I dati relativi alla diffusione di Internet nel 2017 mostrano che il 65% della popolazione italiana dichiara di aver usato la Rete negli ultimi dodici mesi con un incremento di oltre 13 punti percentuali rispetto al 2012 (Figura 1). Gli incrementi risultano particolarmente elevati per classi di età più avanzate dove i singoli segmenti della popolazione italiana presentano percentuali quasi doppie rispetto al 2012. Se poi consideriamo i dati relativi alle fasce di età più giovane osserviamo che, fra le persone di età compresa fra 18 e 34 anni, oltre il 92% dichiara di aver usato la Rete negli ultimi dodici mesi mentre ammonta al 90% la percentuale di uso fra le persone di età compresa fra i 35 e 44 anni.
Gli incrementi risultano più contenuti rispetto al 2012, intorno ai quattro punti percentuali, ma mostrano una tendenza alla saturazione: se queste tendenze risultassero confermate nei prossimi due o tre anni quasi tutta la popolazione di età giovanile risulterà connessa alla Rete mentre per le classi di età più avanzate dovremmo aspettarci tassi di crescita anch’essi elevati.
Digital divide, dalla prima alla seconda generazione
Ne discende che il digital divide di prima generazione (accesso alla Rete), almeno per le classi di età più giovani, sia ormai quasi totalmente superato, mentre assume sempre più rilevanza, per queste classi di età, il digital divide di seconda generazione, relativo al tempo di uso della Rete, alle attività svolte online, ai servizi maggiormente utilizzati (Gui, 2007).
Figura 1 – Persone di 6 anni e più che hanno utilizzato Internet negli ultimi dodici mesi per classe di età. Anni 2012 e 2017 (per 100 persone di 6 anni e più con le stesse caratteristiche) (Fonte: Istat, 2012; Istat, 2017)
Cos’è il digital divide, nuova discriminazione sociale (e culturale)
Competenze, privacy, cittadinanza: le domande cruciali
In questa nuova prospettiva le domande cruciali diventano:
- I singoli utenti possiedono le competenze necessarie per sfruttare appieno le opportunità in Rete?
- È importante o addirittura necessaria un’azione di tutela della vita online da parte delle istituzioni? E se sì, in che modo?
- E ancora, quali effetti produce, anche in prospettiva futura, l’attuale offerta ICT sulla domanda, cioè sulla vita online e sull’esercizio di una reale cittadinanza digitale?
Scenari di breve periodo e primato degli smartphone
I temi sollevati acquistano ulteriore importanza se rapportati agli scenari di evoluzione dell’ecosistema internet. Tutti i principali indicatori del fenomeno mostrano, da oggi al 2021, tassi di crescita annui medi composti fra il 12 e il 24% (Cisco 2017), con la banda ultralarga. In particolare, si prevede che:
- il traffico IP mensile raggiungerà i 35 Gigabyte pro capite entro il 2021, triplicando rispetto ai 13 del 2016, con un tasso di crescita annuale composto del 24%;
- le velocità medie delle reti fisse e mobili toccheranno rispettivamente i 53 Mbit/s (raddoppiando) e 20 Mbit/s (triplicando) rispetto ai corrispondenti valori del 2016;
- gli utenti internet arriveranno a 4,4 miliardi (1 miliardo in più rispetto al 2016) e quelli di social network passeranno da 2,3 miliardi ai 3 miliardi;
- Il traffico video su Internet raggiungerà il 67% del traffico, aumentando di oltre 16 punti; sommato al video on demand, il traffico video raggiungerà una quota pari all’82% del traffico complessivo.
Benché l’accesso alla Rete avvenga ormai in modalità multipiattaforma, il ruolo dello smartphone risulterà sempre più dominante in termini di minuti di connessione in tutti i paesi: nel dicembre 2017 il 62% del tempo trascorso online è avvenuto attraverso lo smartphone, con un incremento di 7,4 punti percentuali in soli due anni (figura 2). Va inoltre osservato che la percentuale di utenti che si connette soltanto da smartphone è cresciuta nella maggior parte dei paesi nel corso del 2017, superando in molti casi il 30% degli utenti complessivi; in Italia ha raggiunto il 21,6% con una crescita di 5 punti rispetto al biennio precedente.
