Il distanziamento virale imposto dalla pandemia globale ha costretto a reinventare anche le pratiche della clownterapia che, private momentaneamente dei servizi svolti in corsia, si è rimessa in gioco cominciando a sperimentare il digitale per rientrare, almeno virtualmente, negli ambienti e negli spazi delle strutture sanitarie.
Raccontiamo la genesi e l’esperienza del progetto sperimentale Clown Serious Play, ideato da alcuni clown volontari di un’associazione che opera su Roma e realizzato nei mesi di maggio, giugno e luglio 2020, in particolare presso il reparto di Fibrosi Cistica del Policlinico Umberto I.
Il progetto Clown Serious Play
Ogni buona storia che si rispetti, di solito, comincia con l’espressione “C’era una volta” per contribuire a garantire l’ascolto incantato come accade ne Le mille e una notte, e anche questa narrazione racconta la genesi e l’esperienza dell’iniziativa progettuale Clown Serious Play sotto forma di storytelling, che trasforma il viaggio dell’eroe in una sorta di clown journey utilizzando alcune tappe di riferimento.
Figura 1 – Lo schema narrativo canonico
La metodologia del Viaggio dell’eroe, ispirata agli archetipi junghiani, è attribuibile a Joseph Campbell, autore del libro L’eroe dai mille volti [1973]; considerato uno dei maggiori esperti mondiali di mitologia, Campbell dedicò la sua vita allo studio dei miti dei variegati contesti culturali umani, dai nativi americani agli antichi greci, passando per gli aztechi, e scoprì che in tutti i miti di eroi si cela un’unica storia – un viaggio di trasformazione – che si articola in dodici tappe: lo schema narrativo canonico (Fig. 1).
Il mondo ordinario: c’era una volta, serve un svolta
Numerosi sono gli studi in cui vengono formalizzate delle evidenze scientifiche che dimostrano l’efficacia della clownterapia e della risata incondizionata. La presenza dei “clown dottori” nei contesti ospedalieri porta dei benefici significativi per quanto riguarda principalmente la gestione dell’ansia, della paura e la riduzione del dolore percepito [Sridharan & Sivaramakrishnan, 2016] sia in procedimenti medici invasivi [Wolyniez et al., 2013] che nelle procedure preparatorie a interventi e operazioni, come per esempio l’anestesia [Vagnoli et al., 2005]. Inoltre, la figura clown aiuta a ridurre significativamente l’ansia e le emozioni negative dei parenti, genitori (care givers), e anche dello staff coinvolto nelle procedure mediche [Barkman et al., 2013; Sridharan, K. and Sivaramakrishnan, 2016].
Hotei, il Buddha che ride e altre “storie”
Un articolo pubblicato sull’American Journal of Lifestyle Medicine [Louie et al., 2014] ha evidenziato che la risata e l’umorismo rappresentano aspetti diversi e complementari allo stesso tempo, ed entrambi portano a dei benefici psicologici degni di nota senza nessun effetto collaterale. In relazione alla potenza pervasiva della risata, in Giappone si tramanda la storia di Hotei, il Buddha che ride. Il suo insegnamento si riassumeva tutto nella risata. Si spostava da un posto all’altro, da una piazza del mercato all’altra. Si posizionava nel mezzo del mercato e cominciava a ridere: era il suo sermone. La sua risata era contagiosa, coinvolgente; era una vera risata. Lo stomaco gli pulsava, ballava al suono di quella risata. Si rotolava per terra, ridendo la gente si raccoglieva, e poi si metteva a ridere, e la risata si diffondeva, diventava un’onda che travolgeva l’intero villaggio: tutti ridevano.
La gente aspettava sempre che Hotei passasse dal loro villaggio perché portava felicità e benedizioni comparabili. Non pronunciò mai una sola parola. Lo interrogavi su Buddha e lui rideva; gli chiedevi dell’illuminazione e lui scoppiava a ridere, gli chiedevi qualcosa sulla verità e lui rideva: il suo unico messaggio era la risata.
