Pur essendo una tematica di carattere essenzialmente scientifico e non alla portata del cittadino comune, data la complessità dell’argomento, il discorso intorno al climate change ha finito quasi spontaneamente per fuoriuscire dalla ristretta cerchia degli specialisti, investendo diversi ambiti della società civile.
L’impatto a livello globale di un tale fenomeno richiede infatti alle varie figure di “decisori”, dal politico all’imprenditore, di essere in grado di interpretare l’enorme mole di informazioni, spesso vaghe e contraddittorie, per poi compiere scelte che andranno a incidere sulla governance, sul business e sulla vita quotidiana degli stessi cittadini.
Definizione di climate change
Per comprendere meglio, partiamo dalla definizione data dall’UNFCCC (Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite), secondo cui il cambiamento climatico è “un cambiamento del clima che sia attribuibile direttamente o indirettamente ad attività umane, che alterino la composizione dell’atmosfera planetaria e che si sommino alla naturale variabilità climatica osservata su intervalli di tempo analoghi”.
Una tale definizione evidenzia con chiarezza l’alta complessità ed eterogeneità delle cause (e con-cause) di uno dei temi più dibattuti degli ultimi decenni.
Le semplificazioni mediatiche sul climate change
Questo macro-fenomeno globale viene infatti percepito sempre di più come in grado di avere impatti significativi sulla vita quotidiana dei singoli individui. A tal proposito, sono già in atto diversi studi (qui e qui due esempi) relativi agli effetti dei cambiamenti climatici sulle risorse idriche e di conseguenza su settori come quello idroelettrico, in uno scenario in cui la domanda energetica continuerà ad aumentare di pari passo con lo sviluppo economico e l’esponenziale crescita demografica.
Attualmente, a livello mediatico, è possibile notare un utilizzo diffuso di concetti come ambientalismo, ecologia e sostenibilità, non di rado percepiti come sinonimi e correlati al tema del cambiamento climatico, ma che con i fenomeni climatici hanno a che fare trasversalmente e non necessariamente in maniera diretta.
Per sostenibilità si intende la capacità dell’uomo di riuscire a costruire un “ecosistema umano” vivibile e allo stesso tempo rispettoso dei sistemi naturali da cui vengono tratte le risorse necessarie, senza oltrepassare le loro capacità di assorbire gli scarti e i rifiuti dovuti alle attività produttive. Si tratta quindi di un ambito che investe prevalentemente il rapporto uomo-ambiente, e che coinvolge una gamma di variabili e di livelli di complessità differenti rispetto a quelle implicate nel cambiamento climatico.
I cambiamenti climatici per gli europei
Secondo un sondaggio pubblicato dalla Commissione Europea nel 2019, il 93% della popolazione europea vede il cambiamento climatico come un grave problema e il 92% ritiene che le emissioni di gas serra dovrebbero essere ridotte al minimo, per rendere l’economia dell’UE neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Secondo la ricerca pubblicata dall’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile di Life Gate, patrocinata dalla Commissione europea, il ministero dell’Ambiente, la Regione Lombardia, il Comune di Milano, Assolombarda e Confcommercio, per il 47% degli italiani intervistati (su un campione rappresentativo di 800 individui), quello della sostenibilità è un tema sentito, per il 41% è una moda e il restante 12% si dichiara indeciso.
In relazione al tema dell’impatto delle attività umane sul cambiamento climatico, il board di scienziati dei 42 paesi che formano il Panel Intergovernativo sul clima, afferma che se non sarà ridotta la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, la temperatura subirà un aumento dai 6 ai 12 gradi entro il 2100. Per ridurre le conseguenze catastrofiche di questo aumento di temperatura, gli stati dovranno ridurre il consumo di petrolio e implementare l’utilizzo di energie rinnovabili entro il 2035.
Climate change, troppa confusione
La confusione terminologica e mediatica intorno a questi temi, specialmente riguardo alla teoria antropogenica del riscaldamento globale, o AGW (che in determinati casi sembra sfociare in una vera e propria information warfare tra sostenitori e scettici) rappresenta certamente un ostacolo per coloro che sono chiamati a intraprendere processi decisionali, che avranno impatti tanto sulla vita dei singoli cittadini che sul sistema-paese. In particolare, nonostante sulla AGW vi sia un largo consenso all’interno della comunità scientifica, sono comunque presenti opinioni discordanti.
È in ogni caso innegabile che qualcosa stia accadendo nel mondo che ci circonda, e che la “narrativa trainante” dell’emergenza climatica e ambientale stia avendo degli effetti concreti sulle politiche e sulle economie degli stati.
Le certificazioni ambientali delle aziende italiane
L’Italia risulta essere tra le prime nazioni in Europa per numero di aziende (circa 20.000) aventi certificazioni ambientali. In particolare, la certificazione rilasciata dagli organismi accreditati per Ecolabel, Emas, UNI EN ISO 14001 contribuisce al raggiungimento di un modello di sviluppo e consumo sostenibile per l’ambiente.
L’incremento di domande per le certificazioni è dovuto anche all’esplicito richiamo alla UNI EN ISO 14001 nei Criteri Ambientali Minimi (CAM) nei bandi di gara per gli acquisti verdi della PA. Inoltre, risulta che le aziende che optano per politiche “green” abbiano delle ricadute positive in termini reputazionali e di conseguenza aumentano le possibilità di business.
In un quadro così variegato e contradditorio, alla figura del decisore non resta che cercare di decodificare i mutamenti in atto, adottando una visione strategica lungimirante che tenga conto della multidimensionalità degli impatti connessi alla sfera climatica e alle politiche ambientali e di sostenibilità; imparando a discernere, al meglio delle proprie possibilità, il dato scientifico dagli interessi politici ed economici che si intrecciano intorno a questi temi tanto complessi quanto vitali per l’intera collettività.