sia correttamente impostato il rapporto tra le responsabilità centrali e quelle delle singole istituzioni scolastiche nel realizzare il piano. Ancora una volta è strategico definire bene la governance dei processi, per garantirne l’efficacia. Sarebbe inutile, si è già dimostrato fallimentare nei fatti, un piano di azione gestito centralmente: va invece lasciato definire secondo le esigenze dei territori e gestire a livello di scuole o di reti di scuole, sulla base di indirizzi assegnati in modo uniforme, e va accompagnato da un monitoraggio sull’efficacia e da una valutazione dei risultati.
Un aspetto di impatto davvero rilevante è quello definito nell’articolo relativo agli open data: la costruzione di un portale unico dei dati della scuola, che raccolga e metta a disposizione in modo aperto i dati del sistema d’istruzione, garantendone l’accesso e la riusabilità. Si tratterebbe di un’operazione di trasparenza e partecipazione di enorme portata, che investirebbe tutti i livelli del sistema: sarebbe tracciabile e disponibile ogni dato relativo alla gestione delle risorse finanziarie e strumentali, l’anagrafe edilizia, i piani dell’offerta formativa, il curriculum degli studenti, il curriculum e le competenze del personale, i dati relativi al Sistema Nazionale di Valutazione, i dati dell’Osservatorio tecnologico, i materiali autoprodotti dalle scuole, i dati utili a valutare l’avanzamento didattico, tecnologico e d’innovazione del sistema scolastico. L’implementazione di tale portale può avviare in maniera sistemica un processo progressivo di reale dematerializzazione e di trasparenza che, se condotto con determinazione, può contribuire da un lato alla semplificazione dei processi decisionali, organizzativi e gestionali, dall’altro a favorire una cultura della trasparenza e della valutazione che difficilmente può passare solo attraverso iniziative, sia pure qualificate, di astratta formazione.