Anche Immanuel Kant dedica alcuni riflessioni sull’”efficacia filosofica” della risata: “la risata produce una sensazione di benessere attraverso lo stimolo di processi organici vitali; un’emozione che muove gli intestini e il diaframma; in una parola una sensazione di salute ben percepibile da ognuno: in questo modo noi possiamo raggiungere il corpo attraverso l’anima e servirci di quest’ultima come medico del primo”.
Norman Cousins, giornalista e attivista per i diritti civili alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo, nel suo libro “Anatomia di una malattia”, racconta di essere riuscito a curarsi da una grave forma di artrite (spondilite anchilosante) con alte dosi di vitamina C e di film dei fratelli Marx. Scoprì, ad esempio, che 10 minuti di risate riuscivano a garantirgli 2 ore di sonno senza dolore. La sua storia incuriosì la comunità scientifica e inspirò un numero significativo di progetti di ricerca.
Il dottor William Fry, psichiatra presso l’Università di Stanford, è considerato il padre della “gelotologia” (scienza del ridere); uno dei suoi studi confermò che 20 secondi di risate intense, anche se simulate, possono far raddoppiare il ritmo cardiaco per un tempo che va da 3’ a 5’: la risata induce il nostro corpo a produrre endorfine (analgesici naturali).
Annette Goodheart, psicologa californiana, ha proposto un framework teorico per l’uso della risata simulata in modo volontario e ha creato un set di tecniche su come usare la risata per rilasciare e ottenere sollievo rispetto a emozioni forte o represse. Come terapeuta, ha lavorato con persone affette da malattie terminali, incluso il cancro, l’AIDS, la Sclerosi Multipla, l’artrite, con pazienti anoressici, persone che sono sopravvissute ad abusi sessuali, depressi con tendenze suicide. “La buona notizia – scrive nel suo libro Laughter Therapy – è che la risata ha un enorme potere curativo. Non è una panacea, ma può essere parte di un programma di cura, dal punto di vista fisico, emotivo, spirituale”.
Madan Kataria, medico allopatico di Mumbai (India), ha sviluppato lo Yoga della risata (laughter Yoga) attingendo dalle sue conoscenze in campo medico e dallo Yoga. Dal 1995 insegna come armonizzare le antiche pratiche Yoga con la scienza del ridere, al fine di contrastare gli effetti negativi dello stress per raggiungere un equilibrio interiore, migliorando anche i rapporti interpersonali. Storicamente ci sono dipinti che lasciano pensare alla presenza dei clown negli ambienti di cura già ai tempi di Ippocrate, tuttavia un possibile momento di inizio maggiormente documentato si colloca verso la fine del XIX secolo, con i Fratellini, famoso trio di clown che cominciò a compiere visite a cadenza non regolare negli ospedali. A partire dal 1908, si hanno prove documentate di interventi dei clown del circo nei reparti pediatrici, raffigurati sulla copertina del “Petit Journal” del 13 settembre 1908 [Warren, 2008].
La “nascita” della clownterapia
La clownterapia nasce formalmente con Michael Christensen e Paul Binder, due clown del Big Apple Circus di New York che iniziarono la loro attività presso il “Babies & Children’s Hospital” del “Columbia – Presbyterian Medical Center” di New York nell’anno di 1986 [Christensen, 2013]. Per definire questi nuovi operatori, presenti progressivamente in tantissimi paesi di tutto il mondo, fu coniato il termine di “clown dottore”: “clown” per le arti attraverso cui egli opera, “dottore” in quanto agisce in stretto contatto con l’équipe ospedaliera, indossando un camice da medico colorato, allo scopo di sdrammatizzare l’immagine del medico agli occhi dei bambini [Simonds, Warren, 2003]. Un significativo sviluppo della clownterapia si ha nel 1998 con la produzione del film Patch Adams interpretato da Robin Williams, che racconta la storia del medico statunitense Hunter “Patch” Adams, portando all’attenzione dell’opinione pubblica questa nuova pratica e alla nascita di numerosi gruppi di clown volontari [Fioravanti, Spina, 1999]. Patch Adams si è impegnato in tutto il globo, con lo scopo di far conoscere il potere terapeutico della risata e di favorirne la diffusione non solo nei contesti ospedalieri, ma in tutti i luoghi di disagio. Empatia, prendersi cura, sorriso e relazione rappresentano parole chiave che ritroviamo nelle pratiche di clownterapia. Come Hunter Adams, ancor prima di diventare il ‘Patch’ conosciuto nel mondo intero, i “clown dottori” entrano in punta di piedi nei contesti di disagio cercando di trovare un canale di comunicazione con le persone che incontrano, di entrare in relazione donando sorrisi e favorendo un possibile cambio di attitudine.