Lo smartphone sarà in grado di offrire prestazioni sempre migliori insieme a una gamma crescente di applicazioni (app) e diventerà il dispositivo principe per la connessione alla Rete. A questo va aggiunto che circa il 90% del tempo di connessione da dispositivo mobile è trascorso su app, mentre il browser e la navigazione web sono utilizzati soltanto per il 10% del tempo. Tra le app utilizzate, inoltre, la quasi totalità del tempo è trascorsa su Facebook: in Italia, in linea con quasi tutti i paesi occidentali, quello trascorso su Facebook è pari al 94% del tempo complessivo passato online.
Figura 2 – Tempo trascorso online per dispositivo (valori percentuali). Anni 2016-2017. (Fonte: Elaborazioni FUB su dati comScore)
Il predominio dello smartphone si riflette anche nelle statistiche sul traffico complessivo per tipologia di dispositivo di accesso (figura 3): in soli cinque anni (2016-2021) si prevede che il traffico generato dagli smartphone supererà quello originato dai PC. Se quest’ultimo nel 2016 rappresentava il 56 percento del traffico Internet totale e quello da smartphone il 17%, nel 2021 le percentuali si dovrebbero ribaltare, con gli smartphone responsabili del 39% e i personal computer del 28% del traffico, pari a circa 30 punti percentuali in meno. Il traffico è previsto in crescita anche per gli altri dispositivi (TV, tablet e traffico “machine to machine”), seppure in misura molto inferiore ai livelli degli smartphone.
Figura 3 – Traffico internet per tipologia di applicazione (valori percentuali). Anni 2016-2021. (Fonte: Elaborazioni FUB su dati Cisco 2017)
La profilazione e il ruolo delle competenze digitali
Buona parte dei servizi online diffusi sul mercato sono gratuiti, in tutto o in parte, ma la contropartita per l’utente è una tracciabilità sempre più puntuale dei propri comportamenti. Il tracciamento avviene attraverso diversi strumenti, tra cui uno dei principali sono le app mobili, sempre più diffuse e, come abbiamo visto, quelle su cui si trascorre la maggior parte del tempo in Rete.
Da una recente ricerca Agcom (Delmastro, 2017), è emerso che le app più scaricate sono quelle che richiedono un maggior numero di permessi anche perché il loro costo è minore. Il numero di app disponibili è elevatissimo: alla fine del 2017 Google Play Store poteva contare ben 3,6 milioni di app pubblicate (+30% rispetto al 2016) mentre App Store, ne contava circa 2,1 milioni[1]. Le app di gran lunga più scaricate sono i giochi (20%), seguite da quelle di tipo education (9%), intrattenimento (7%) e business (6%). Il numero di permessi per l’installazione è anch’esso elevato e sfiora circa 300 tipologie diverse tra cui le più diffuse sono: accesso alla Rete completa (82,1% delle app scaricate), visualizzazione delle connessioni di rete (71,5), lettura del contenuto della memoria USB (55.2%), modificazione o cancellazione del contenuto della memoria USB (54.7%), lettura dello stato del telefono e identità (32,8%), visualizzazione delle connessioni WI-FI (25,8%), posizione precisa (GPS e basata sulla Rete) (23,2%).
Le strategie di “One moment marketing”
Alcuni di questi permessi consentono di raccogliere dati puntuali, sulla cui base è possibile definire strategie di “One moment marketing” (E-commerce, 2018), volte a costruire canali di vendita in grado di:
- essere presenti in ogni preciso istante in cui gli utenti-consumatori hanno necessità di accedere a una certa informazione, decidere quale specifica attività svolgere, dove andare o cosa acquistare;
- focalizzarsi sul volume dei profitti che il cliente potrà generare nel corso della sua vita (Lifetime value) in base ai suoi comportamenti passati e non soltanto in relazione a un singolo acquisto;
- automatizzare gli acquisti (con oggetti “intelligenti” connessi alla Rete che effettuano gli ordini per i clienti);
- effettuare consegne automatizzate a misura del cliente.
