La fluidità, le tecnologie digitali e le reti telematiche della società contemporanea incarnano quella compressione dello spazio e del tempo che rende il mondo una sorta di struttura che connette una serie di relazioni culturali, politiche ed economiche difficili da trovare in epoche precedenti: ne deriva che tempo e spazio nella modernità sono molto intrecciati l’uno con l’altro e tale connessione dà anche la sensazione di un’interdipendenza, nel senso che ciò che accade in un punto del mondo si ripercuote anche sul resto di esso – d’altro canto Spazio e Tempo, intesi anche come costruzioni sociali, sono vincoli normativi all’agire sociale e alle interazioni fra individui .
Se da un lato, c’è chi pone l’accento sull’incertezza e senso di fragilità che tutto ciò comporta, dall’altro è possibile anche cogliere l’aspetto positivo di questi cambiamenti come la possibilità di costruire identità più flessibili e aperte alla diversità perché sono molteplici le forme di socializzazione che i giovani attraversano e i canali di comunicazione che utilizzano.
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Fluidità Vs Creatività
Per riuscire ad integrare le due facce della medaglia non basta essere reattivi, è necessario essere anche proattivi con particolare riferimento a quei settori che contribuiscono alla formazione e al benessere psicofisico delle persone (la Scuola e la Psichiatria) affinché siano in grado di assicurare un tempo e uno spazio adeguato ai suoi “giovani” protagonisti.
Per realizzare quest’intento è, come spesso accade, indispensabile un ripensamento degli spazi e dei tempi all’interno di queste istituzioni: il senso è indicare, da ciò che è già presente oggi anche se in forma embrionale, quali siano i cambiamenti auspicabili nell’organizzazione e nelle funzioni, riconoscere le diverse trasformazioni in atto e promuoverle a sistema per adattare i Servizi ai mutamenti avvenuti sia nella società sia nei giovani negli ultimi anni e pensare all’analisi della domanda come punto di partenza per sviluppare una nostra funzione nei contesti che ci vedono coinvolti e nei quali esercitiamo la nostra responsabilità.
Probabilmente, l’atteggiamento migliore che si possa adottare è quello di restare perplessi circa i cambiamenti sociali in atto, riflettendo sull’impatto che hanno su di noi e sulle nostre professioni: restare perplessi per mantenere uno sguardo che possa interrogare la realtà e metterla in discussione.
La crisi morale non è colpa del digitale
Il motivo per cui molti hanno la percezione di una crisi morale, sociale e culturale non è perché c’è un dilagante aumento di determinati fenomeni – bullismo e violenza di genere sono sempre esistiti per dirne una – ma perché è venuta meno la capacità di ascoltarsi, di rispettarsi, di rifiutare le etichette, di andare controcorrente per non rinunciare alle proprie inclinazioni, di coltivare un’interiorità autentica per trovare la forza di esprimersi al meglio.
Secondo Bauman la nuova tecnologia della comunicazione mediata ha giocato un ruolo importante, non come causa, ma come condizione agevolante e, pur condividendo tale pensiero, non ritengo costruttivo l’atteggiamento di chi si limita ad estrapolare questo concetto dalla più ampia riflessione in cui è inserito e trasformarlo in baluardo della “banalizzazione del digitale”.
Se non si offre una soluzione, si è parte del problema.
Partendo da questo presupposto, risulta evidente come sia necessaria una rifondazione a tutti gli effetti (o affetti a seconda del punto di vista). D’altra parte ci rifondiamo continuamente sulle persone che siamo stati: si rifonda se stessi su quello che si era augurandosi che non ci siano veri e propri crolli, raggiungendo la consapevolezza che non si è più quelli di prima e insieme lo si è profondamente.
Quella che stiamo vivendo è un’epoca di grandi cambiamenti, sia per portata che per velocità. La crescente compenetrazione tra mondo fisico, digitale e biologico ha infatti spianato la strada a cambiamenti che hanno stravolto ogni aspetto della nostra vita: indispensabile una “rifondazione” su noi stessi che consenta l’integrazione di questi molteplici aspetti.
Pensiero creativo e innovazione
E se il pensiero creativo cominciasse ad essere la nostra forza? Il matematico Henri Poincarè nel 1929 definì la creatività come: “unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”.
Da questa prima definizione – secondo la quale creare consiste nel realizzare un assemblaggio originale e utile associando elementi pre-esistenti – possiamo rilevare importanti criteri di riconoscibilità della creatività, ma occorre tenere ben presente che la parola americana creativity indica tre cose: una capacità delle persone, un processo, ossia il percorso che segue qualsiasi creatore utilizzando determinate logiche, e infine un metodo, che consiste nel fare ricorso a delle tecniche e degli strumenti per la risoluzione dei problemi.