Il richiamo all’avventura e l’incontro con il mentore: oltre il distanziamento globale
Come clown volontari siamo tenuti al rispetto di tutte le disposizioni emanate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri sul Covid-19. A causa dell’attuale situazione di emergenza, non è prevedibile ipotizzare quando potremo rientrare fisicamente nei reparti degli ospedali per svolgere attività di clownterapia. Di solito, a questo punto della storia avviene l’incontro con il mentore che sostiene e aiuta l’eroe di riferimento ad accogliere la sfida posta dal richiamo all’avventura, per esorcizzare un eventuale rifiuto. In questa storia, i mentori sono gli stessi ideatori del progetto, un po’ come accade ad Aladino quando strofina la lampada ritenuta magica. Quello che in realtà di magico vede corrisponde a se stesso, dato dal riflesso della lampada che rispecchia la sua figura: è lui il genio che può determinare un cambiamento.
Grazie allo spirito di iniziativa di alcuni clown di corsia[1] che svolgono servizi di volontariato con l’associazione Antas Onlus, si mobilita un mix di risorse e competenze per creare qualcosa insieme, vivendo un’avventura di clownterapia in Rete. Nei Goonies, lungometraggio cult degli anni ‘80 (proprio negli stessi anni del Big Apple Circus), la narrazione si apre con il ritrovamento di una mappa: inizia in questo modo l’avventura di un gruppo di ragazzi che presenta qualche analogia con la nostra esperienza progettuale. Con il ritrovamento della mappa del tesoro scovata nella soffitta di casa Walsh[2], a Mikey torna in mente – ecco che emerge il format narrativo delle nostre memorie – di quando suo padre gli raccontava la storia di Willy l’Orbo per farlo addormentare, e racconta a sua volta la storia del pirata al fratello maggiore Brandon e agli amici Chunk [Quagliata, 2014], Data e Mouth.
I Goonies, fin da queste prime battute, si configurano come un gruppo di lavoro eterogeneo, orientato alla giocosità e alla scoperta, in cui Mikey sembra essere il leader motivazionale, appassionato e determinato nell’aiutare i genitori e sostenere gli amici: il ritrovamento del tesoro nascosto potrebbe salvare le loro case evitando di dover cambiare città; poi ci sono Data, dallo spiccato talento inventivo, Brandon, scettico e resistente al cambiamento, e Chunk, il pasticcione che Mikey riesce comunque a valorizzare: “non disprezzate la sensibilità di nessuno. La sensibilità è il genio di ciascuno di noi” scriveva Baudelaire. Mouth, infine, è l’esperto della lingua spagnola che traduce le scritte riportate sulla mappa.
Una mappa può raccontarci una storia, a patto che venga interpretata: nel caso dei Goonies, una mappa geografica li guiderà alla ricerca del galeone Infierno e i ragazzi vivranno la loro avventura rafforzando il loro senso di appartenenza e costruendo progressivamente la loro storia. Qualcosa di analogo, come racconto nelle righe che seguono, è accaduto a un team di quattro clown che si è preso carico di individuare una ingegnosa modalità per tornare nuovamente in corsia. In coerenza con la Carta dei Valori del Volontariato nata nel 2001, abbiamo cercato di garantire una possibile continuità alle nostre attività di volontariato. La Carta descrive l’identità e le finalità comuni del volontariato italiano, ne afferma la preziosa testimonianza e ne ribadisce il carattere solidale. All’interno del documento, si evidenzia cos’è realmente la valenza sociale del volontariato attraverso il senso di appartenenza a una comunità, ed emerge anche il significato della proposta progettuale: sollecitare lo spirito di solidarietà e dall’altra il senso civico delle persone, attitudine che accomuna tutte le attività di volontariato.
