il commento

Circolare smart working 2022 per la PA: cosa sbaglia Brunetta

Ancora radicata la concezione del lavoro agile pubblico quasi come misura di welfare, invece che come conseguenza – a ben vedere non più rinviabile – delle nuove modalità di produzione ed organizzazione del lavoro. Ciò che serve è invece una vera transizione digitale della pubblica amministrazione

Pubblicato il 06 Gen 2022

Luigi Oliveri

Dirigente presso Veneto Lavoro

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La circolare interpretativa di Renato Brunetta, ministro della PA, sul lavoro agile nella pubblica amministrazione del 5 gennaio 2022 evidenzia un errore di prospettiva e di approccio nell’organizzazione dei servizi.

Perché è sbagliata la circolare Brunetta sullo smart working pubblico

Infatti, ancora una volta, il Governo o comunque il decisore, affronta il tema del lavoro agile come problema dell’organizzazione interna dell’amministrazione e nell’amministrazione, ma non pensa, come invece si dovrebbe, all’impatto esterno, al risultato nei confronti della popolazione amministrata.

La dichiarazione del ministro Brunetta al termine del Consiglio dei ministri (5 gennaio 2021)

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“Con il presente documento si intendono sensibilizzare le amministrazioni pubbliche ed i datori di lavoro privati ad utilizzare appieno tutti gli strumenti di flessibilità che le relative
discipline di settore già consentono”.

Si resta, insomma, prigionieri del retropensiero secondo il quale il lavoro agile in fondo sarebbe una sorta di “privilegio” per il dipendente, esentato dal compiere percorsi, talvolta lunghi, trafficati ed estenuanti, di andata-ritorno tra casa e sede di lavoro. Non è un caso che ancora sia radicata la concezione del lavoro agile quasi come misura di welfare, invece che come conseguenza – a ben vedere non più rinviabile – delle nuove modalità di produzione ed organizzazione del lavoro.

Chi scrive lo ha già evidenziato in più sedi: le esperienze di banche, assicurazioni, commercio (dei colossi, ma anche del dettaglio), servizi telefonici, servizi turistici, viaggi, servizi finanziari, e altro ancora, insegnano che i mezzi a disposizione, big data, reti, piattaforme ed applicativi on line, pc, tablet e smartphone, insegnano che l’erogazione di prodotti e servizi è sempre più remotizzata.

Non c’è dubbio alcuno che l’erogazione dei servizi on line (che si estende anche a piattaforme per l’incontro domanda offerta di professionisti e tecnici) costituisca innanzitutto un beneficio per i clienti. Un tempo, trovare un professionista era un problema; si andava di pagine gialle, di suggerimenti di amici, di approcci telefonici, talora defatiganti e ricevere un preventivo era complesso e richiedeva i tempi dell’approccio “analogico”. Oggi, senza doversi recare fisicamente in luoghi di vendita o sottoscrizione di contratti, utilizzando l’operatività delle piattaforme, il cliente ordina e stipula contratti, senza doversi muovere, consumare carburanti, cercare posteggi, impiegare tempo che può dedicare ad altre attività personali.

E’ evidente che questa attenzione alla clientela è indiretto frutto di una riorganizzazione del lavoro finalizzata, con pieno diritto, alla massimizzazione dell’efficienza produttiva e dei profitti. In ogni caso, comunque, l’utilità organizzativa delle imprese si riverbera anche su benefici di natura logistica per i clienti.

Questa attenzione al risultato nei confronti del destinatario dell’azione amministrativa pare continuare a mancare nell’apparato decisionale pubblico.

Regole astruse per lo smart working PA

La disciplina del lavoro agile appare un modo di guardarsi l’ombelico. Vengono fissate regole astruse, come la “rotazione con prevalenza del lavoro in presenza”, che con la “flessibilità” non hanno nulla a che vedere e richiedono, quindi, interpretazioni “late”, come quella della circolare. Il Governo è dovuto ricorrere ad una sorta di acrobazia interpretativa, qualificata come “intelligenza”, per trasformare l’ovvia rotazione tra dipendenti in lavoro agile, in rotazione di ciascun dipendente con se stesso in turni tra lavoro agile e lavoro in sede.

Il tutto, sempre con l’attenzione solipsistica alla prevalenza della presenza in servizio, leggibile in una prospettiva temporale anche annuale.