Le caratteristiche dell’offerta ICT mostrano una tendenza alla concentrazione del mercato, all’integrazione di filiera e alla prevalenza di modelli di business basati sulla messa a valore dei dati di comportamento online e alla successiva profilazione degli utenti. Ogni volta che usiamo i motori di ricerca, accediamo a un social network, acquistiamo online, cediamo dunque frammenti dei nostri comportamenti e della nostra persona.
Ne discendono interrogativi di grande rilevanza sociale: la vita online permette di acquisire spontaneamente la capacità di minimizzare questi rischi? In che modo tale capacità rientra nel più generale concetto di competenze digitali? Come rafforzare tale competenza soprattutto nelle generazioni più giovani?
Una definizione di competenze digitali e media literacy
Le competenze digitali possono essere definite come la capacità delle persone, nella loro vita online, di valutare la qualità delle informazioni, di saperle archiviare e recuperare, di farne un uso efficace ed etico, di saperle utilizzare per creare e comunicare conoscenza. All’interno delle competenze digitali è centrale il tema della media literacy: la capacità di trovare, selezionare e verificare le informazioni e, più in generale, la capacità di governare dati, variabili e contesti (DIGCOMP, 2017). La media literacy è strettamente legata all’esercizio del pensiero critico, in quanto capacità di analisi e valutazione di dati e informazioni.
Su questo tema si innesta il contributo decisivo di alcune teorie consolidate della psicologia cognitiva. Secondo Daniel Kahneman, la mente è il frutto di un’interazione precaria tra due sistemi: il primo, veloce e intuitivo, che agisce automaticamente; il secondo, lento e razionale, che per agire richiede uno sforzo. Questo secondo sistema corrisponde a all’immagine che abbiamo di noi stessi, articola i giudizi e compie le scelte ma spesso opera appoggiandosi o razionalizzando a posteriori idee e sentimenti nate nel sistema del pensiero veloce e intuitivo (Kahneman 2012).
Informazioni, distorsioni e pregiudizi di conferma
Avere un atteggiamento critico è infatti difficile e faticoso, perché richiede la ricerca e la valutazione di informazioni: nella maggior parte delle situazioni della vita quotidiana prendiamo decisioni in base a euristiche, condotte in modo veloce e automatico, e che generalmente «funzionano». In situazioni più complesse, le euristiche portano però a distorsioni del giudizio (bias) che danno luogo a decisioni errate.
Una delle euristiche più adottate è quella del pregiudizio di conferma (confirmation bias) e cioè la tendenza a scegliere inconsapevolmente, fra tutte le informazioni a cui possiamo accedere, quelle che confermano o rafforzano le nostre idee.
Il pregiudizio di conferma, in questo quadro, risulta rafforzato da due fenomeni già noti da tempo: da un lato le “Bolle dei filtri” (filter bubbles), da intendersi come gabbie generate dalle nostre scelte e preferenze passate attraverso meccanismi di profilazione (Pariser 2011); dall’altro le “Camere dell’eco” (echo chambres), da intendersi come zone di “comfort digitale”, chiuse o semichiuse, composte da amici, contatti e followers che la pensano esattamente come noi o in modo molto simile (Xhaet e Derchi 2018).
Le caratteristiche della domanda già delineate mostrano il predominio degli smartphone e l’aumento crescente del tempo trascorso online sulle app. Secondo la nostra ipotesi operativa, l’interazione con lo smartphone è frutto del sistema di pensiero veloce e intuitivo, il cui uso è facilitato e stimolato dal design delle applicazioni.