In una parola: Innovazione – per dirla in termini tanto cari alla società contemporanea.
Calata nel contesto aziendale, la parola innovazione significa capacità di cambiare visione; mutare il proprio punto di vista per affrontare di volta in volta le criticità che si presentano sul percorso; in un contesto sociale qualsiasi organismo utilizza una gran parte della sua energia per mantenere lo status quo, ma, allo stesso tempo, desidera sopravvivere, e la sopravvivenza, in un universo in movimento e in perpetuo cambiamento, si ottiene a prezzo di modifiche dell’organismo stesso perché se non cambia, morirà.
L’apprendimento come atto creativo
“To be creative is not to think but to act creatively”
Ancora, per lo psicologo Jean Piaget: “l’apprendimento è per definizione un atto creativo. La persona che apprende destruttura, mastica la materia trasmessa dal professore, dall’esperto o dal software, la digerisce, l’assimila e la ricostruisce secondo le proprie strutture mentali. Dunque un modello didattico per essere efficace dovrebbe ricalcare questo processo di metabolizzazione e le tecniche creative sono particolarmente utili per sviluppare le abilità di imparare ad apprendere”
La creatività nasce da un atteggiamento di ricettività per le idee nuove, non da un atteggiamento critico e si avvale di un metodo che utilizza i vari tipi di logiche per individuare delle situazioni originali e potenzialmente efficaci. Si riorganizzano elementi già esistenti in una nuova forma, si scoprono forme in precedenza non conosciute, si introducono nuovi elementi. E innovare consiste nel trasformare queste idee in fatti, prodotti, soluzioni… efficaci.
Le analogie tra la scuola e le istituzioni che si occupano di salute mentale
Ma, come si arriva a tali efficaci soluzioni? A mio avviso, investire sulla condivisione (condividere – con) è fondamentale:
“Se io ho una mela e tu hai una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee“. (George Bernard Shaw)”
Ho avuto la splendida opportunità di “con-dividere” queste riflessioni con la Dirigente Scolastica del Liceo scientifico e linguistico “G.C. Vanini” di Casarano (LE) – Maria Grazia Attanasi e Paola Calò – Direttore della UOC Centro Salute Mentale Campi S.na e Referente per il Settore Studio-Ricerca- Formazione del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Lecce.
Professioniste affermate e donne eternamente giovani tra i giovani: da sempre in grado di cogliere le sfumature di questa difficile età della vita e concretamente impegnate in progetti, nei rispettivi ambiti di competenza, per promuovere idee innovative.
Trovo che le istituzioni che si occupano di Salute Mentale e quelle scolastiche abbiano una profonda analogia negli obiettivi da perseguire:
- inclusione
- evitare i drop out
- formazione efficace per un futuro indipendente e/o raggiungere il miglior livello di funzionamento auspicabile.
Analoghe anche le criticità e, prima fra tutte, il divario fra accessibilità alle notizie – che è diventata sempre maggiore e veloce – e la comprensione di ciò che si legge, considerata ormai un vero e proprio lusso.
Nella società digitale, la riflessione sui contenuti che si incontrano ogni giorno non è in concordanza con il ritmo e la quantità di informazioni a cui si è sottoposti.
Si è passati da un analfabetismo strutturale alla presenza di larghe fasce di analfabeti funzionali: il bombardamento di notizie a cui siamo sottoposti è estenuante e alla fine controproducente perché rischia di confondere opinione e pensiero.
Per il pensiero ci vuole tempo, cultura e lucidità.
Per l’opinione ci vuole una fonte che si ritiene attendibile e la fretta di farsi una ragione delle cose per avere ragione sulle persone. Per rimanere in tema e usare un linguaggio caro alla tecnologia, il vecchio processo di acquisizione dati – elaborazione dei dati – distribuzione dei dati è saltato: si passa direttamente dall’acquisizione alla condivisione senza una vera interiorizzazione.
È vero che i più giovani sono particolarmente abili nell’uso delle tecnologie informatiche ma non bisognerebbe equivocare tra abilità tecnica ed abilità nell’uso applicato né confondere questi aspetti con la competenza nella scelta dei contenuti. Se è innegabile che avere tali abilità offra di per sé potenzialità notevoli, non bisogna confondere i mezzi con il fine.