Pur col rischio di essere tacciati di eccesso di esterofilia, vale la pena dare una ripassata al decalogo dei principi ispiratori che il Governo britannico, già nel 2012, ha stilato per l’elaborazione di ogni prodotto digitale. Una serie di principi basic ma non per questo scontati che pongono innanzitutto al centro le reali esigenze degli utenti; indicano chiaramente la necessità di progettare sulla base di dati e non di supposizioni; di lavorare duro per semplificare e – soprattutto – sottolineano di “fare meno”, rendendo riutilizzabile e condivisibile ciò che funziona e concentrandosi sul ‘nucleo irriducibile’ delle cose.
Inclusione, coerenza, contesto e interazione sono gli altri capisaldi del decalogo britannico da cui trarre ispirazione e non tanto per ‘scopiazzare’ quanto fatto da altri, quanto per traslare anche nel processo di digitalizzazione della nostra Pubblica amministrazione concetti tanto semplici quanto fondamentali per rendere i servizi offerti ai cittadini veramente ‘human-centered’.
Do less, dice il Governo britannico, concentriamoci su ciò che sappiamo fare e per il resto linkiamo al lavoro di chi ha fatto meglio. Semplice? Potrebbe sembrare. Ma non è questo il principio che sembra ispirare il fin qui alquanto travagliato percorso di ammodernamento, semplificazione e trasparenza dell’italica Pubblica Amministrazione.
Una PA che non sembra riesca a mettere il cittadino/utente al centro del suo operato, soprattutto quando si guarda all’usabilità dei suoi siti, i quali vengono spesso concepiti e realizzati senza tener conto di chi saranno i fruitori (gli utenti di una biblioteca, i cittadini di un piccolo comune o di una grande città), degli strumenti che andranno a utilizzare (smartphone soprattutto) o le loro competenze digitali (ver punto debole degli italiani).
Con la conseguenza che l’offerta online della PA è troppo spesso caratterizzata dall’autoreferenzialità invece che essere plasmata sulle reali esigenze degli utenti, è ridondante senza essere esaustiva, crea confusione più che risolvere. Non alleggerisce e non innova, come evidenzia qui il docente Gianluigi Cogo dell’Università di Venezia.
Eccesso è il termine che, in alcuni casi, ben si adatta anche al processo normativo: anche quando l’obiettivo è quello di semplificare, di rendere quella Pubblica una casa di vetro il risultato sembra piuttosto creare opacità per la troppa abbondanza. È il caso del FOIA, il Freedom of Information Act.
Il D.Lgs. 97/2016 o Dlgs Trasparenza, con molta enfasi era stato annunciato come la legge che avrebbe finalmente sancito il sacrosanto diritto di accesso “di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridiche rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni”. Il FOIA, però sembra aver tradito le promesse iniziali, intervenendo “in modo poco attento su una disciplina che già costituiva…un riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” e favorendo di fatto “…una situazione di maggiore incertezza e confusione in molte PA, soprattutto in quelle di piccole dimensioni, o che magari non dispongono di risorse adeguate”, come scrive qui Sarah Ungaro, vice Presidente ANORC Professioni.
Strati su strati di disposizioni le quali, oltre a far inceppare la già farraginosa macchina pubblica, che già con non poche difficoltà si era adeguata alle precedenti normative in materia, non sembra riuscire neanche nell’intento di saziare la fame (o la necessità) di conoscenza dei cittadini, costretti una volta di più a destreggiarsi in un mare magno di informazioni contraddittorie e che molto spazio lasciano, come spesso accade, all’interpretazione – e spesso anche alla buona volontà – del singolo funzionario. La sensazione è che si siano aggiunti oneri sulla PA senza con questo rafforzare i diritti dei cittadini, quando anche qui la soluzione poteva essere riassunta con l’espressione anglosassone “Less is More”, lasciando alla PA il compito di pubblicare le informazioni strettamente necessarie e al cittadino quello di chiedere (e ottenere) quello di cui ha bisogno.
Less is more è anche un principio caro alla squadra di Diego Piacentini, commissario all’Agenda digitale: lo vediamo già espresso per quanto riguarda la modifica del Cad, ma è chiaro che si applicherà anche in altri ambiti. Come Spid, che richiede di essere semplificato e reso più fruibile . In questo caso, “less is more” non significa meno norme ma maggiore efficacia pratica, semplicità, vicinanza al cittadino. La vicinanza può essere esplicata anche in modo diretto, per aumentarne la diffusione. L’identità digitale ha raggiunto quota 1 milione di attivazioni. Un buon risultato, si dirà. Certo, ma ben al di sotto delle attese sia in termini di cittadini che hanno aderito – fin qui soprattutto diciottenni e docenti spinti dalla necessità di accedere ai bonus economici erogati dal Governo – che di servizi offerti da PA e privati.
Da qui la proposta di Adiconsum di far scendere in azione “gli angeli dello SPID”, volontari che potrebbero sopperire alle carenze di comunicazione e di informazioni sul Sistema Pubblico di Identità Digitale e aiutare le fasce più inesperte di popolazione a dotarsi di un Pin unico per accedere ai servizi della PA. Così avvenne in Trentino con gli “Angeli del telecomando” in occasione del passaggio dalla Tv analogica a quella digitale e ancora una volta potrebbe essere utile creare una rete di assistenza anche a domicilio per colmare una insufficienza che, stavolta sì, non è un valore aggiunto.
Vicinanza pratica ed effettiva al cittadino, invece che norme autoreferenziali. Questa è la strada che l’Italia comincia a intravedere nel cammino per diffondere il digitale. Ed è solo l’inizio.