Quando un sito web diventava scomodo, a causa dei suoi contenuti illeciti, un tempo a staccare la spina intervenivano le autorità preposte. Poi sono arrivati gli Internet service provider (Isp) a fare da supplenti. Oggi scendono in campo sempre di più gli istituti che rilasciano le carte di credito. I colossi della finanza si stanno ritagliando un inedito ruolo di cyber sceriffi.
La questione sta sollevando interrogativi fra i regolatori legittimi, il mondo del business e gli attivisti. A chi spetta reprimere su Internet? La risposta dovrebbe essere una sola: spetta alle autorità competenti. Carte di credito e banche invece diventano gatekeeper. Una trasformazione che appare subdola e pericolosa, perché questi player escono dal perimetro in cui in genere operano, sconfinando in un terreno scivoloso, insidioso, ai confini dello Stato di diritto. “È esattamente il problema che ha portato all’idea dei Bitcoin”, mette in guardia Massimiliano Nicotra, avvocato esperto di diritti digitali.
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Colossi del credito nel ruolo di regolatori: vulnus democratico
“D’altra parte, però, già in parte è così, se si pensa a quello che succede con le centrali rischi o con le black list”, spiega Nicotra. “È preoccupante però che da funzioni che servono per mantenere stabilità nel sistema economico e finanziario si passi a funzioni diverse, di ‘moral suasion’ verso soggetti che in qualche modo esprimono delle libertà di manifestazione del pensiero. Ciò ancor più grave quando si tratta di possibilità di togliere la disponibilità di risorse economiche, limitando anche diritti che vanno oltre la manifestazione del pensiero”, conclude l’avvocato Nicotra.
Secondo Juan Carlos De Martin, professore del Politecnico di Torino, studioso di Internet della prima ora e co-fondatore del Centro Nexa (Nexa Center for Internet & Society): “È come se le democrazie liberali, che spesso si auto-definiscono Stati di diritto, non credessero più in loro stesse”. E prosegue: “Invece di prendere decisioni che riguardano la collettività seguendo il processo democratico, infatti, lasciano che siano attori privati, in genere USA, a decidere al posto loro”. Non nasconde la preoccupazione per il futuro: “Oltre a tutto il resto che si potrebbe dire in proposito, sono scorciatoie che indeboliscono ulteriormente l’autorevolezza nei nostri sistemi politici e la fiducia dei cittadini nella democrazia.”
Gli istituti che rilasciano le carte di credito agiscono da cyber sceriffi nel mondo della pornografia
Sempre più spesso grandi istituti finanziari, come banche e le aziende che rilasciano le carte di credito, soprattutto americane, giocano un ruolo di primo piano nell’arena pubblica. I loro confini ora si espandono nel business della pornografia.
Dal 15 ottobre, siti per un pubblico adulto dovranno controllare l’età, identificare le persone che appaiono in foto e video e verificare l’identità di chi effettua l’upload. Devono monitorare velocemente tutti i contenuti prima di pubblicarli in rete.
Ma a imporre queste regole non sono i legittimi regolatori, le Authority preposte, bensì Mastercard.
A questo punto, i siti per adulti potrebbero decidere di rinunciare a usare Mastercard. Ma sarebbe una rinuncia costosa, dal momento che il colosso gestisce quasi un terzo (il 30%) di tutti i pagamenti con carte di credito fuori dalla Cina. Visa, che gestisce il 60% dei pagamenti, ha una forte posizione di mercato sui siti per adulti.
La tendenza va però oltre la pornografia. Il mondo della finanza agisce da regolatore de facto, anche se non de iure negli angoli bui del web e nelle aree grigie del diritto in cui la legge non è chiara oppure è obsoleta. Legislazioni anacronistiche, non aggiornate ai tempi di Internet, aprono varchi a player potenti che detengono grandi fette del mercato dei pagamenti con carte di credito.
Lo spartiacque dell’11 settembre 2001
Aaron Klein, think tank alla Brookings Institution, afferma che tutto è accaduto al volgere del nuovo millennio, dopo l’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. In quei giorni di grande fragilità, tragedia e caos, “i pagamenti sono diventati uno strumento di policy nazionali e internazionali”. Gli Stati Uniti, colpiti nel cuore finanziario di New York, introdussero nuove regole anti-riciclaggio e sanzioni più mirate. Le istituzioni si sono trovate a dover bloccare i pagamenti a persone in una lista di 1604 pagine.
Il governo si è rivolto alle banche per farsi aiutare. Laddove non arriva il diritto, arriva il denaro. L’entusiasmo per il poker online condusse nel 2006 all’enforcement normativo contro le scommesse online illegali. Gli internet service provider permettevano l’accesso ai siti di poker, ma la responsabilità di bloccare le transazioni toccò agli istituti finanziari. Man mano che gli Stati americani hanno legalizzato la cannabis, a frenare l’ascesa di quell’industria sono intervenute le leggi federali che hanno scoraggiato le banche a fare affari con la marijuana.
Lasciare decisioni agli istituti di credito è una scorciatoia
Se l’enforcement passa dal regolatore alle aziende, ci si illude di alleggerire il contribuente dai costi della repressione. Invece, il legislatore coltiva un’altra illusione, quella di liberarsi da decisioni politiche controverse e difficili che farebbero perdere voti, per concentrarsi sul consenso sociale su temi divisivi e polarizzanti.