E’ evidente la mancata contestualizzazione della circolare sullo smart working, che flessibilizza ben poco la normativa introdotta nell’autunno 2021, con la situazione di emergenza epidemiologica.

Il Governo ha guardato solo il lato della produzione interna all’amministrazione, concentrandosi sulla questione della rotazione e della possibilità di introdurre lo smart working anche sostanzialmente al 100% dei dipendenti per periodi temporali limitati, se la situazione lo richieda.

Si è trascurata la reale utilità dello smart working, che invece andrebbe considerata sempre e comunque, a prescindere da contingenti emergenze, cioè il beneficio per i cittadini.

Non sarebbe dovuto sfuggire che con l’introduzione, parallela alla circolare, del decreto delle nuove misure di prevenzione, si impone ad ogni cittadino l’ingresso negli uffici a condizione di possedere il green pass base. Lo scopo, ovviamente, è indurre quanti più cittadini possibile a vaccinarsi.

Tuttavia, per un verso uno zoccolo duro di persone che non intendono vaccinarsi sarà ineliminabile; per altro verso, ritardi nelle prenotazioni dei vaccini, problemi nella trasmissione del green pass aggiornato (nel Lazio se ne continuano a verificare, come postumi dell’attacco hacker dell’estate 2021), contagi e quarantene, possono creare le condizioni perché una parte ampia della popolazione non possa materialmente “andare allo sportello”.

E’ da ricordare che il primo smart working emergenziale venne introdotto in fretta e furia come conseguenza del lock down del marzo 2020: non potendo più nessuna persona di fatto muoversi da casa, non aveva simmetricamente senso tenere “gli sportelli aperti”. Quello smart working, che nessuno più intende e spera avere, d’emergenza vera fu una risposta quasi naturale e conseguenziale al lock down.

Ora, il nuovo decreto crea una sorta di obbligo vaccinale di fatto per gli over 50 e, comunque, un obbligo vaccinale attenuato per ogni altra categoria di persona.

In una simile situazione, che rischia di restare così caratterizzata per mesi, il lavoro agile della PA non sarebbe da valutare sollo nell’ottica del presunto “privilegio” dei dipendenti, ma come strumento per assicurare servizi anche da remoto a persone che si trovino impossibilitate dalle nuove regole e da condizioni di salute a fruire dei servizi medesimi in modo “analogico” e “in presenza”.

Ciò che serve è la transizione digitale PA

Piuttosto che insistere su regole oggettivamente poco sensate, come la prevalenza o non prevalenza del tempo di lavoro in smart working, il Governo dovrebbe incidere davvero una buona volta e per sempre sull’attuazione della transizione digitale, imponendo sul serio alle amministrazioni di attuare, tutto, il codice dell’amministrazione digitale.

Non è da stigmatizzare che un comune intenda decidere di mettere in lavoro agile i dipendenti dell’anagrafe; è, al contrario, da deprecare che ancora oggi non sia di fatto possibile ottenere la carta di identità da remoto, attribuendo validità giuridica al riconoscimento a distanza su piattaforme di video conferenza. E’ semplicemente assurdo che ancora vi siano ostacoli al rogito dei contratti da remoto e che la firma digitale resti riservata, in troppe amministrazioni, a pochissime figure.

Il lavoro agile, ma meglio dire il lavoro da remoto, implica la riorganizzazione dei processi in chiave digitale, la loro produzione non agganciata necessariamente ad una sede fissa e la loro resa a sua volta in rete e on line. Parlare di rotazione, prevalenza dei giorni dei dipendenti in sede e di condizioni-capestro, come il DM 8.10.2021, non porta da nessuna parte.

Occorrerebbe introdurre controlli serissimi ed impietosi sullo stato della digitalizzazione degli enti, accompagnati da commissariamenti e sanzioni pesantissime tanto nei confronti dei dirigenti inadempienti, quanto degli organi politici recalcitranti alla destinazione delle necessarie risorse.

In questo modo, risulterebbe naturale gestire quante più procedure possibili on line e da remoto, per il beneficio dei cittadini. Il lavoro agile sarebbe solo una conseguenza accessoria e non un’alchimia di rotazioni e tetti alle giornate in lavoro agile alternate a quelle in presenza.

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