Tuttavia, la profilazione di lungo periodo, accumulando informazioni sulle scelte veloci e intuitive, struttura un’identità digitale che rischia di sostituire le scelte critiche e ponderate che, nel mondo offline, sono effettuate dal sistema lento e razionale. In altri termini: la combinazione tra modelli di business e pattern di utilizzo un potrebbe portare a un mondo online in cui il pregiudizio di conferma si riveli sovrautilizzato.
Costruire una società critica, il ruolo della scuola
La questione centrale diventa: come sfruttare gli immensi vantaggi della digitalizzazione mantenendo sempre vivo l’esercizio della critica nell’uso della Rete?
La risposta degli psicologi cognitivi è che possiamo fare molto poco in assenza di un grande investimento in termini di energia e consapevolezza critica. Ciò implica la necessità di impegnarsi a costruire una “società critica” nella quale siano resi espliciti i pericoli insiti in situazioni decisionali complesse.
E’ questo uno dei compiti primari delle istituzioni, in particolare della scuola, che resta, ancora oggi, il principale agente di socializzazione a un uso formativo e critico dei nuovi media nella popolazione nonché alla promozione di un’efficace competenza digitale fra le generazioni più giovani.
Quando si pensa alla scuola non bisogna mai dimenticare la sua enorme ricchezza ben espressa dai numeri: 41.000 sedi scolastiche, 370.000 classi, circa 8 milioni di studenti dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado, 800.000 studenti stranieri, 730.00 insegnanti. In questo enorme bacino di relazioni e comportamenti sociali, in cui l’alfabetizzazione sociale si sposa con quella digitale, lo smartphone racchiude in sé le straordinarie opportunità di ridisegnare le situazioni di apprendimento insieme alle conseguenti minacce da rendere sempre più esplicite. È un tema molto rilevante, che viene solo parzialmente indagato dal report Internet@Italia 2018, e sul quale una più mirata attività di ricerca sarebbe auspicabile. Ed è uno sforzo tutto da immaginare, progettare e mettere in campo ma che appare decisivo nei futuri scenari di digitalizzazione.
Soprattutto perché, “destreggiarsi fra notizie e dati statistici online, è una delle condizioni per essere compiutamente cittadini e per esercitare quel controllo civico alla base della democrazia” (Zuliani 2010).
[1] Fonte: http://www.mobileworld.it/2018/04/05/app-store-play-store-carrellata-statistiche-riguardanti-2017-foto-174320/
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Riferimenti bibliografici
- Cisco (2017). Cisco Visual Networking Index: Forecast and Methodology, 2016–2021. White Paper, June.
- comScore (2018). https://www.comscore.com/ita/.
- Delmastro, M., (2017). The AGCOM inquiry on digital platforms and online information, https://www.agcom.it/documents/10179/2883619/Allegato+23-3-2017/b01868ae-3429-412a-a901-e8dfc478a2aa
- E-commerce, (2018), E-Commerce in Italia 2018. Milano, Casaleggio Associati, maggio
- DIGCOMP, (2017). The Digital Competence Framework 2.0, https://ec.europa.eu/jrc/en/digcomp/digital-competence-framework
- Gui, M., (2007). Disuguaglianze in Rete, Polis, n.2, agosto.
- Istat (2012), Cittadini e nuove tecnologie. Anno 2012. Statistiche Report, 20 dicembre
- Istat (2017), Cittadini, imprese e ICT. Anno 2017. Statistiche Report, 21 dicembre
- Kahneman, D., (2013). Pensieri lenti e veloci. Milano, Mondadori
- Pariser, E., (2012). Il filtro. Quello che Internet ci nasconde. Milano: Il Saggiatore.
- Xhaet, G:, e Derchi, F., (2018). Digital skills. Capire sviluppare e gestire le competenze digitali. Milano, Hoepli.
- Zuliani, A., (2010). Statistiche come e perché. A cosa servono, come si usano, Roma, Donzelli editore.