La galassia delle tecnologie digitali e il progetto Clown Serious Play
“L’uomo è più vicino a se stesso quando raggiunge la serietà di un bambino mentre gioca”, sosteneva Eraclito, e “serious play” rappresenta l’espressione che è possibile attribuire al processo in cui ci si immerge per portare creatività, ispirazione e vitalità, tutti elementi propri dell’attitudine giocosa, un valore che è possibile rintracciare negli ambiti più disparati delle esperienze umane e, quindi, anche nel contesto della clownterapia. Con questo universo valoriale ha inteso svilupparsi il progetto “Clown Serious Play”, cercando di andare oltre le barriere sanitarie e continuare le attività di supporto co-terapeutico svolte in presenza fino al mese di febbraio 2020, facilitando il percorso sanitario che in questo periodo è messo a dura prova dalla pandemia globale.
L’iniziativa rappresenta un insieme di tecniche che ha permesso di assicurare, nei tre mesi di sperimentazione, il proseguimento dei servizi di volontariato, reinventati in coerenza con la necessità di rimanere “distanti ma vicini” e vivere d’istanti giocosi nelle realtà ospedaliere. Con l’ausilio di device (tablet) potrebbe essere possibile affiancare alle video chiamate con whatsapp un ventaglio di ulteriori soluzioni tecnologiche (come zoom, skype, ecc.) per favorire il miglioramento della qualità della relazione e delle dinamiche comunicative durante gli interventi di Clown Serious Play. Sul versante metodologico, tra gli obiettivi, rientra anche far socializzare persone che vivono nello stesso reparto una lunga degenza senza possibilità di incontrarsi fisicamente; abbiamo pensato in questo caso a possibili giochi strutturati, come l’utilizzo di escape room[3], per far interagire e collaborare in modo significativo le persone che parteciperanno all’esperienza online. Questo “sistema operativo” ha permesso quindi di agire il distanziamento sanitario e messo in discussione la tradizionale pratica della clownterapia, favorendo autonomia nella scelta degli spazi e rivoluzionando le modalità relazionali con l’ausilio delle tecnologie digitali: la comunicazione si trasforma in comuniCare, prendendosi cura delle interazioni relazionali che si creano online. Ci troviamo di fronte a una sorta di nuova genesi, che comprende un cambio sostanziale di paradigma in cui sono i pazienti a contattare e prenotare l’intervento coterapeutico dei clown e, quindi, a fare un primo passo verso di noi. Questo il motivo del nome dato alla proposta progettuale e al focus sul gioco e la giocosità come strategie e strumenti principali per interagire con le persone. Quello che solo apparentemente potrebbe sembrare un limite, si trasforma in potenzialità attraverso il supporto degli ambienti digitali della Rete. Il clown si fa e diventa gioco grazie alla riscoperta del proprio, e altrui, bambino interiore: un percorso esplorativo che contribuisce a contagiare le persone che entrano in contatto con i clown volontari.
L’alleanza con il personale infermieristico
In questa ottica di mutamento tecnico e metodologico, in cui l’ingresso dei clown di corsia nelle strutture ospedaliere da fisico si tramuta in virtuale, risulta strategico, ancora più di prima, stringere alleanze di collaborazione con il personale infermieristico, vero grimaldello operativo che rende possibile il ritorno della clownterapia, in modalità online (e onlife), all’interno dei reparti.