Se invece una banca rifiuta di fare business con un cliente per non mettere a rischio la propria reputazione (“reputation risk”), diventa una sorta di regolatore bancario. Una semplificazione di un problema complesso che, apparentemente, fa comodo a tutti.
Lasciare decisioni agli istituti di credito è una scorciatoia, ma quella dei risparmi è una leggenda metropolitana. Nessun pasto è gratis e se qualcosa è gratuito è perché a pagare sono altri. I costi si trasferiscono altrove. Non è raro leggere che HSBC o JPMorgan Chase assumano 20 mila esperti di risk and compliance management. Nel 2017, Accenture stimava che i colossi tecnologici impiegassero circa 100 mila moderatori di contenuti.
I casi Trump, OnlyFans e Pornhub
Dopo le violente proteste a Capitol Hill dello scorso gennaio, We The Reichstag, Deutsche Bank e Signing Bank hanno cessato di fare affari con l’allora Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Signing Bank è arrivata a chiedere le dimissioni di un Presidente in carica.
Lo scorso agosto, il sito per adulti OnlyFans ha detto di non consentire più contenuti espliciti a causa della pressione esercitata da partner come BNY Melon, Metrobank, JP Morgan. Il bando è stato revocato solo dopo l’indignazione sollevata da porn activist professionisti, il cui clamore ha sovrastato quello dei ribelli.
Le proteste ora si concentrano contro il duopolio detenuto da Visa e Mastercard. Nel 2019, il gruppo di sinistra SumOfUs sottopose una proposta al meeting annuale di Mastercard per sospendere i pagamenti ai gruppi di estrema destra, ma la proposta venne rifiutata.
Trentaquattro donne stanno facendo causa per sfruttamento all’azienda che possiede Pornhub. Il sito, che conta 3,5 miliardi di visite al mese nel 2020 (42 miliardi nell’intero 2019), avrebbe ospitato video senza il consenso delle donne, di cui 14 erano minorenni all’epoca dei fatti. In generale le donne denunciano Pornhub per la pubblicazione di video di stupri e abusi sessuali. L’accusa nei confronti del colosso del porno è di avere approfittato di video caricati all’insaputa delle protagoniste dei filmati. L’obiettivo non è sradicare la pornografia, bensì “un’impresa criminale”, il cui modello di business sarebbe basato sullo “sfruttamento a scopo di lucro di contenuti non consensuali”.
Dopo l’editoriale del New York Times, Visa e Mastercard hanno ritirato i loro servizi a Pornhub, per non vedere associato il loro brand a un sito accusato di lucrare su stupri, revenge porn, contenuti misogini, violenti, razzisti e perfino pedo-pornografici.
Il dilemma filosofico dei colossi del credito
I colossi del credito hanno un duplice aspetto, secondo Lisa Ellis dell’istituto di ricerca Moffett Nathanson: da un lato, sono molto aperti, intendono rendere i pagamenti più facili per tutti, senza assumere posizioni politiche e morali; dall’altro lato, si sentono responsabili e vogliono prevenire crisi, non vogliono essere associati a crimini o a chi fiancheggia/supporta eventuali crimini.
In quanto aziende globali, Visa e Mastercard si ispirano al concetto della “legalità locale” come principio guida. Ma il mondo non è tutto bianco e nero. Nel 2017, in seguito alla marcia dell’estrema destra a Charlottesville, in Virginia, Mastercard ha cessato il servizio sui siti che portavano avanti certe minacce o incitamenti, ma ha continuato a fare affari con altri gruppi d’odio. Il punto è valutare se le attività sono legali o meno, e non se il colosso delle carte di credito non avalla azioni o comunicazione controverse della società con cui ha un accordo di pagamento.
Ma nell’area grigia bisogna fare attenzione. La responsabilità sociale dei network di pagamenti tende a essere bassa perché essi operano lontano dai commercianti con cui hanno un accordo. Tuttavia non fa bene al brand essere accusati di supportare siti accusati di reati sessuali. In fondo è più facile mettere al bando un sito scomodo che scegliere caso per caso. E dove la legge non è chiara e mostra ambiguità, gli istituti finanziari preferiscono imporre le loro regole.
Il regolamento di Mastercard sui siti per adulti potrebbe anche permettere di eliminare contenuti illegali. Ma se il processo legislativo è lento e farraginoso, rispetto all’evoluzione digitale, gli istituti finanziari si trovano in difficoltà. Si trovano fra l’incudine di essere cyber sceriffi (la tentazione di diventare poliziotti della moralità come in Iran) e il martello di essere conniventi con attività dell’area grigia.
A chi protestava al meeting annuale del 2019, Richard Haythornthwaite, poi Chairman di Mastercard, disse che “se è legale, bisogna rispettare l’intesa. Ma se nuota controcorrente, andando nel verso opposto dell’opinione pubblica, bisogna alzarsi e cambiare la legge”. Il problema è che lasciare che le banche e le aziende che rilasciano le carte d credito arrivino a sostituirsi ai regolatori, alle authority, ai legislatori, sfibra le nostre democrazie, logora il processo democratico e mina la fiducia dei cittadini nella democrazia. Queste sono scorciatoie che, sul lungo periodo, costano care.