Figura 2 – Game Changer, Banksy 2020
Il supporto degli infermieri, centrale anche prima del COVID 19, ora diventa indispensabile, come ben rappresentato nell’opera “Game Changer” (Fig. 2) realizzata dallo street artist Banksy. Stringere alleanze e collaborazioni significative con il personale infermieristico, ci ha aiutato a tarare e organizzare in maniera più efficaci i nostri interventi di Clown Serious Play, fornendoci al contempo la preziosa opportunità di rientrare in corsia: creare un unico gruppo coordinato al fine di perseguire obiettivi condivisi. Da queste riflessioni, infermiere e infermieri si delineano come “corpo centrale” nella cornice dell’iniziativa progettuale; loro conoscono i pazienti, i tempi, gli umori, gli spazi e le pause. Hanno una maggiore sensibilità su quando e come può intervenire la Clownterapia, per cui la sinergia di gruppo costituirà il valore aggiunto per consentire ai pazienti di beneficiare a 360 gradi dell’efficacia co-terapeutica. Solo un’unione di intenti condivisi ha favorito il buon esito della sperimentazione di questa iniziativa progettuale[4], perché la clownterapia si costruisce insieme. Frutto di progressivi accordi armoniosi, come la musica per utilizzare le preziose parole di Ezio Bosso: «la musica ci insegna la cosa più importante che esista: ascoltare. La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme».
Oltre al personale infermieristico, una freccia al nostro arco, efficace alleato per contribuire alla diffusione del progetto, è stata la rivista Naso Rosso[5], nata anch’essa dal desiderio di individuare una modalità alternativa per entrare in corsia e far avvertire ai pazienti la presenza e l’avvolgente abbraccio clown. La rivista è stata sognata, progettata e creata con il pensiero e il cuore rivolti agli ospiti della RSA Policlinico Italia, ma di fatto distribuita anche in altre realtà ospedaliere. Naso Rosso è una rivista dallo stile colorato e fresco, pensata per intrattenere e far sorridere il paziente, allenando la mente ed i ricordi; ogni mese sono presentate delle rubriche ricorrenti, giochi enigmistici e disegni da colorare, letture e curiosità su Roma e il mondo, notizie positive e aneddoti divertenti, foto dei clown e un oroscopo tutto da ridere.
Un pensiero per un presente futuribile
Nell’arco dei tre mesi sperimentali, da maggio a luglio, sono stati realizzati 8 interventi di clownterapia online attraverso video chiamate su whatsapp (ogni video chiamata ha avuto una durata di circa un’ora) con il coinvolgimento di 15 clown volontari.
“Il Covid ha imposto delle scelte, non sempre illuminate. Ma a far riflettere è una visione distorta della malattia, per cui si può fare tranquillamente a meno di un clown di corsia, senza capirne il fondamentale contributo. Non siamo solo corpo, mettiamocelo in testa. I clown sono un farmaco, perché non si ammala soltanto il corpo: si ammala la persona”.
- Durante il lockdown sono nate molteplici iniziative per riportare virtualmente la clownterapia nei reparti delle strutture ospedaliere. Si ricordano, ad esempio, lo smart clowning proposto dall’associazione Andrea Tudisco, e il progetto “Nose-to-Nose visits” realizzato in Canada. ↑
- Al link che segue, è possibile fruire la sequenza del ritrovamento della mappa: buona visione, e attenzione ai “tracobetti”! https://www.youtube.com/watch?v=g4Ht8VIc4w4. ↑
- Come ad esempio, https://www.mysteriumescape.it/it/home/. ↑
- Il progetto è stato cofinanziato dall’Ordine delle Professioni Infermieristiche (OPI) di Roma e presentato nell’ambito di Giocosamente Festival 2020, iniziativa dedicata alla playfulness; al link che segue è possibile fruire la presentazione: https://prezi.com/lwmf53adqgrl/?utm_campaign=share&utm_medium=copy . ↑
- Al link che segue, è possibile sfogliare il primo numero: https://issuu.com/tania.ferrario/docs/template_pagina_21x29_7_cm ↑
- Affettuosa gratitudine va ad Angela Ciminelli, infermiera del reparto, senza la cui appassionata collaborazione tutto ciò non sarebbe stato possibile. ↑
- Per la visione completa del monologo, si rimanda al link che segue: https://www.la7.it/piazzapulita/video/i-clown-non-servono-il-racconto-di-stefano-massini-26-11-2020-352591?fbclid=IwAR07ysEF4jHbIof8XNxMidLacqpLpAVj_RqbkaxvYA2W1XiPS_tg1F3xVXk. ↑